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 Hyde Park e il cielo... di Carla
 

“Non avevo mai ucciso qualcuno prima d’oggi.”
Affinità d’intenti

 

Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carla (del 09/10/2018 @ 09:30:00, in Eventi, linkato 1757 volte)

Dopo un anno di pausa, si torna in pista con nuovi eventi: una presentazione, una conferenza e un corso.
 
Il primo di questi eventi si terrà domenica prossima (il 14 ottobre) a Torino nella sede di ALTEC, in corso Marche 79. Si tratta dell’edizione 2018 di “Segni e voci di altri mondi”, organizzata dal CRAL ALTEC e dal Centro Modellistico Torinese, in cui la tecnologia spaziale e la scienza si incontrano con la fantascienza, attraverso la presentazione e l’esposizione delle opere di autori, fumettisti, illustratori, modellisti, l’esibizione di musicisti e le conferenze su romanzi e film.
 
E tra gli autori ci sono anch’io.
Dalle 10.15 alle 11 nell’auditorium, avrò l’opportunità di presentare al pubblico la serie di “Deserto rosso” e il ciclo dell’Aurora. Insieme a me ci sarà Giulia Bassani, meglio conosciuta sul web come Astro Giulia, che presenterà il suo romanzo “Ad Martem 12”.
Il nostro intervento, intitolato “Marte al femminile”, verrà moderato dal giornalista e scrittore Maurizio Maschio.
 
Ma non finisce qui.
Per tutta la durata della mostra, vale a dire dalle 9.30 alle 20, avrò l’opportunità di esporre i miei libri e di interagire con i visitatori. Saranno anche disponibili per la vendita alcune copie di tutti i miei romanzi di fantascienza: i quattro libri singoli di “Deserto rosso”, la raccolta della serie, “L’isola di Gaia”, “Ophir. Codice vivente” e “Per caso” (anche se quest’ultimo non fa parte del ciclo dell’Aurora).
 
Se siete a Torino o dintorni e volete partecipare all’evento, è necessario che vi prenotiate a questo link: https://prenotazioni.altecspace.it/index.php/e/13/mostra-cral-altec-2018
L’ingresso è gratuito, ma ci sono a disposizione solo 1000 posti suddivisi in cinque fasce di orario: 9.30-11.30, 11.30-12.30, 14-16, 16-18 e 18-20.
In ogni fascia è ammesso un massimo di 200 persone, che potranno trattenersi fino a due ore. Durante la prima fascia potrete assistere al mio intervento all’auditorium. Sarò comunque presente al mio stand per tutto il resto dell’evento, se vorrete venire a fare due chiacchiere con me.
 
La cosa essenziale è prenotarsi il prima possibile, poiché i posti finiranno molto in fretta.
 
Per maggiori informazioni sugli altri ospiti e sulle attività previste durante la mostra “Segni e voci di altri mondi”, date un’occhiata a questo articolo sul sito di ALTEC.
 
Prossimamente vi parlerò degli altri due eventi che ho citato all’inizio di questo articolo. Vi anticipo soltanto che si terranno entrambi a Varese il prossimo dicembre.
Ma prima di allora, il 30 novembre, è prevista la pubblicazione del mio nuovo libro, che è anche la quarta parte del ciclo dell’Aurora: “Sirius. In caduta libera”.
 
Nel frattempo vi aspetto domenica a Torino!
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Di Guest blogger (del 31/07/2018 @ 09:30:00, in Scrittura & pubblicazione, linkato 2473 volte)

Oggi sul blog torna a trovarmi un gradito ospite, Michele Amitrani, stavolta nella veste di autore di non-fiction con "Destinazione self-publishing". In questo articolo ci racconta in che modo il mestiere di autore indipendente, in un certo senso, non sia poi tanto diverso da quello di un giocoliere.
 
Vi siete mai chiesti quale sia il segreto di un bravo giocoliere?
Un bravo giocoliere non fa mai cadere i cerchi, le torce o le palline che sta lanciando. Mai.
Se uno di questi oggetti cadesse, il suo ‘status’ di giocoliere ne risentirebbe. Il pubblico farebbe delle smorfie e scuoterebbe la testa, mormorando a bassa voce: che razza di giocoliere fa cadere gli oggetti che sta lanciando?
Uno mediocre.
 
E così un bravo giocoliere si preoccupa di non far cadere nulla, a costo di risultare un po’ lento, di dare uno spettacolo prevedibile e tutto sommato banale.
Ma va bene così. Quello che conta è afferrare la pallina prima che cada, e afferrare quella che segue e così via finché lo spettacolo termina e il bravo giocoliere può salutare il pubblico sapendo di aver fatto quello che tutti si aspettavano: NON far cadere la pallina.
Sapete che cosa distingue un bravo giocoliere dal giocoliere eccezionale?
Una sola cosa.
Il giocoliere eccezionale si preoccupa semplicemente di lanciare.
Il motivo è semplice. L’atto del lancio è il momento in cui inizia tutto, l’attimo che determinerà la qualità della sua performance.
Il giocoliere eccezionale sa che, se il lancio è impeccabile, prendere l’oggetto sarà un’operazione praticamente impossibile da fallire. È la qualità del lancio che determina la difficoltà della presa. Se il lancio è ben fatto, la presa non sarà mai un problema.
Buffo, non è vero? Il bravo giocoliere si preoccupa dell’effetto della sua performance: non deludere il pubblico. Il giocoliere eccezionale si preoccupa dell’atto del lancio, perché è su quello che si basa l’intera prestazione.
Il primo novembre del 2013 sono diventato un autore indipendente. Nel corso di quasi cinque anni, ho scoperto che un autore indipendente ha molte cose in comune con un giocoliere.
Entrambi si trovano di fronte ad un pubblico, entrambi devono saper intrattenere ed entrambi devono destreggiarsi con più cose allo stesso tempo. Il giocoliere deve farlo con degli oggetti, l’autore indipendente con elementi diversi, come la scrittura, l’editing e la promozione editoriale.
Prendete il sottoscritto. Cinque anni fa mi preoccupavo di non far cadere la pallina, di mantenere un certo ‘status’, di capire quello che gli altri volevano. In altre parole, mi preoccupavo sempre di tutto.
La reazione del pubblico era il motivo per cui facevo quello che stavo facendo. L’effetto della mia prestazione era la preoccupazione principale.
Mi dicevo: fai in modo che la performance sia efficace e prevedibile. Tieni gli occhi fissi sul pubblico e soprattutto assicurati che quella dannata pallina non cada mai per terra.
Non più.
Oggi la penso in modo diverso.
Oggi tengo gli occhi fissi sull’atto iniziale del self-publishing, che per un autore indipendente dovrebbe essere lo scrivere. Non ho idea di quante volte la pallina stia cadendo per terra. Sono troppo occupato a migliorare il mio lancio.
Cinque anni fa non avrei mai ammesso che mi ritengo un giocoliere tutto sommato mediocre.
Questa consapevolezza è una delle mie più grandi conquiste. Il sapere di non essere lo scrittore che voglio essere è il motore che mi fornisce una spinta inesauribile a migliorare.
Questo ragionamento può sembrare contraddittorio e davvero poco intuitivo.
Fortunatamente, la psicologia mi viene in soccorso.
Avete mai sentito parlare del modello di apprendimento conosciuto come competenza consapevole?
È un concetto davvero interessante.
Quando si parla delle fasi di apprendimento di un’abilità, che si tratti della scrittura, del lanciare e raccogliere al volo palline, dell’arte culinaria o dell’abilità di decidere quale azione comprare sulla Borsa di New York, la psicologia ci insegna che esistono quattro stadi di competenza correlati con gli stadi psicologici che sono coinvolti nel processo di progressione che va dall’incompetenza alla competenza.
Tradotto in italiano, per diventare davvero bravi a fare qualsiasi cosa, bisogna passare per quattro stadi.
 
Il primo stadio è quello dell’incompetenza inconscia, quando insomma una persona non capisce o non sa come fare qualcosa e non riconosce questa sua mancanza. Ricordate la prima volta che avete giocato a biliardino? Ci sono buone probabilità che vi siate divertiti un mondo senza sapere davvero che cosa diavolo stavate facendo, a parte un bel po’ di casino. L’importante era semplicemente colpire la pallina il più forte possibile e spassarvela. Punto.
 
Il secondo stadio è quello dell’incompetenza cosciente. Qui vi trovate nello stato socratico del ‘sapere di non sapere’. Continuando con l’esempio del biliardino, immaginate che il vostro vicino di casa, che possiede da anni un biliardino, vi inviti a giocare. Una volta iniziata la partita, vi accorgete immediatamente che non si tratta semplicemente di muovere le stecche a vanvera. Si tratta di capire muovere le stecche, e di muoverle.
 
Il terzo stadio è quello della competenza cosciente. In questo stadio, sapete esattamente che cosa state facendo. Avete fatto i compiti a casa, avete speso del tempo per migliorare la vostra tecnica e le vostre capacità. La prossima volta che il vostro vicino di casa vi sfiderà a biliardino, avrà pane per i suoi denti.
 
Il quarto e ultimo stadio è la competenza inconscia. In questa fase, una persona ha padroneggiato talmente bene la sua arte che diventa una cosa spontanea per lui o lei eseguirla al meglio.
Benvenuti nell’Olimpo delle possibilità.
In questo ultimo gradino si trovano i Michael Jordan, i Warren Buffett, i Seth Godin e le Ursula Le Guin della storia, persone che fanno cose incredibili in modo naturale, senza rendersene conto.
Questi sono i giocolieri eccezionali che hanno imparato la lezione: lanciare la pallina è più importante che afferrarla.
 
Che siate un giocoliere o un autore indipendente, tutto quello che conta è iniziare l’atto, e l’autore indipendente inizia sempre raccontando una storia. Come raccontate la storia non è importante, così come non è importante l’oggetto lanciato dal giocoliere.
Lanciate. Scrivete. Create. Restate ispirati.
 
E, se il vostro spettacolo è abbastanza interessante, alcuni si fermeranno a guardarvi, e forse ne parleranno con altre persone. E la prossima volta vi troverete circondati da un pubblico più grande.
Altrimenti, continuate a lanciare, continuate a migliorare, create uno spettacolo migliore. Non preoccupatevi delle palline che cadranno a terra. Preoccupatevi di raccoglierle e di continuare a lanciare.
 
Parametri come il successo stanno negli occhi di chi giudica. Se volete diventare autori migliori, non sostituitevi al pubblico. Farete un pessimo lavoro. Non sta a voi giudicare. Voi dovete soltanto preoccuparvi di lanciare bene quella pallina.
 
Quando mi è stata data la possibilità di raccontarvi la mia esperienza di autore indipendente sapevo che avrei iniziato questo post facendo una domanda.
E che lo avrei finito con una domanda.
Quanto volte siete disposti a raccogliere quella pallina da terra?
 

 
MICHELE AMITRANI è un autore self che flirta da tempo con diversi generi letterari, ma è ufficialmente sposato con fantasy e fantascienza.
Ha scritto e pubblicato indipendentemente la quadrilogia di fantascienza Onniologo (il primo libro della serie è stato tradotto in inglese con il titolo Omnilogos).
La sua missione è aiutare altri scrittori a rendere le proprie storie disponibili al grande pubblico. Per questo motivo condivide risorse su come produrre, pubblicare e pubblicizzare libri sul suo sito www.CrediNellaTuaStoria.com, sul suo canale YouTube e sul suo podcast ‘Credi Crea’.

Quando non è impegnato a inseguire draghi o a padroneggiare la Forza, divora libri su Goodreads e gironzola su Facebook.
 
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Di Carla (del 25/07/2018 @ 09:30:00, in Scrittura & pubblicazione, linkato 3412 volte)
© Tomasz Rozkosz
Avrei voluto scrivere questo post subito dopo aver finito la prima stesura di “Sirius. In caduta libera”, la quarta parte del ciclo dell’Aurora, in modo da potervi raccontare le mie impressioni a caldo dopo aver scritto la parola fine a una storia che mi ha tenuto impegnata per più di quattro mesi di fila, ma poi sono andata in vacanza e al mio ritorno ho dovuto rimandare questo articolo, per dare la precedenza a faccende più urgenti. Adesso manca meno di una settimana all’inizio dell’editing ed è passato abbastanza tempo da permettermi quasi di dimenticare i dettagli di cosa ho scritto. Ciò mi ha consentito di distaccarmi dal libro il tanto necessario per affrontare la revisione con occhio più critico. E adesso mi consente anche di provare a raccontarvi qualcosa di più su questo romanzo, cercando di evitare eccessive anticipazioni (immagine di Tomasz Rozkosz).
 
Come dicevo, ho lavorato alla prima stesura per oltre quattro mesi di seguito, dalla metà di febbraio fino al 26 giugno. È qualcosa di anomalo per le mie abitudini, poiché finora mi era capitato di scrivere senza interruzioni per al massimo due mesi e mezzo. In realtà avevo originariamente programmato di affrontare questa prima stesura in tre sessioni corrispondenti alle tre parti in cui è suddiviso il libro, ma poi ho dovuto dare la precedenza alla nuova traduzione de “Il mentore” e ciò ha ritardato l’inizio della scrittura di “Sirius. In caduta libera” di un mese e mezzo. Comunque sono riuscita nel proposito di completare la prima stesura entro giugno, rispettando la tabella di marcia che mi ero imposta, che dovrebbe portarmi, senza intoppi, alla pubblicazione del libro nella data del 30 novembre, come vi avevo promesso.
 
Nonostante gli oltre quattro mesi di lavoro, “Sirius. In caduta libera” è leggermente più breve di quanto avessi preventivato, poiché la prima stesura è di poco superiore alle 114 mila parole. Forse, se avessi avuto un altro mese a disposizione, avrei ampliato ancora di più l’ultima parte, ma tutto sommato credo che invece vada bene così.
Sono partita con un’outline di massima e, mentre affrontavo la stesura, l’ho ampliata definendo i dettagli delle scene e riuscendo, nell’ultimo mese, a rispettare le tempistiche necessarie per assicurare la pubblicazione a novembre. È stato più difficile rispetto al libro precedente del ciclo (scritto in tre sessioni di un mese nell’arco di un anno) per via della sua maggiore complessità, che mi ha costretto a muovermi tra quattro filoni narrativi distinti e a immergermi di volta in volta nella mente di otto personaggi diversi.
 
A questo punto devo proprio raccontarvi qualcosa di più sulla storia.
Sirius. In caduta libera” è ambientato 18 anni dopo la fine di “Ophir. Codice vivente” (terza parte del ciclo dell’Aurora) e 5 anni prima de “L’isola di Gaia” (seconda parte del ciclo). Il protagonista stavolta è Hassan Qabbani, cui vengono affidate tutte le scene in prima persona, che costituiscono una della quattro linee narrative principali del romanzo. Hassan si trova sulla Sirius per partecipare a un importante incontro relativo al Programma Aurora.
 
Una seconda linea narrativa segue il personaggio della astronauta inglese Miranda Caine, che ha quasi un ruolo di co-protagonista e la cui storia si muove in parallelo a quella di Hassan a bordo della Stazione Spaziale Sirius, finché le due non si incontrano. Miranda è un tecnico che lavora sulla Sirius, ma si trova lassù anche per svolgere un altro misterioso incarico.
 
Una terza linea narrativa, invece, si svolge a Londra nell’edificio della Biosynth, dove troviamo i personaggi di Elizabeth Caldwell (che abbiamo imparato a conoscere in “Ophir. Codice vivente”, anche se era già comparsa ne “L’isola di Gaia”) e di suo marito Gabriel Asbury (presente soltanto ne “L’isola di Gaia”), cui si aggiungono il giovane Willy Asbury, il figlio della coppia, e la IA CUSy, detta Susy (o, per meglio dire, la copia terrestre dell’IA Susy che è presente su Marte e che abbiamo visto acquisire maggiore consapevolezza di sé in “Ophir”). Susy farà anche da tramite tra questa linea narrativa e una di quelle che si svolgono sulla Sirius.
 
Infine abbiamo un’ultima linea narrativa, apparentemente separata dalle altre, che si svolge in Islanda e ha come protagonisti due vulcanologi, Eron e Rakel, che si trovano a vivere in prima persona l’inizio delle grandi eruzioni vulcaniche che provocheranno il raffreddamento globale menzionato ne “L’isola di Gaia”. La loro storia è una sorta di pretesto per portarvi in Islanda sul versante di un vulcano, farvi trepidare per la loro sorte e permettervi di vedere con gli occhi della mente un disastro naturale di cui finora si è soltanto parlato in maniera astratta.
Questa parte del libro è stata per me un vero e proprio viaggio, che mi ha spinto a scoprire di più su questo paese affascinante, fatto di ghiaccio e di fuoco. Me lo sono immaginato come solo in piccola parte modificato dall’avanzare della tecnologia (siamo già nel XXII secolo), come un luogo in cui la natura con la sua forza prorompente, letteralmente esplosiva, la fa da padrona, rendendolo per Eron e Rakel non meno ostile di quanto sia lo spazio per Hassan e Miranda. Soprattutto quando, a causa di qualcosa di imprevedibile, la tecnologia fallisce.
 
La storia principale del romanzo, nel suo complesso, si svolge perlopiù in soli sei giorni ed è suddivisa in tre parti (di rispettivamente quattro, cinque e tre capitoli), con una struttura simile a quella già vista in “Ophir”. Si inizia con una scena al presente, che vede Hassan e Miranda nei guai a bordo della Sirius, e poi si torna indietro per capire come ci siano finiti, fino ad arrivare alla terza parte in cui riprende la narrazione al presente da parte di Hassan.
Quest’ultima parte è anche molto più breve delle precedenti. In essa gli eventi precipitano verso la risoluzione.
E poi c’è l’ultimo capitolo, che permette di coprire la distanza temporale dei cinque anni che separano questo libro da “L’isola di Gaia” e di conseguenza di chiudere tutte le trame rimaste aperte per proiettare il ciclo dell’Aurora verso quella che sarà la sua parte conclusiva, prevista per il 2020.
 
Le tre parti del romanzo sono intitolate: “Cenere” (vale a dire quella dei vulcani), “L’eco del codice” (e sapete bene a quale codice, anzi codici, mi riferisco, no?) e “Decadimento orbitale” (che non è una bella cosa, se ci si trova a bordo di un veicolo spaziale che dovrebbe stare in orbita!).
 
Nella storia non mancherà di fare la sua comparsa Anna Persson. Per quanto qui il suo personaggio sia secondario, si affaccerà in alcune scene e avrà modo di dare il proprio contributo alla trama. Sarà cambiata in questi anni? Migliorata? Hmm... chissà!
Conosceremo qualche nuovo personaggio secondario, ma rivedremo anche qualche vecchia conoscenza proveniente da “L’isola di Gaia”, come Isabella Gredani e Edward Ackerman, e un altro (di cui non posso svelarvi l’identità) che abbiamo visto per la prima volta in “Ophir. Codice vivente” e che sarà la causa di molti problemi a bordo della Sirius.
Pensateci un attimo: chi potrebbe essere?
 
E, siccome, non riesco a scrivere un romanzo senza metterci dentro un po’ di morti ammazzati, anche questa volta non mancheranno. Ma non fatevi deviare da un’eventuale piega investigativa della storia: potrebbe essere solo uno dei miei tentativi di distrarvi dal cuore della trama, che ruota intorno al famoso codice marziano di Melissa e a quello informatico di Susy.
È proprio verso questa intelligenza artificiale, il cui avatar è una rappresentazione di Melissa in età pre-adolescenziale e che si considera l’unica vera amica di quest’ultima, che la storia del ciclo dell’Aurora si sta progressivamente spostando. La sua evoluzione, ignorata e sottovalutata dalla sua stessa creatrice, sarà un elemento fondamentale nell’epilogo del ciclo.
 
 
Per non perdervi l’uscita di “Sirius. In caduta libera”, prevista per il 30 novembre 2018, ma che sarà anticipata da un periodo di preordine, iscrivetevi alla mia mailing list, al mio canale Telegram oppure al feed RSS di questo blog.
Per sapere di più sul ciclo dell’Aurora, date un’occhiata al minisito www.desertorosso.net.
La piena comprensione della trama di questo libro richiede la lettura delle tre precedenti parti del ciclo: “Deserto rosso” (la raccolta della quadrilogia ambientata su Marte), “L’isola di Gaia” e “Ophir. Codice vivente”, in questo ordine.
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Di Carla (del 13/06/2018 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2393 volte)

 Scontro tra culture
 
In genere cerco di evitare di leggere i libri di Crichton di cui ho visto il film. Preferisco lasciarli per ultimi, quando, ahimè, non me ne saranno rimasti altri. Stavolta, però, ho fatto un’eccezione, anche perché sono passati davvero tanti anni da quando ho visto “Sol Levante” al cinema. Non ricordavo esattamente la trama ed è stato bello riscoprirla tra le pagine di questo romanzo, anche se alcuni dettagli mi sono venuti in mente man mano.
Devo ammettere che durante la lettura mi sono spesso ritrovata a immaginare Sean Connery e Wesley Snipes nel ruolo dei personaggi principali ed è stata un’ottima sensazione. È stato come rivivere quel film, ma in maniera molto più diluita e approfondita.
La storia in sé tratta dell’omicidio di una giovane prostituta d’alto bordo in un grattacielo di Los Angeles appartenente a una grossa azienda giapponese, avvenuto in contemporanea con un’importante festa che coinvolgeva numerosi personaggi famosi (alcuni reali, che sono nominati dall’autore, anche se non si vedono mai in scena). Il gioco di inganni, l’elemento tecnologico e il susseguirsi di eventi (la storia in pratica si svolge in due giorni) ricchi di colpi di scena lo rendono un romanzo di rapida lettura, nonostante la lunghezza. Ma ciò che lo rende ancora più interessante è tutto quello che nel film, per ovvi motivi di spazio, non poteva che essere accennato: la guerra tecnologica tra gli USA e il Giappone negli anni ’90. Crichton, mescolando realtà e fantasia, ci fa addentrare nelle pratiche industriali nipponiche e nella stessa cultura del sol levante. Lo fa in particolare attraverso il personaggio di Connor, poliziotto esperto con un rapporto di amore-odio nei confronti del Giappone, fatto di comprensione e rispetto delle sue regole nonostante ciò non corrisponda a una totale accettazione né tanto meno approvazione delle stesse, che guida il protagonista, Smith, in un difficile caso che tutti, per un motivo o per l’altro, vogliono chiudere al più presto possibile. Si tratta della morte di una donna di “nessuna importanza”, come viene definita dai personaggi nipponici, ma che in qualche modo è in grado di stravolgere molte altre vite, forse addirittura anche quella di Smith.
Molto interessanti anche gli aspetti tecnici relativi alla manomissione dei video di sorveglianza, nonostante adesso con l’avvento della registrazione diretta su file appaiano obsoleti.
Nel complesso anche in questo romanzo Michael Crichton riesce a unire una trama che ti incolla alle pagine del libro con approfondimenti di valore, in grado di lasciare un segno ben oltre il tempo stesso dedicato alla lettura.
 
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Leggi tutte le mie recensioni e vedi la mia libreria su:
aNobii: 
http://www.anobii.com/anakina/books
Goodreads: http://www.goodreads.com/anakina
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Anche quest’anno sono riuscita a fuggire da Twitter per celebrare un nuovo anniversario dell’uscita del primo libro della serie di “Deserto rosso”, che oggi compie sei anni.
Deserto rosso - Punto di non ritorno” è stato pubblicato il 7 giugno 2012 e con esso è iniziata la mia avventura e quella di tutti gli altri personaggi del ciclo dell’Aurora, e soprattutto quella della mia creatrice nell’ambito dell’autoeditoria.
Da allora l’intero ciclo ha venduto oltre 12.000 copie.
 
 
In questi giorni, in particolare, la mia creatrice è impegnata nella scrittura della quarta parte del ciclo dell’Aurora ed è ben felice di lasciare che sia io oggi a occuparmi del suo blog.
Come sapete, la mia storia iniziata con “Deserto rosso” si è poi espansa coinvolgendo altri personaggi nei ruoli principali prima ne “L’isola di Gaia”, ambientato 35 anni dopo la fine della serie marziana, e quindi in “Ophir. Codice vivente”, ambientato 23 anni prima del precedente.
Ma cosa è accaduto in questi 23 anni?
Lo scoprirete proprio con la quarta parte del ciclo dell’Aurora: “Sirius. In caduta libera”, che è ambientato 18 anni dopo la terza parte e 5 prima della seconda.
 
Questa volta la voce narrante sarà quella di Hassan.
Be’, avevate già avuto un assaggio della narrazione in prima persona dal suo punto di vista nel capitolo finale di “Deserto rosso”. Adesso lo ritroviamo a bordo della Stazione Spaziale Sirius, in orbita intorno alla Terra. Durante una sua breve permanenza verrà coinvolto in una serie di strani eventi che culminano nella morte di un membro dell’equipaggio. Ma questo sarà solo l’inizio dei problemi di Hassan!
 
© Tomasz RozkoszInsieme a lui compare un nuovo personaggio, che funge da co-protagonista: Miranda Caine, un’astronauta inglese che lavora come tecnico sulla Sirius, ma che è stata in realtà mandata lassù da Elizabeth Caldwell (già vista sia ne “L’isola di Gaia” che, soprattutto, in “Ophir. Codice vivente”) per recuperare un oggetto proveniente da un luogo lontano (indovinate da dove?).
 
Torneranno anche altre vecchie conoscenze, a iniziare dall’IA Susy. Verso di lei si sta spostando il cuore narrativo del ciclo e in questo romanzo comprenderemo meglio il suo ruolo in certi eventi del futuro (vale a dire de “L’isola di Gaia”). E forse inizieremo a intravedere le sue motivazioni.
 
E ovviamente tornerò anch’io, sebbene abbia un ruolo abbastanza piccolo nel romanzo.
 
Il tema centrale di questo libro è lo scontro impari tra essere umano e natura, quest’ultima incarnata dall’ostilità dello spazio e dalla potenza dei vulcani.
Un filone narrativo, infatti, si svolge in Islanda e ha lo scopo di mostrare al lettore, attraverso le vicissitudini di due vulcanologi, le imponenti eruzioni responsabili del temporaneo raffreddamento globale dei quattro anni successivi, menzionato ne “L’isola di Gaia”.
 
In generale “Sirius. In caduta libera” (la cui uscita dovrebbe avvenire a novembre) scioglierà tutti i nodi rimasti e ci preparerà per il libro finale del ciclo, intitolato “Aurora” (titolo provvisorio), che vedrà la realizzazione del programma che porta il suo nome. Per quest’ultimo, però, dovrete attendere il 2020.
 
 
In vista dell’uscita di “Sirius. In caduta libera”, potete trovare tutte le informazioni sul ciclo, inclusa la cronologia e la lista dei personaggi, sul sito monotematico Deserto rosso e il ciclo dell’Aurora: www.desertorosso.net
Io, invece, sono sempre nel mio account Twitter, dove pubblico costantemente link ad articoli in inglese relativi all’esplorazione spaziale.
 
Ora vado. La mia creatrice è abbastanza tollerante con me, ma non devo esagerare.
Ci rivediamo nelle pagine del prossimo libro!
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Di Carla (del 01/06/2018 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2290 volte)

 Un finale perfetto
 
Dopo diversi mesi torno a leggere le storie di Harry Bosch nate dalla penna di Michael Connelly e lo faccio col quinto libro della serie, che è ormai vecchio di vent’anni.
Stavolta Bosch si trova a dover risolvere l’omicidio di un produttore cinematografico che viene trovato morto nel bagagliaio della propria auto. La modalità sembra quella della tipica esecuzione mafiosa, che viene appunto chiamata in gergo “Musica dura”, come il titolo del libro, ma la realtà sarà molto più complessa di ciò che appare ovvio all’inizio delle indagini.
Come sempre, Connelly ci mostra la faccia ambigua delle investigazioni di polizia a Los Angeles e, in questo caso, anche in una Las Vegas che cerca di ripulire la propria immagine dall’influenza negativa dell’ormai passato dominio completo da parte della Mafia sulla città. C’è però ancora un boss che la polizia non vede l’ora di eliminare, Joey Marks, e tra lui e la vittima ci sono dei legami. Ma la soluzione del delitto potrebbe trovarsi altrove.
Qua e là c’è qualche coincidenza di troppo, che permette al protagonista di portare avanti il proprio lavoro e di non lasciarci la pelle.
È stato bello rivedere la Las Vegas di quei tempi nelle pagine di questo romanzo, la stessa che ho avuto modo di vedere con i miei occhi pochi anni prima della sua pubblicazione. Quando Bosch descrive la hall del Mirage con le tigri bianche dietro il vetro blindato e gli squali nell’acquario, mi sono ritrovata lì osservare con meraviglia le medesime cose. Ciò mi ha permesso ancora di più di immedesimarmi nel suo punto di vista e di sperimentare la storia come se fosse reale.
Al di là dell’investigazione, però, ciò che mi è piaciuto di più di questo libro è il ritorno di un personaggio del passato di Bosch che ha un ruolo importante nel suo svolgimento e soprattutto nell’epilogo. Peccato che la personalità e il punto di vista dello stesso Bosch sia preponderante, rendendo questo personaggio meno tridimensionale di come era apparso nell’altro libro in cui si era visto. In generale Bosch dà minimo spazio agli altri personaggi, invade tutta la scena, rendendo tutti gli altri semplicemente degli strumenti asserviti alla trama.
Il finale è assolutamente perfetto, come lui stesso dice, senza la solita amarezza o incertezza che caratterizzava i precedenti. Nel leggerlo mi è venuto da pensare che l’autore avesse intenzione di concludere qui le sue vicende e che solo successivamente abbia deciso di andare avanti, magari su insistenza dell’editore.
Per quanto mi riguarda, se non avessi già il successivo, potrei fermarmi qui ed esserne completamente soddisfatta. Di certo aspetterò ancora diversi mesi prima di proseguire con la lettura.
Consiglio a tutti gli amanti dei crime thriller la lettura di questo libro, ma per apprezzarlo veramente dovete leggere i quattro precedenti, poiché il cuore di questi romanzi è indiscutibilmente il personaggio di Bosch, di cui l’autore ogni volta ci mostra qualche nuovo aspetto facendocene sperimentare l’evoluzione attraverso il suo punto di vista.
 
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Leggi tutte le mie recensioni e vedi la mia libreria su:
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Di Carla (del 25/05/2018 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 1719 volte)

 Cospirazione sulla Luna
 
Prima di leggere un romanzo viene spontaneo guardare la copertina e, in base all’immagine e all’eventuale slogan, farsi una vaga idea della trama. Ed è bello che almeno in parte questa idea venga rispettata, in caso contrario c’è il rischio di incappare in qualcosa che non si voleva affatto leggere. Peccato che ciò che la copertina di “Gunpowder Moon” suggerisce non abbia nulla a che vedere col contenuto del libro. Vi è rappresentato il casco di una tuta spaziale con un foro sulla visiera, mentre la tuta di un altro astronauta è visibile nel riflesso, il tutto in un ambiente lunare. Inoltre lo slogan parla di un fantomatico “primo omicidio sulla Luna”.
Se vi aspettate di “vedere” (con gli occhi della mente) all’interno del romanzo il cattivo di turno sparare e così uccidere qualcuno in un paesaggio lunare, rimarrete delusi. Qualcuno viene effettivamente ucciso, ma nessuno gli spara. E la stessa parola “murder” usata nello slogan suggerisce qualcosa di molto più personale di una esplosione dolosa che provoca la morte di un personaggio a causa dell’esposizione al vuoto. Per quest’ultima situazione la parola più adatta è attentato. Il fatto che poi dietro ci sia una cospirazione il cui scopo è scatenare una guerra nel nostro satellite mette in evidenza come l’omicidio sia un tema a dir poco marginale all’interno del romanzo.
Il problema di queste scelte insensate di marketing da parte degli editori (e in questo caso parliamo della Harper Collins) è che attirano i lettori sbagliati e respingono quelli giusti.
“Gunpowder Moon” in realtà è un romanzo di fantascienza hard con risvolti militari e politici, ambientato in un futuro abbastanza pessimistico (quasi post-apocalittico). C’è qualche ottima scena d’azione, come quella che costituisce il climax del romanzo. La parte scientifica relativa alla Luna è abbastanza accurata (con le dovute licenze) e interessante, ed è ben sostenuta da una prosa evocativa. L’autore poi è bravissimo nel world building, sebbene io non apprezzi una tale visione pessimistica del futuro. Inoltre il personaggio principale, Dechert, non è affatto male, nonostante alcuni elementi che tendono a farlo scivolare nel cliché.
Ma, a parte le scelte di marketing completamente sbagliate, forse l’unico vero problema di questo libro è il ritmo lento. Ci si ritrova a leggere scene lunghissime con lunghi dialoghi e riflessioni del protagonista, in cui succede qualcosa solo bell'ultima parte e poi vengono interrotte alla fine del capitolo (in genere costituito da una o massimo due scene) allo scopo di indurre il lettore a leggere il successivo (una cosa che io trovo estremamente irritante). Nella prima metà del libro credo di aver contato cinque eventi in tutto che portano avanti la storia e ovviamente le scene sono molte di più di cinque. Mi sono spesso sorpresa a desiderare che finisse il capitolo, per interrompere la lettura e passare all’altro libro che stavo leggendo in parallelo. E questa non è una buona cosa.
Si ha una leggera accelerata nella seconda parte, anche se qualche flashback che non aggiunge nulla né alla storia né veramente alla caratterizzazione del protagonista tormentato (avevo già inquadrato il tipo) è riuscito comunque a spezzare la mia concentrazione nella lettura e a farmi decidere di interromperla.
Insomma, ho avuto l’impressione di leggere un libro più lungo di quello che è in realtà.
Il climax, però, come dicevo prima, è ottimo. L’identità del cattivo non era difficilissima da individuare, ma l’autore ha avuto alcune ottime idee su come tirare fuori dei guai i personaggi principali.
Nell’epilogo purtroppo il ritmo scende di nuovo e l’autore ancora una volta cede alla tentazione di fare uso di qualche spiegone di troppo.
A salvare tutto, compreso il mio giudizio, è l’ultima pagina. Ovviamente non posso accennare nulla a proposito, tranne che dà una certa soddisfazione.
 
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Questo libro è in lingua inglese!
 
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Di Carla (del 18/05/2018 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 1920 volte)

 Inusuale ma piacevole
 
Ciò che mi piace di Matheson è che ogni volta nei suoi libri riesce a tirare fuori qualcosa di originale che trascende i generi, ma allo stesso tempo ognuno di essi ha in comune con gli altri una serie di elementi legati allo stile, alle caratteristiche dei protagonisti e alla totale imprevedibilità delle storie, che rifuggono qualsiasi cliché.
“Altri regni” è una favola che mescola elementi del fantastico, romantici e storici, che non si sviluppa né finisce come ci si aspetterebbe.
Tra gli elementi che mi hanno fatto apprezzare questo romanzo c’è il tono colloquiale e spesso ironico con cui il giovane protagonista narratore si rivolge al lettore. Si crea tra i due una sorta di complicità alimentata dalla curiosità di leggere quale altra assurdità si sarà inventato nella pagina successiva.
A ciò si aggiunge la ricostruzione storica, sebbene limitata dal punto di vista del protagonista, che riesce a portarci nelle trincee della Prima Guerra Mondiale e poi in un paesino dell’Inghilterra.
E poi c’è elemento fantastico (in questo caso si parla di fate e streghe) che viene mescolato alla realtà.
Il tutto viene messo insieme con una narrazione sotto forma di resoconto, che avevo già visto in “Appuntamento nel tempo”. Rispetto a quest’ultimo “Altri regni” è meno riuscito nell’ambito della sospensione dell’incredulità. Neanche per un momento mi sono dimenticata che stavo leggendo una storiella inventata, nonostante il fatto che il protagonista ripetesse che era tutto vero. Anzi, proprio per questo motivo. Ma d’altronde penso che fosse voluto dall’autore, che, già in tarda età, scrisse questa favola in onore della moglie Ruth Ann (da cui prende il proprio nome la creatura fatata Ruthana), come dice nella dedica. E come tale deve essere considerata.
Proprio per questa sua decisione di scrivere un libro che sentiva suo, piuttosto che qualcosa che sarebbe potuto piacere al pubblico, apprezzo ancora di più questo autore. Mi spiace solo che adesso avrò un suo libro in meno da leggere.
 
Altri regni (Kindle, brossura) su Amazon.it.
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Di Carla (del 04/05/2018 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 1673 volte)

 Storia affrettata
 
Ripensando ai punti essenziali della trama, mi rendo conto che c’è della potenzialità, eppure non posso proprio dire che il libro mi abbia entusiasmato.
La trama è infatti molto lineare. I primi capitoli servono unicamente a presentare il protagonista, Ross Moran, ma niente di importante accade finché non viene spedito su una stazione spaziale e lì gli viene proposto un lavoro su un’altra stazione spaziale chiamata Borea. Tra tecnologie avanzate che si scontrano con altre a dir poco antiquate (i personaggi viaggiano nell’orbita terrestre come se niente fosse, ma usano la macchina da scrivere!), si dipana un’avventura in cui gli eventi vengono narrati in maniera molto semplicistica. Il modo in cui viene presentata la tecnologia è superficiale e vengono usate delle spiegazioni pseudo-scientifiche molto deboli. Non pare essere solo una questione di stile, poiché l’autore diventa di colpo molto più preciso nel parlare di meteorologia (o perlomeno dà questa sensazione a un profano).
Gli eventi si susseguono in fretta, in maniera che definirei improbabile. Gli stessi dialoghi, a tratti, sono poco convincenti. Il tutto è infarcito di cliché, come i militari supercattivi che non sentono ragioni, in particolare se si tratta di donne al comando.
Non posso neanche dire che il libro non mi sia piaciuto affatto. Ho trovato il protagonista simpatico. È stato bello immergersi nella sua mente e i suoi monologhi interiori sono coinvolgenti. Ci sono inoltre delle scene d’azione niente male. Ma la sensazione generale che ho provato è stata quella di eccessiva semplicità, come se fosse la prima versione di una storia che non è ancora stata del tutto sviluppata. Peccato.
 
L’osservatorio (copertina flessibile) su Amazon.it.
 
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 Il viaggio del lettore
 
Avendo avuto l’opportunità di leggere in anteprima questo nuovo libro di marketing per autori indipendenti di David Gaughran (ho ricevuto una cosiddetta ARC, una copia fornita in anticipo ad alcuni lettori), ho pensato di cogliere l’occasione per scriverne una recensione un po’ diversa dal solito, che, oltre a parlare del libro, potesse includere alcune mie riflessioni su come il self-publishing si è evoluto nel mercato anglofono e come tale evoluzione, per la sua stessa natura, non può al momento interessare quello italiano.
 
Prima di tutto, anche questo libro conferma ciò che penso dell’autore. A differenza di altri che pubblicano libri sul self-publishing, Gaughran riduce al minimo gli aspetti autoreferenziali, portando anche esempi concreti di altri autori e cercando di prendere in considerazione le problematiche di un autore qualsiasi. Ovviamente si basa sulla propria esperienza, ma non necessariamente come autore. Infatti, più avanti nel libro scopriamo che lavora come consulente per un altro autore (con caratteristiche completamente diverse dalle sue, poiché scrive fantascienza e pubblica in esclusiva su Amazon), inoltre è costantemente interessato a ricevere feedback da altri, poiché avere sempre del contenuto interessante da proporre nella newsletter fa parte della sua strategia.
 
Un’altra sua caratteristica è che i suoi libri non sono un elenco schematico di fatti più o meno noti intervallati da tentativi di motivare gli altri autori, in cui abbondano elenchi, schemi e figure che ne aumentano la lunghezza, e ripetizioni sia nello stesso libro che in altri simili. I suoi libri sono solo testuali e sono scritti in una prosa discorsiva che li rende davvero “avvincenti”, senza dare l’impressione che ti stia prendendo per i fondelli. Riesce a sviluppare gli argomenti in un modo che non sembra affatto schematico (ma ovviamente dietro c’è un outlining ben preciso), come se ti stesse facendo un discorso a braccio. È sintetico, arriva dritto al punto e dice chiaramente come stanno le cose (anche quando si tratta di cose non piacevoli). Per questo motivo i suoi libri sono corti, ma non certo perché ci siano poche informazioni.
 
Per via di questa sua peculiarità nello scrivere, forse il modo migliore per fruire di questo suo libro è prendere nota dei passaggi interessanti durante la lettura o magari mettere un segnalibro sul Kindle per poi tornarci in seguito. Così il lettore si crea il suo schema personale che elenca solo quegli aspetti che gli sono utili, invece di doversi adattare allo schema e agli elenchi puntati di altri.
 
Ma veniamo al contenuto.
Partiamo proprio dal titolo del libro: da sconosciuti a superfan. Il libro parla proprio di questo: in che modo uno sconosciuto arriva a un libro, decide di comprarlo, lo legge (fino alla fine, cosa tutt’altro che scontata) e magari ne compra un altro e/o decide di iscriversi a una mailing list e/o parla agli altri del libro, in pratica diventa un superfan. Il cuore del libro non è spiegare come fare in modo che ciò accada, ma proprio spiegare come accade, vale a dire quale è il viaggio del lettore e in quale parte del viaggio dei nostri potenziali lettori c’è un problema tale da interromperlo.
Il problema, secondo Gaughran, non è la discoverability, poiché chiunque può “comprare traffico” (indirizzare della pubblicità) verso la pagina del prodotto di un libro (si concentra soprattutto su Amazon), bensì inviarci il traffico giusto, cioè scegliere il target giusto, fargli trovare la giusta accoglienza, il libro giusto che abbia voglia non solo di acquistare, ma anche di iniziare a leggere, finire di leggere (il 40% dei lettori abbandona un libro iniziato) e indurlo a fare delle cose dopo la lettura.
In realtà, se ci pensiamo bene, dice tutta una serie di cose che già sappiamo, ma lo fa in una maniera tale da farcele guardare da una nuova prospettiva e dare a tutte queste un senso logico.

Dopo aver descritto il viaggio del lettore, fa un analisi dei sintomi che permettono a noi autori di capire in quali fasi di questo viaggio stiamo sbagliando.
Stiamo scegliendo un target sbagliato per la pubblicità? Ci sono dei problemi nella descrizione, nella copertina, nel prezzo? C’è qualche problema dentro il libro? O nelle sezioni poste all’inizio o alla fine?
Infine cerca di spiegarci come risolvere questi problemi. Questa ovviamente è la parte più corta, poiché lui è costretto a parlare in generale e, invece, ogni libro è un caso a sé, ma riesce comunque a fornire dei consigli utili.
Il più importante è quello di muoversi al contrario nel sistemare i problemi che possono bloccare il viaggio del lettore: cioè partire dal migliorare il libro, poi spostarsi alla pagina del prodotto e infine sistemare le pubblicità che usiamo per mandare potenziali lettori verso il libro.
 
La questione di base è che dà per scontato che siamo in grado e disposti a spendere di continuo delle cifre sostanziose in pubblicità, poiché in caso contrario non arriveremo mai a nulla.
Questa è anche la triste verità dell’attuale situazione. Possiamo scordarci i casi eclatanti come John Locke (ve lo ricordate?) o più recentemente Andy Weir (che adesso è pubblicato da un grosso editore), che sono riusciti a vendere tantissimo solo scrivendo tanti libri a 99 cent (nel primo caso) o sfruttando i contatti creati sul proprio blog (nel secondo caso). Questi due, e altri simili, hanno raggiunto subito il successo, perché sono stati tra i primi a fare qualcosa che nessuno aveva mai fatto prima. Sono stati pionieri in un nuovo mercato e si sono trovati così nelle condizioni di sfruttare al massimo, e quasi del tutto casualmente, le opportunità offerte dall’algoritmo di Amazon,che suggerisce nuovi libri da acquistare ai suoi clienti.
Adesso per arrivare in alto bisogna spendere tanto e continuare a farlo. Se lo fai male, vai in perdita. Se ti fermi, le vendite crollano.

Mi rendo perfettamente conto che Gaughran ha ragione, ma anche che questa nella maggior parte dei nostri casi non è una via percorribile (poiché per esempio qui in Italia come privati non possiamo dedurre quelle spese né possiamo pensare di aprire una casa editrice solo per i nostri libri, quindi anche ottimizzando al meglio le pubblicità è già un’utopia andare in pari; per non parlare del fatto che magari queste spese non ce le possiamo proprio permettere) o semplicemente non esistono i mezzi per seguirla (nel mercato italiano l’unico strumento pubblicitario utile in questo senso è Facebook, che però è troppo generico e poco efficiente nel profilare i lettori).
Quindi ciò che è riportato nel libro è utile quasi esclusivamente per i mercati anglosassoni.
 
Nello specifico Gaughran fa molto affidamento sull’uso alle pubblicità di Bookbub (da non confondere con i featured deals), che danno dei risultati molto migliori rispetto alle pubblicità di Facebook e a quelle di Amazon.
Queste ultime sono disponibili solo sul mercato USA (ovviamente solo su Amazon), e sono anche le più scadenti in quanto a risultati. E infatti ne accenna appena.
Quelle su Facebook sono le uniche applicabili a qualsiasi mercato, incluso quello italiano, ed è un peccato che non vengano approfondite in questo libro. Ma il punto è che l’autore non lo fa proprio perché le considera poco efficaci.
Le pubblicità di Bookbub invece possono essere usate per raggiungere qualsiasi lettore in USA, UK, Canada, Australia e anche in India. Inoltre si possono creare manualmente dei link a qualsiasi retailer o sito in generale, scegliendo la combinazione paese-link che si preferisce.
 
A proposito dei suggerimenti che dà, ci sono due aspetti che ho trovato interessanti.
Il primo riguarda i libri non presenti in Kindle Unlimited (KU). Secondo Gaughran, gli autori di questi libri non devono fissarsi con Amazon, poiché non hanno nessuna possibilità di scalare le classifiche. Ciò che conta è che alla fine della fiera, sommando tutte le sorgenti di guadagno, arrivino a una cifra totale interessante. A questo scopo possono utilizzare le pubblicità di Bookbub indirizzandole a mercati più piccoli, in cui c’è meno concorrenza e soprattutto ci sono poche offerte scontate (a differenza di quanto accade su Amazon), come, per esempio, Kobo o Apple in Australia.
Il secondo riguarda Amazon e i libri in KU (vi ricordo che per farne parte bisogna pubblicare in esclusiva su Amazon), che di fatto guadagnano bene non direttamente tramite la pubblicità, ma attraverso l’ondata di pagine lette che appaiono dopo circa una settimana. In pratica, secondo lui, chi è su KU deve essere molto aggressivo con la pubblicità (spendere ancora più soldi), ma farlo per soli cinque giorni e poi raccogliere i frutti per il resto del mese. Quindi riprendere da capo il mese successivo, senza mai fermarsi.

A questo proposito c’è una mezza contraddizione quando dice che questo sistema si può applicare in parte anche con i libri non su KU, perché tanto guadagneranno sempre di più da Amazon. Solo che questi ultimi non hanno le pagine lette, quindi c’è il forte rischio di andare in perdita.
Di fatto l’argomento non viene approfondito e per i non-KU resta solo: il consiglio di fare pubblicità sugli altri store e quello di usare la mailing list, inviando spesso materiale utile agli iscritti. Questo è ciò che fa lui, ma diventa un po’ difficile se pubblichi narrativa. Che devo scrivere ai lettori? Quando dovrei trovare il tempo per farlo? Ma, soprattutto, siamo sicuri che a loro freghi qualcosa?
Inoltre, se un lettore è già nella tua mailing list, vuol dire che ha portato a termine il suo viaggio, quindi in realtà questo consiglio non è una soluzione al problema di partenza.
 
Insomma, l’idea che mi sono fatta è questa.
Se hai i libri su KU, spendi un sacco sulla pubblicità e usa i suoi suggerimenti per migliorare il viaggio del lettore.
Se non hai i libri su KU, è un casino, a meno che non scrivi non-fiction per un pubblico di lettori in cerca di informazioni, come fa Gaughran.
In realtà è autore anche di diversi libri narrativa, ma il fatto che si sia rimesso a pubblicare non-fiction e che adesso faccia il consulente per un altro autore mette in evidenza come sia difficile avere risultati sufficienti esclusivamente con la narrativa, se allo stesso tempo non si propone un certo tipo di prodotto (una serie in determinati generi) e non si è su KU.
 
In ogni caso il mio giudizio è molto positivo (da qui le cinque stelle), perché comunque Gaughran è onesto, non promette formule magiche e dice chiaramente che c’è tanto lavoro da fare e che non è affatto così facile farlo. Inoltre il libro parla effettivamente di ciò che è promesso nel titolo, né più né meno. E infine è ben fatto, sotto ogni punto di vista, e scritto molto bene.
La sua utilità per migliorare le vendite di un libro è limitata all’autore che pubblica sul mercato anglosassone (e preferibilmente in esclusiva su Amazon), però è sicuramente uno strumento molto interessante per comprendere le modalità con cui un lettore sconosciuto diventa un fan e individuare i punti deboli presenti nei nostri prodotti editoriali che mettono a rischio il suo viaggio.
Purtroppo la discoverability resta per noi italiani ancora il problema più grosso, poiché comprare traffico non è così semplice, ma dalla nostra abbiamo il fatto che il mercato dell’editoria digitale in Italia è ancora abbastanza piccolo da permetterci di usare vie alternative per far scoprire il nostro libro. È più facile uscire dall’invisibilità. Un piccolo mercato, però, significa anche che il ritorno dal punto di vista economico tende a essere altrettanto limitato.
Allo stesso tempo c’è da considerare che il fenomeno di KU anche in Italia ha completamente cannibalizzato le classifiche e gli algoritmi di Amazon, escludendone di conseguenza i titoli che non sono venduti solo su questo store. Questi non hanno quasi più alcuna possibilità di raggiungere i vertici delle classifiche di popolarità (che sono più importanti di quelle dei libri più venduti) dei generi più popolari e affollati, né di beneficiare, se non per brevissimi periodi, dell’algoritmo che suggerisce i libri ai lettori e che, negli anni passati, ha determinato numerosi casi clamorosi di successo di cui gli stessi autori non erano in grado di individuare le cause.
 
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