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 Hyde Park e il cielo... di Carla
 

“Mi chiedo cosa si provi a possedere un corpo.”
Ophir. Codice vivente

 

Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carla (del 14/08/2014 @ 08:30:46, in Esplorazione spaziale, linkato 3016 volte)


Avete mai sognato di far parte di una missione di esplorazione di Marte? Adesso è possibile farlo virtualmente grazie al progetto V-ERAS.

La Italian Mars Society sta cercando volontari interessati a partecipare come membri dell'equipaggio della Virtual European MaRs Analogue Station (V-ERAS) durante una simulazione delle operazioni di esplorazione umana di Marte.

La missione avrà luogo a Madonna di Campiglio (TN) tra il 7 e il 14 dicembre 2014.
L'equipaggio consisterà di quattro individui scelti primariamente in base alla loro esperienza e capacità come scienziati o tecnici in varie aree che includono psicologia, fisiologia, medicina, operazioni durante la missioni, fattori umani e abitabilità. Essendo questa una fase di avvio del progetto ed essendo necessaria un'interazione continua con il gruppo di ingegneri IMS, la competenza in aree come scienze informatiche, programmazione software e programmi di simulazione fisica verrà presa in particolare considerazione.
I candidati dovranno avere una laurea di almeno quattro anni o esperienza equivalente e dovranno comprendere, parlare e scrivere fluentemente in inglese.

I membri dell'equipaggio selezionati dovranno pagare unicamente il viaggio fino a Trento. Vitto e alloggio sono coperti da IMS e Osservatorio Astronomico Dolomiti - Carlo Magno Hotel, che sponsorizzano l'iniziativa.

I volontari dovranno inviare le proprie candidature a v-eras@marssociety.it entro il 30 settembre 2014.

Maggiori informazioni sono disponibili nel sito del Progetto Eras a questo link oppure è possibile scaricarle come pdf facendo clic qui.

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Di Carla (del 07/08/2014 @ 04:39:30, in Lettura, linkato 2586 volte)

 Un esperimento riuscito solo a metà
 
Ho scoperto casualmente questo libro su Pinterest, dove mi sono imbattuta nell’autrice Annarita Petrino, che mi ha detto di scrivere fantascienza cristiana. La cosa mi ha incuriosito non poco. Infatti, benché questo sottogenere esista soprattutto nel mercato anglofono, non mi era mai capitato di sentirne parlare in Italia. Ho quindi accettato volentieri di leggere questa raccolta di racconti, considerando che amo la fantascienza e al contempo sono una credente.
Ammetto che alla fine della lettura mi sono sentita un po’ stranita e subito mi sono chiesta che cosa avesse suscitato in me questa sensazione. Non so cosa mi aspettassi da “You God”, ma non è di certo quello che ho trovato.
Prima di tutto specifico che la raccolta contiene quattro racconti, davvero molto diversi tra loro, e voglio anche precisare che la Petrino scrive molto bene. Ma allora cosa c’è che non va? I problemi vanno dalla struttura della trama, o dalla sua mancanza, fino alla cura dei personaggi.
Il racconto che ho preferito è stato il secondo, “Judy Bow”. Non a caso è quello con una trama molto più complessa e ben delineata e soprattutto con un personaggio principale che è in grado di uscire dalla pagine e diventare reale. L’argomento è quello dell’opportunità dell’accanimento terapeutico, un argomento molto attuale, che divide e suscita sentimenti contrastanti che prescindono del tutto dal fatto di essere o no credenti. Questa universalità del tema presentata da un personaggio tratteggiato in maniera realistica sono gli elementi vincenti del racconto.
La fantascienza, devo dire, è solo un contesto, e questo è l’unico appunto che mi sento di fare. La storia poteva forse reggere con qualche aggiustamento di trama in contesti meno distanti dalla nostra realtà, ma è chiaro che difficilmente avrebbe attirato alla lettura un lettore di fantascienza come me.
Per il resto il racconto è ben riuscito. Il messaggio cristiano c’è, ma è sottile. Persino il lettore non credente, superata la diffidenza iniziale nel leggere un racconto di fantascienza cristiana, credo che possa condividere le sofferenze e il dilemma di Judy e comprendere le sue decisioni. Il finale aperto accompagnato dalla speranza impreziosisce ancora di più questo scritto.
In altre parole ritengo che in “Judy Bow” l’intento di far apprezzare il messaggio cristiano possa riuscire, proprio perché in questo contesto può essere condivisibile da chiunque a prescindere dal fatto che creda o no in Dio.
Purtroppo questo “meccanismo” non funziona altrettanto bene negli altri tre racconti.
Nel primo, “Imperfezioni”, si parla di intolleranza verso il diverso. È ambientato in un futuro distopico, in un mondo dove si tende alla perfezione genetica e fisica e si emargina chi ne è lontano. Le premesse per un buon racconto e per utilizzarlo in modo da trasmettere un messaggio cristiano c’erano tutte. Anche qui si parla di una tematica, quella del rispetto verso il diverso, condivisibile indipendentemente dalle proprie inclinazioni religiose. Alla fine però la storia non mi ha convinto. Temo che il motivo sia una caratterizzazione non approfondita dei personaggi. Non sono riuscita a immedesimarmi nelle loro problematiche e ho trovato un po’ eccessive le loro azioni. Ho avuto l’impressione che nel tentare di mettere in rilievo l’aspetto cristiano, l’autrice si sia dimenticata che la fantascienza è un genere di intrattenimento e, se il lettore non si diverte (in senso lato), difficilmente apprezzerà il messaggio.
Gli ultimi due racconti invece mancano proprio di una trama. Sono la trasposizione in un contesto fantascientifico di alcune riflessioni. Il risultato è che il lettore non credente fuggirà a gambe levate. Ammetto che io stessa di fronte alla profusione di citazioni bibliche in “Hic et nunc” sono stata tentata di abbandonarlo. E io la Bibbia la leggo volentieri. Mi è sembrato più un esercizio fine a se stesso che un tentativo di raccontare una storia.
Infine l’ultimo brevissimo racconto, che dà il nome alla raccolta, cioè “You God”, non mi è piaciuto. Il motivo è che non ho proprio gradito il tentativo di creare un dualismo tra la fede verso Dio e quella verso l’uomo e la scienza. Chiunque, come me, è credente, studia la scienza e dà notevole valore a ciò che l’Uomo è in grado di fare sa che un dualismo del genere esiste solo nella mente di chi si ostina a conoscere solo uno dei due aspetti. Fede e scienza/umanità sono solo due diverse angolazioni da cui vedere la stessa cosa. E sono totalmente complementari. L’una non deve escludere l’altra. Per un credente, a maggior ragione, l’una non può escludere l’altra. Perché ci deve essere da una parte Dio e dall’altra il robot You God che conserva i ricordi delle persone che muoiono? Perché non si possono avere entrambe le cose? Anzi, io penso che chiunque faccia uso solo di una di queste due prospettive stia perdendo qualcosa. Credo che entrambi i personaggi del racconto alla fine siano in errore. Capisco il tentativo di creare una contrapposizione rispetto alla fantascienza “atea”, ma credo che rispondere a un comportamento estremo con quello opposto, sempre estremo, non sia la soluzione, perché impedisce il dialogo, allontana invece di unire.
Dovendo dare un giudizio generale su quest’opera, ritengo che se il tentativo della Petrino era quello di avvicinare i credenti alla fantascienza (la copertina che non ha nulla di fantascientifico mi fa ritenere che sia così), potrebbe in parte esserci riuscita. Magari potrebbe riuscirci ancora meglio, se ampliasse l’aspetto fantascientifico delle sue storie.
Se invece il suo intento era di avvicinare gli appassionati di fantascienza a tematiche cristiane, temo che sia ancora lontana (a iniziare appunto dalla copertina). Se il lettore non è credente e quindi parte prevenuto nel momento in cui si appresta a leggere questo libro, la lettura non farà che confermare la sua impressione. Se il suo intento è conquistare questo tipo di lettore, forse dovrebbe rendere un po’ meno ingombrante il messaggio cristiano, inserendolo nelle maglie della storia senza sbatterlo in faccia a chi legge, in modo da far riflettere con serenità sulla tematica trattata, scavalcando i pregiudizi. D’altronde moltissimi temi cristiani sono universali e quindi condivisibili o meno a prescindere dal credo di ciascuno di noi (o dalla sua assenza), quindi perché non sfruttare questo aspetto?
 
Il libro purtroppo non è al momento disponibile su Amazon.
 
Leggi tutte le mie recensioni e vedi la mia libreria su:
aNobii:
http://www.anobii.com/anakina/books
Goodreads: http://www.goodreads.com/anakina
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Di Carla (del 29/07/2014 @ 15:51:43, in Fantascienza e spiritualità, linkato 3944 volte)

E siamo giunti all’ultimo post dedicato alla rappresentazione della vita post-fisica nella fantascienza. Nel primo ho introdotto l’argomento e fatto alcuni esempi del cosiddetto approccio soft e intermedio (fai clic qui per leggere il post), nel secondo mi sono concentrata sull’approccio hard e in particolare sul cyberpunk (leggi qui il post), in questo terzo post, invece, vi presento due libri in cui, in modi diversi, si osserva anche il percorso di ritorno della coscienza digitalizzata dell’approccio hard verso una vita fisica.
 
Gli esempi che vi porto non sono romanzi famosi, ma due libri di self-publisher, uno italiano e l’altro inglese.
 
Il progetto Alfa Centauri (Thinking Worlds) di Marco Santini è un romanzo disponibile sia in cartaceo che in ebook (quest’ultimo è gratuito). In esso viene descritto un futuro dove esiste una contrapposizione tra l’umanità in carne e ossa e quella che vive nella rete, cioè derivata dalla digitalizzazione delle coscienze dei morti. Le due umanità sono in grado di interagire fra di loro sia tramite la realtà virtuale che il mondo fisico. I digitalizzati, infatti, possono scaricarsi temporaneamente in androidi di vario tipo e sperimentare ancora una volta una vita fisica. Ciò conferisce a questi ultimi una libertà superiore ai primi, fatta eccezione per il fatto che dipendono comunque dall’esistenza di un supporto fisico che faccia funzionare la rete.
Il futuro immaginato da Santini è molto intrigante e a tratti inquietante. A questo proposito vi invito a leggere la mia recensione del libro.
 
Amantarra (libro 1 della trilogia intitolata L’ascensione di Valheel) di Richard J. Galloway è un romanzo che affronta l’argomento della digitalizzazione della coscienza da un punto di vista completamente diverso: quello di una razza aliena.
I Bruwnan esistono da metà dell’età dell’universo e dopo aver raggiunto la massima evoluzione possibile a livello fisico decidono di lasciare indietro i propri corpi e passare a una vita post-fisica. Le loro coscienze digitalizzate vivono da miliardi di anni in una città virtuale, Valheel, costruita dentro una sfera. Il processo di copia digitale porta la contestuale morte del corpo. Valheel però non si trova nel nostro spazio-tempo, ma esiste in una sorta di realtà alternativa e per rimanere attiva trae energia dalla biomassa che si trova nei pianeti dove gli stessi Bruwnan hanno instillato la vita.
Alcuni di loro, Amantarra e suo padre Artullus, si accorgono che da milioni di anni la popolazione di Valheel sta diminuendo, cosa che non dovrebbe accadere poiché le coscienze digitalizzate non muoiono. Qualcosa che alberga in questa realtà virtuale le sta eliminando. La ricerca di una soluzione porta Amantarra sulla Terra dal tempo degli uomini primitivi, passando per i secoli, fino agli anni ’70 del ventesimo secolo dove interagisce con dei ragazzi di una scuola superiore di periferia in Inghilterra. Anche in questa storia si osserva il ritorno dalla vita post-fisica a quella fisica grazie alla possibilità di scaricare la coscienza in un guscio vivente o in un essere umano vero e proprio dotato di capacità particolari (una sorta di ibridi).
Anche di questo libro potete leggere la mia recensione, scritta dopo averne letto l’edizione in inglese. Ho poi avuto il piacere di tradurlo in italiano.
“Amantarra” (edizione italiana) è disponibile in formato ebook ad appena 72 centesimi su Amazon e altri retailer.
 
In generale la vita post-fisica implica sempre un passaggio dalla materia vivente/organica a qualcosa che è non materia in senso assoluto (spirito dell’asceso, fantasma del Jedi e così via) oppure che alberga nella materia inorganica (server). Anche se la coscienza digitalizzata è un software e quindi di per sé immateriale, è però sempre qualcosa di misurabile e richiede energia esterna per sopravvivere.
Parlando però di metafore dell’immortalità dell’anima, nell’ambito della fantascienza c’è spazio per una sua rappresentazione senza il passaggio di cui sopra. Ciò si osserva in tutte quelle storie in cui la coscienza si sposta, per mezzo di metodi più o meno scientifici, da materia vivente ad altra materia vivente, che può essere anche diversa, tramite un processo organico/biologico o con un intermediario digitale in cui però tale coscienza non è attiva (è solo uno strumento di trasmissione). In questo contesto si possono notare similitudini al concetto spirituale/religioso di reincarnazione, che però meriterebbe un’analisi a parte.
 
Infine si può notare come spesso nelle storie in cui si verifica il passaggio da materia vivente ad altra materia vivente questo venga mostrato senza fornirne una spiegazione, come in tantissima fantascienza in cui si parla di clonazione. Ogni clone come per magia sembra possedere tutto o parte del background dell’originale, nonostante la clonazione sia a tutti gli effetti una copia del corpo a partire dal proprio genoma ma non certo della coscienza che viveva in esso (o dei ricordi che la definivano come tale) e quindi non abbia nulla a che vedere con l’argomento dell’immortalità dell’anima. Talvolta, quando si vuol far credere all’individuo in questione di essere l’originale, la presenza di queste conoscenze è voluta (non faccio esempi per evitare spoiler). In altri casi, invece, è addirittura un errore del processo di clonazione che complica le cose a chi voleva far uso di questi cloni per i propri scopi. Ops!
 
E con queste ultime riflessioni chiudo l'argomento. Spero che questi post vi siano piaciuti. Se non avete ascoltato il mio intervento su FantaScientificast, vi ricordo che è possibile trovarlo qui.
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Di Carla (del 24/07/2014 @ 10:00:00, in Lettura, linkato 2616 volte)

 Il tiramisù come non lo avete mai visto (e assaggiato) prima
 
Confesso che ho acquistato questo libro perché amo il tiramisù e spero di spingere qualcuno a prepararmi una di queste delizie!
Nel frattempo mi sono messa a leggere il libro e a studiare un po’ le ricette.
Prima di tutto trovo molto azzeccata l’idea di dedicare un intero libro a questo famoso dolce. L’autrice ha preso spunto dalle varianti della ricetta base del tiramisù che ha avuto modo di assaggiare nelle cene a casa degli amici. Ha poi chiesto ad amici e parenti di inviarle la ricetta corredata di foto. Si tratta quindi di un libro che raccoglie l’esperienza di diverse persone, per la maggior parte italiane, ma non tutte.
Devo dire che le ricette sono scritte in maniera molto chiara e sono estremamente facili da seguire anche per chi come me non è molto esperto in cucina, poiché le procedure vengono descritte passo passo. Chiunque ci si potrebbe cimentare.
Le foto sono molto belle e ben fruibili anche da chi ha scaricato il libro nell’ereader. Nonostante il bianco e nero, si apprezzano bene i dettagli, il file non è affatto pesante e il cambio pagina è fluido.
È davvero sorprendente la varietà di modi in cui è possibile preparare il tiramisù. Onestamente non avevo idea che ce ne potessero essere così tanti. Ci sono ricette per tutti i gusti e per tutte le abitudini alimentari (vegani, persone a dieta, celiaci) e permette di preparare un dolce per tutte le occasioni e tutti i tipi di ospiti.
Molto carina è la parte dedicata agli autori delle ricette. Abbiamo modo di conoscerli un po’ da vicino, scoprire dove vivono e cosa fanno nella vita. A ognuno di loro l’autrice ha anche chiesto quale fosse il suo dolce preferito.
Questo, però, non è solo un libro di ricette.
Nella parte iniziale l’autrice si sofferma a parlare del tiramisù, dei suoi ingredienti, e offre addirittura una lista di domande frequenti con relative risposte per chi non ha familiarità con questo dolce.
Dopo le ricette vi sono poi altre due sezioni.
Quella dei "Tiramisu Disasters" è molto utile per capire quali errori si possono fare nella preparazione, in modo da evitarli.
E poi c’è la divertente sezione del "Tiramisu Party" che propone delle idee originali per organizzare una festa a base di tiramisù, dagli inviti fino ai giochi (molto divertente il Tiramisu Quiz).
In breve si tratta di un libro ben fatto, utile per chi voglia cimentarsi nella preparazione di questo delizioso dessert, ma può essere anche un’ottima idea regalo.
 
Questo libro è in lingua inglese!
 
Leggi tutte le mie recensioni e vedi la mia libreria su:
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http://www.anobii.com/anakina/books
Goodreads: http://www.goodreads.com/anakina
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Di Carla (del 21/07/2014 @ 10:00:00, in Fantascienza e spiritualità, linkato 4392 volte)

Nel precedente post di questa serie (che trovate qui, mentre qui trovate il podcast) ho introdotto l’argomento della vita post-fisica nell’ambito della fantascienza, individuando i tre approcci con i quali viene rappresentata (soft, intermedio e hard) e facendo degli esempi dei primi due.
 
Oggi, invece, voglio presentarvi alcuni esempi del cosiddetto approccio hard, che è tipico del cyberpunk e di tutta quella fantascienza in cui il ruolo della rete (comunque questa venga rappresentata) e della realtà virtuale è predominante.
Il cyberpunk a dire il vero nasce negli anni ’80, cioè prima di internet (che arriva per la prima volta al pubblico nel 1991), ma è proprio l’accesso alla rete e il concetto di realtà virtuale che hanno aggiunto a questo sottogenere della fantascienza la capacità di rappresentare la vita post-fisica. Ciò avviene grazie al presenza nelle storie di una qualche tecnologia in grado di digitalizzare la coscienza di un essere umano, dando l’illusione di renderla eterna, sconfiggendo così la morte.
Al di là del fatto che si stia sconfiggendo o meno la morte, se si accetta il concetto che un software creato come copia di una coscienza organica di fatto sia vivo (e ciò viene dato per scontato in questo tipo di storie), si può a tutti gli effetti parlare di vita post-fisica.
 
Visto il tema attualissimo, esistono numerosi esempi di questo tipo di approccio. Quelli che seguono riguardano alcune mie letture e un film visto di recente, ma ci si potrebbe scrivere un trattato sull’argomento.
 
In realtà ho già parlato di vita post-fisica in alcuni miei post (e podcast) precedenti dedicati al rapporto tra fantascienza e spiritualità.
Nell’ambito della Trilogia del Vuoto di Peter F. Hamilton (trovate qui la serie di post a essa dedicati) abbiamo visto il cosiddetto ANA-Governo, dove ANA sta per Advanced Neural Activity. L’ANA altro non è che un’insieme di coscienze digitalizzate di tutti gli esseri umani che stanchi della vita fisica (la storia è ambientata nel 36esimo secolo dove la vita fisica può essere protratta in maniera pressoché indefinita), decidono di migrare verso la Terra per poi scaricare la propria coscienza digitalizzata nell’ANA, all’interno del quale possono comunicare tra di loro in una realtà virtuale, mentre, grazie alla rete e/o alla possibilità di scaricarsi temporaneamente in cloni o proiezioni solide, possono continuare a interagire col mondo fisico.
 
Nel franchise di Battlestar Galactica (qui trovate il post a esso dedicato), invece, in particolare nello spin-off Caprica, abbiamo visto un tipo diverso di vita post-fisica. Zoe Greystone crea una sua copia virtuale grazie a un programma di sua invenzione che la genera tramite un processo di estrapolazione a partire da tutte le attività in rete dell’originale. Questa copia di Zoe non solo ha tutti i ricordi dell’originale, ma non si sente affatto una copia e, quando Zoe muore, viene considerata come una sua versione post-fisica.
 
Ma vediamo brevemente altri due esempi.
 
Criptosfera di Iain M. Banks è un romanzo cyberpunk in cui in un futuro lontano, dopo aver usato le 8 vite fisiche concesse, le coscienze digitalizzate passano a una vita post-fisica nella criptosfera (una realtà virtuale molto complessa) dove vengono loro concesse altre 8 vite digitali. Con la differenza che le coscienze digitali non invecchiano, ma possono comunque venire uccise in seguito a incidenti o ammazzate.
 
Transcendence è film recente con Johnny Depp in cui, nel tentativo di creare un’intelligenza artificiale forte, si arriva alla conclusione che l’unico modo per avere con certezza una IA che abbia una coscienza sia copiarne una esistente. Will Caster che sta per morire fa l’upload della sua coscienza (tramite un lungo processo spiegato in maniera pseudo-scientifica) creando una copia immortale di sé, che ha con sé tutto il bagaglio di esperienze e sentimenti dell’originale tanto da sentirsi come tale.
 
Un aspetto curioso di (quasi) tutte queste storie che parlano di coscienze virtuale è che si tende a considerare la copia digitale al pari dell’originale, come se la vera coscienza/anima sia passata alla realtà virtuale, in un processo paragonabile a quello dell’approccio soft (ascensione dell’anima). In verità non è affatto così.
L’originale muore e ciò che resta è sola una copia.
Raramente questo aspetto viene affrontato, perché chi interagisce con questa copia ha l’impressione, o preferisce illudersi, di farlo con l’originale. Difatti però la digitalizzazione della coscienza non sconfigge la morte, è solo un’illusione di sconfiggerla, perché l’originale non esiste più. L’originale muore comunque. Chi pensa di diventare immortale digitalizzando la propria coscienza sta solo creando un’altra forma di vita (non organica) con i suoi ricordi e il suo carattere, una sorta di gemello virtuale (che come tutti i gemelli è uguale ma comunque un’altra persona).
 
Chi avrà l’illusione di aver vinto la morte è solo la copia che, avendo i ricordi dell’originale, ha la percezione di essere passato da uno stato fisico a uno post-fisico. Ma niente del genere è avvenuto.
Se ci pensate, dall’idea originale di combattere le proprie paure nei confronti della morte si arriva al fatto che, pur morendo, nessuno ti piangerà, perché per gli altri tu non sarai morto.
Personalmente trovo tutto ciò abbastanza inquietante. Più che vittoria sulla morte questa è semplice negazione della morte. Sarebbe interessante vedere questo aspetto affrontato nella fantascienza. (Magari qualcuno mi sa suggerire qualche libro o film?)
Persino in Caprica, in cui il fatto che la Zoe digitale sia una copia è palese, essendo stata creata dall’originale e avendo convissuto con lei per un certo tempo, quando la vera Zoe muore, gli altri personaggi, pur essendo consapevoli della vera natura di quella virtuale, decidono di ignorare questo fatto.
Alla fine la digitalizzazione della coscienza appare un metodo per evitare di soffrire per la morte altrui piuttosto che evitare di temere per la propria morte.
 
Con queste considerazioni quasi filosofiche chiudo il post.
Nel prossimo, che sarà anche l’ultimo dedicato alla vita post-fisica (lo trovate qui), riporterò altri due esempi di libri decisamente meno conosciuti rispetto a quelli della Trilogia del Vuoto, nei quali però riappare il ritorno dalla vita post-fisica a quella fisica. A partire da questo ultimo aspetto farò alcune considerazioni finali sulle similitudini e differenze fra l’argomento della vita post-fisica e un altro che compare per vie traverse nella fantascienza, cioè la reincarnazione.
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Di Carla (del 19/07/2014 @ 05:38:48, in Esplorazione spaziale, linkato 2916 volte)

Si chiama “Ticket To Rise” la campagna di fund raising organizzata da Mars Initiative che, a fronte di una donazione a partire da 10 dollari, permette di partecipare all’estrazione di un biglietto per volare sul veicolo spaziale XCOR Lynx Mark II (vedi foto) che raggiungerà la quota di 100 km di altitudine, riconosciuta internazionalmente come il confine dello spazio.
Si tratta di un’occasione davvero unica!
 
Il vincitore farà parte delle prime 100 persone a sperimentare questo volo spaziale a bordo del veicolo della XCOR (maggiori info sul veicolo e il volo a qui www.spacexc.com). Viaggerà da solo insieme al pilota nella cabina di comando. Il valore del biglietto è di 100 mila dollari, ma chi verrà estratto volerà gratis e al suo ritorno potrà fregiarsi del titolo di astronauta.
 
Il pacchetto, oltre a includere il biglietto “founder”, comprende:
- lo stato esclusivo di “Founding Astronaut” di SXC;
- training sul simulatore a 4g;
- partecipazione al party di prima esibizione al pubblico o assegnamento del veicolo;
- video dell’intera esperienza.
- diritto di vantarsi per tutta la vita.
Durante il volo, inoltre, si sperimenterà l’assenza di gravità per circa 5-6 minuti.
 
Le donazioni partono da 10 dollari. Il proprio nominativo viene inserito nell’estrazione per un numero di volte pari a 5 per ogni dollaro donato.
 
Facendo una donazione a Mars Initiative si partecipa alla raccolta di fondi che verranno destinati al primo progetto di missione umana su Marte che dimostrerà di essere in fase di realizzazione. In pratica si contribuirà a mandare i primi uomini su Marte.
 
Per supportare il lavoro di Mars Initiative è anche possibile iscriversi al programma di donazione o anche soltanto acquistare il merchandising ufficiale.
 
Allora, che aspettate?
Partecipate e, se sarete fortunati, andrete nello spazio!
Per visualizzare la campagna Ticket to Rise” fate clic qui.
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Di Carla (del 14/07/2014 @ 20:18:26, in Lettura, linkato 2566 volte)

 Tra fantasy e storia
 
Da buona appassionata di romanzi storici ambientati nell’antico Egitto non ho saputo resistere alla tentazione di leggere questo libro di un autore italiano che in questo genere si confronta con autori famosi quali Jacq e al pari di quest’ultimo mescola con efficacia i fatti storici reali con l’aspetto fantasioso della religione e magia del tempo.
Come ogni romanzo che cerca di racchiudere in sé gran parte della vita di un personaggio risente un po’ della sua struttura episodica. Vengono raccontati vari eventi, ognuno dei quali si conclude per dare spazio a sviluppi avvenuti in un periodo successivo. Per questo motivo al termine di ogni singola sfida che i protagonisti devono affrontare ci si può staccare dal libro senza grossi problemi. La narrazione è però così piacevole che si finisce poi per tornarci con la stessa facilità.
Gli eventi narrati vanno dall’arrivo di Archimede ad Alessandria fino alla sua “scomparsa” molti anni dopo a Siracusa, per la quale l’autore offre una spiegazione molto interessante.
Elemento centrale della storia, come si può desumere dal titolo, è la sua storia d’amore con la sacerdotessa Cleoth. Con delicatezza e sensibilità Bertoni ci racconta questo loro sentimento e le vicende cui esso li ha condotti, impreziosite da elementi fantasy che contribuiscono a dare a questo libro un alone di mistero in cui tutto è davvero possibile.
Accanto a esso c’è la storia, quella vera, e i racconti delle mirabolanti invenzioni di Archimede, genio del suo tempo, che vanno sapientemente ad arricchire il romanzo senza appesantirlo di nozioni e senza mai creare cali di tensione.
Insomma, un bel libro che vale molto più del prezzo irrisorio cui viene venduto.
 
 
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Di Carla (del 12/07/2014 @ 10:00:00, in Fantascienza e spiritualità, linkato 5478 volte)

Risale al 24 maggio il mio più recente intervento a FantaScientificast, durante il quale ho analizzato il tema della vita post-fisica nella fantascienza. Se vi siete persi la puntata, potete ascoltarla qui.
Come di consueto rieccomi a trattare di questo argomento con un post di approfondimento.
 
La vita post-fisica nell’ambito della fantascienza può essere vista come una sorta di metafora dell’immortalità dell’anima, come viene intesa in campo religioso/spirituale. In un certo senso è un modo di rappresentare nella letteratura, ma anche nel cinema, in TV, nei fumetti e così via, l’ambizione umana di vincere la morte, o anche solo di ritardarla il più possibile. Lo stesso accade nelle religioni, che nascono dal desiderio di dare una risposta alle grandi domande della vita, tra cui “dove andiamo?”. Le religioni offrono spesso una risposta a questa domanda che implica l’esistenza di una vita dell’anima che continua dopo la morte del corpo.
Il pensiero della possibilità di una vita post-fisica, sia in campo religioso/spirituale che fantascientifico, è di conforto di fronte alla paura della morte, non solo per i credenti nella vita reale, ma anche (diciamocelo) per chi legge o guarda le storie di fantascienza (o per chi le crea), se non in senso assoluto, almeno nel momento in cui si immerge in quei mondi e perde il contatto con la realtà.
 
Nella fantascienza esistono diversi modi per rappresentare la vita post-fisica, che però possono essere riassunti in tre approcci da me definiti, rispettivamente, soft, hard e intermedio.
 
L’approccio soft si osserva in quelle storie in cui i personaggi, dopo la morte o per loro scelta a un certo punto della loro vita, “ascendono” a una vita di puro pensiero e possono riapparire nelle vicende sotto forma di fantasmi, emanazioni, apparizioni o simili. L’ascensione alla vita post-fisica porta a un’esistenza indefinita in una realtà alternativa (concetto che ricorda il paradiso). Questo passaggio non viene in alcun modo spiegato scientificamente e perciò l’approccio soft implica una forte deriva fantasy.
 
L’approccio hard, invece, si osserva tipicamente nel cyberpunk o comunque nella fantascienza che parla di realtà virtuale. In questo caso per forza di cose ci riferiamo a una fantascienza più recente, successiva all’avvento di internet o di poco precedente.
In queste storie la coscienza dei personaggi viene digitalizzata (e ciò rappresenta un tentativo di spiegazione scientifica) per crearne una versione virtuale che ha la percezione di essere l’essere umano (o alieno che sia) originale, sebbene non sia altro che una copia. Questa coscienza digitale copia di una reale (da ciò si differenzia dall’intelligenza artificiale che è, invece, creata ex-novo) è potenzialmente immortale, appunto come l’anima.
Sebbene qui si tenti di dare una spiegazione pseudoscientifica, a questa tipologia appartengono storie sia della fantascienza hard che di quella più o meno soft (come la space opera), ciò però non implica necessariamente una deriva fantasy.
 
Infine abbiamo l’approccio intermedio che è tipico di storie concepite prima della nascita di internet in cui si mescolano aspetti scientifici, o psedoscientifici, ad altri spirituali oppure addirittura onirici. Spesso il confine tra i due non è affatto definito.
 
E adesso veniamo a qualche esempio. In questo post mi limiterò a farne qualcuno sul primo e l’ultimo approccio, lasciando il secondo, ben più corposo, a uno nuovo che vi presenterò fra qualche giorno.
 
Rientra a pieno titolo nell’approccio soft la saga di Star Wars, soprattutto la vecchia trilogia che era caratterizzata da un alone fantasy. In quella nuova si è poi provato a dare delle spiegazioni pseudoscientifiche, anche se non particolarmente convincenti (e direi anche del tutto inutili). In particolare mi sto riferendo al fatto che alcuni Jedi, come Obi-Wan Kenobi o Anakin Skywalkerdopo la morte del corpo, riappaiono nella storia sotto forma di “fantasmi”. Addirittura in “Guerre Stellari” (come a noi fan sentimentali piace ancora chiamarlo), quando Obi-Wan Kenobi viene colpito a morte da Darth Vader, si smaterializza!
 
Un altro esempio di approccio soft è quello che si osserva nel franchise di Stargate SG-1. Qui si viene a sapere dell’esistenza di una razza aliena ormai “estinta”, cioè la razza degli Antichi, che non esiste più nello spazio tempo reale poiché è ascesa. L’ascensione ha un ruolo importante nelle varie stagioni della serie e dei suoi spin-off, poiché a essa ambiscono altre razze, tra cui addirittura i replicanti di Stargate Atlantis, che però non potranno mai raggiungerla in quanto non sono degli esseri organici. In questo caso l’ascensione alla vita post-fisica non necessariamente segue la morte, ma è uno stato che gli individui, in particolari condizioni, possono raggiungere di propria volontà da vivi, in quanto considerato molto più desiderabile della stessa vita fisica.
 
L’esempio classico dell’approccio intermedio può essere riassunto con un nome: Philip K. Dick.
In “Ubik”, per esempio, Dick unisce l’elemento scientifico (la conservazione dei corpi dei morti che permette il mantenimento di una piccola attività cerebrale con modalità non del tutto spiegate) all’aspetto onirico e a una prima invenzione di una “realtà virtuale” (nel senso di opposta a quella reale) ben prima della nascita di internet.
 
Non voglio entrare nel dettaglio per evitare anticipazioni nei confronti di chi non l’avesse letto, ma già da queste poche informazioni si nota la presenza di elementi degli altri due approcci, in particolare di quello hard, con l’essenziale differenza che quando Dick scrisse questo libro non esisteva di certo internet né tanto meno il concetto di realtà virtuale. Si tratta di vere e proprie speculazioni scientifiche, fatte sulla base delle conoscenze del periodo, in cui, però, si potrebbe vedere addirittura qualcosa di profetico.
 
E qui mi fermo. Nel secondo post dedicato a questo tema, invece, mi soffermerò su degli esempi relativi all’approccio hard nella rappresentazione della vita post-fisica nella fantascienza (lo trovate qui).
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Di Carla (del 09/07/2014 @ 10:24:03, in Lettura, linkato 2725 volte)

 Affascinante ma deludente
 
Sono sempre molto attratta da libri ambientati in luoghi lontani e i cui protagonisti vivono culture profondamente diverse dalla mia. Sono storie che aprono la mente, che ci insegnano a vedere il diverso e a rispettarlo, per quanto ci appaia estraneo e contrario al nostro modo di vedere, a ciò che noi consideriamo giusto. E, da donna, mi piacciono le storie di questo tipo raccontate dal punto di vista di una donna, che spesso mi portano a notare che, sebbene nelle differenze, esistono comunque dei punti in comune, che sono universali.
Con queste aspettative mi sono cimentata nella lettura di “An Unproductive Woman”. Dal titolo si può immaginare di cosa parli. È la storia di una donna che non riesce ad avere figli, ma è allo stesso tempo molto più complessa di così.
È ambientata in Senegal, in un contesto musulmano, con una figura di donna intesa come madre di figli e in situazioni di poligamia in cui spesso il marito è molto più vecchio delle sue mogli.
È già un argomento difficile da trattare per una donna occidentale, ma ha un suo fascino. È interessante apprendere il modo di pensare di queste donne per le quali è normale sposare un uomo ben più grande di loro, per le quali la presenza di altre mogli è qualcosa che può accadere, sebbene non vadano matte per l’idea, ma tendono comunque ad adattarvisi. È interessante vedere questo tipo di dinamiche familiari e tutti i problemi di gelosie, discussioni e litigi che vi si possono osservare.
C’è da specificare che non siamo di fronte a situazioni che implicano abusi. Le donne raccontate in questo romanzo sono donne libere di fare ciò che vogliono. Gli unici limiti che hanno sono quelli dettati dalla loro stessa mentalità.
Il libro è scritto molto bene, lo stile evocativo dell’autrice ti porta dentro la testa di queste donne e dei loro uomini.
Eppure non ne sono stata soddisfatta.
La trama abbastanza complessa aveva degli spunti interessanti. Adam dopo aver vissuto un lungo periodo in America dove aveva una moglie e un figlio maschio, torna in Senegal per “dovere”, perché la sua famiglia, che non sa nulla di questa moglie e questo figlio, vuole che lui prenda moglie nel suo Paese.
E lui lo fa. Per poi passare il resto della sua vita a pentirsi di aver perso quel figlio maschio. Sì, avete letto bene, il figlio maschio, non perché ha abbandonato la sua famiglia.
Il motivo del suo pentimento è soltanto che la sua nuova giovane moglie, Asabe, sembra non essere in grado di dargli alcun figlio, tanto meno maschio. In caso contrario appare evidente che mai si sarebbe pentito.
Mentre Adam si affanna a trovare una moglie capace di ciò, una serie di sfortune, morti, nascite di figlie femmine, malattie e così via gli impediscono di raggiungere questo sogno. Qui l’ironia della sorte, o il karma, o il suo stesso Dio lo stanno punendo per il suo comportamento. E questo è forse l’aspetto più equilibrato della storia.
Dal canto suo Asabe, che non sa nulla del suo passato, continua ad amarlo e subire quel suo desiderio che lei non può esaudire. Mentre il figlio perduto da adulto scopre che il padre lo cercava.
Tutto ciò ha le potenzialità di un grande dramma e, invece, si sgonfia in un insulso buonismo davvero difficile da mandare giù.
Non c’è vero pentimento laddove ci dovrebbe essere, e c’è perdono laddove pare del tutto impossibile che ci sia.
Onestamente non so se la storia possa essere realistica. Da occidentale non lo sembra, ma cercando di aprire la mente ad altre culture le concedo il beneficio del dubbio e dico che forse la sospensione dell’incredulità potrebbe aver retto.
Ma ciò non impedisce l’esistenza di due aspetti veramente deludenti.
Il primo è il tentativo di presentare una situazione controversa per poi farla piegare al conformismo dell’ambiente in cui si sviluppa. In tutto questo dov’è la crescita dei personaggi? Non c’è. Sono tutti statici, fermi sulle loro convinzioni o, peggio, invece finiscono per regredire. La riconciliazione è di una prevedibilità disarmante.
Nella vita reale sono convinta che succeda così, la gente per quieto vivere lascia correre, perdona, va avanti. Ma questa è finzione. Se nella finzione il conflitto non porta a una crescita e a una risoluzione inattesa, i fatti sono due: non funziona lasciando il lettore perplesso o semplicemente lo annoia poiché non offre nulla di nuovo.
L’altro aspetto che proprio non riesco ad accettare è questa immagine della donna che come unici pensieri ha fare figli, avere cura di loro, del marito, i loro sentimenti, i pettegolezzi, le gelosie... ecc... solo e unicamente queste cose. Nonostante il romanzo entri nel dettaglio in tutti questi aspetti, raccontandoci anche la quotidianità di queste donne, mai una volta che in loro riesca a trasparire un benché minimo interesse per un qualsiasi altro argomento. A parte forse Asabe che vediamo qualche volta curare il giardino (ma pare più che altro un aspetto di contorno), possibile che non abbiano altri interessi nella vita? E, badate bene, non parliamo di una famiglia che vive in condizioni di indigenza in cui le donne non si possono permettere “frivolezze” (ovviamente non sono veramente frivolezze, visto che gli interessi di una persona ne definiscono la sua essenza), tutt’altro. Adam è un imprenditore. Le sue mogli hanno tutto quello di cui hanno bisogno. Capisco che tradizionalmente si occupino di faccende “da donne”, okay, ma oltre a questo il nulla. O sono donne di una pochezza di spirito pazzesca (tutte?) o, come penso, l’autrice ha deciso di volerci mostrare dei personaggi la cui continua preoccupazione è quella di ottenere l’attenzione di un uomo codardo ed egoista. Sembra quasi che la sua sia una provocazione nei confronti del mondo occidentale in cui lei vive.
Niente mi convincerà che una cosa del genere possa essere realistica. E purtroppo, benché io possa apprezzare il suo intento, ne sono rimasta delusa, poiché, in poche parole, non me l’ha data a bere.
 
Questo libro è in lingua inglese!
 
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Di Carla (del 02/07/2014 @ 01:09:19, in Lettura, linkato 4856 volte)

 Quando la natura toglie il respiro
 
Un bel thriller pescato per caso dalla mia collezione di ebook. La storia è ambientata in una cittadina dell’Oklahoma che viene periodicamente colpita dai tornado. Dopo uno di essi particolarmente forte, lo sceriffo trova un’intera famiglia morta nella sua casa, all’apparenza uccisa dai detriti lanciati della forti raffiche di vento. Ma qualcosa non quadra.
E così che inizia una storia che parla di un impavido serial killer che uccide durante i tornado, sfruttando la forza della natura per non lasciare traccia.
Il romanzo è una sorta di incrocio tra un classico crime thriller e un techno-thriller alla Crichton (non a caso mi viene in mente “Twister”). Infatti alla suspense, gli omicidi e le indagini, si unisce una dettagliata spiegazione scientifica dei fenomeni meteorologici e del modo in cui vengono studiati, che mi ha reso la lettura del libro particolarmente interessante.
Unico neo è una certa prevedibilità riguardo all’identità dell’assassino. In realtà la Blanchard avrebbe anche giocato bene le sue carte, ma il suo compitino è troppo perfetto. Un esperto lettore di thriller non ha difficoltà a individuare l’unico personaggio che rientra nel profilo del serial killer, che rimane un po’ in disparte e sul quale non si hanno mai sospetti. Insomma ci si arriva per esclusione.
Per quanto mi riguarda, poi, non mi sono sentita eccessivamente coinvolta dai personaggi, ma ciò potrebbe essere dovuto a motivi miei di gradimento personale e non a un difetto del romanzo.
Le scene finali sono davvero emozionanti e qui l’autrice si fa perdonare. A un certo punto, quando tutte le carte sono scoperte, i protagonisti si trovano ad affrontare il più grande nemico che possano avere: la natura. E, per quanto mi aspettassi che tutto sarebbe andato bene, devo ammettere che mi pareva quasi di sentire il vento fischiarmi nelle orecchie.
 
 
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07/12/2024 @ 08:48:34
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