Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Carla (del 26/05/2025 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 251 volte)
Tempo fa ho recuperato una vecchia serie su Sky, “Roma”, che comprende due stagioni trasmesse tra il 2005 e il 2007. È una produzione HBO/BBC ed è stata girata a Cinecittà.
La serie racconta l’ultima parte del periodo repubblicano dall’ascesa di Giulio Cesare a quella di Ottaviano. Le vicende storiche ben note, e fin troppo spesso raccontate in film, serie tv e romanzi, si intrecciano a quelle totalmente inventate di due legionari romani.
Sappiamo bene cosa è successo a Cesare, Marco Antonio, Cleopatra e Ottaviano. Non si guarda questa serie per conoscere la storia (anche perché è pesantemente romanzata), bensì per divertirsi nell’immaginarla collegata strettamente alla vita di Tito Pullo e Lucio Voreno.
In realtà, i due soldati sono realmente esistiti, ma quel poco che si sa di loro rende improbabile che i loro destini abbiano seguito quelli dei sopraccitati personaggi storici. Ciò ha dato agli sceneggiatori la libertà di immaginarli molto vicini a Cesare, Marco Antonio e Ottaviano, tanto da essere sempre presenti al loro fianco nei momenti storici più importanti.
Non entro nei dettagli, poiché è divertente scoprirli durante la visione.
Gli sceneggiatori hanno poi piegato più volte i fatti reali per rendere la trama più adatta e interessante per gli spettatori. E direi che ci sono riusciti. Sebbene sapessi già come sarebbe andata a finire, sono rimasta incollata allo schermo per tutto il tempo, anche grazie al modo in cui nella trama si mescolano elementi drammatici e altri ben più leggeri e ironici (in particolare quelli legati al personaggio di Tito Pullo).
Ho apprezzato inoltre moltissimo l’aspetto scenografico e i costumi. Alcune ricostruzioni, come il trionfo di Cesare, sono meravigliose.
Mi è anche piaciuto molto il modo in cui viene mostrata la politica di allora e come i suoi protagonisti sfruttino elementi di diffusione delle notizie (come i graffiti sui muri e gli annunci nel foro) a proprio vantaggio.
Tutto sommato, non c’è grande differenza tra i meccanismi di allora e quelli di oggi dal punto di vista concettuale. Ciò che è diverso è che i nemici politici all’epoca venivano semplicemente uccisi. Adesso nella maggior parte dei paesi civilizzati si tende a usare metodi un po’ meno diretti (di solito!).
Insomma, questa serie mi è piaciuta molto e ve la consiglio.
Una curiosità: la fine della serie si sovrappone in parte, dal punto di vista storico, all’inizio di “Domina” (serie Sky Original).
Credo che sia interessante vedere come gli stessi personaggi, nello specifico Ottaviano e Livia, siano rappresentati in maniera completamente diversa nelle due serie, proprio perché diverso è l’obiettivo della narrazione.
Di Carla (del 21/04/2025 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 324 volte)
È disponibile su Sky e Now “Omicidio a Easttown”, con Kate Winslet nel ruolo della protagonista, la detective Marianne “Mare” Sheehan. Si tratta di una miniserie di sette puntate di circa un’ora ciascuna.
Dico subito che mi è piaciuta tantissimo!
La storia sembra qualcosa di già sentito. In una cittadina dove tutti si conoscono, tanto che, quando hanno un problema, anche il più banale, chiamano direttamente la detective Sheehan (nota come Mare), invece che la centrale di polizia, da oltre un anno una ragazza è scomparsa e adesso un’altra viene trovata morta nel bosco.
Mare investiga e lo fa a modo suo, non rispettando sempre le regole.
C’è forse un collegamento? Ci sarà mica di mezzo un serial killer?
È quello che ci si aspetta dal classico poliziesco ambientato in una tranquilla cittadina americana dove viene commesso un crimine che sconvolge tutti.
Ma “Omicidio a Easttown” non rientra in questa categoria di serie TV. L’errore di valutazione è in parte dovuto alla traduzione del titolo, che utilizza la parola “omicidio”, mentre l’originale è “Mare of Easttown” e mette l’accento sulla protagonista.
Questa miniserie ci racconta di una donna che ha dovuto affrontare una tragedia e che cerca di sopravvivere dedicandosi al proprio lavoro in polizia e quindi al servizio della comunità. Ma racconta anche le complesse vicende che coinvolgono vari abitanti di Easttown, che si intrecciano tra loro e con i crimini su cui Mare sta investigando.
C’è una complessità della trama e un approfondimento dei personaggi tale, che ho pensato che fosse tratta da un romanzo. A dire la verità, ne ero quasi certa, quando è venuto fuori che uno dei personaggi (interpretato da Guy Pearce) era il tipico scrittore che, dopo aver avuto tanto successo con un libro, non ne ha più scritto altri ed è finito a fare l’insegnante (cliché che si trova in tanti romanzi).
E invece no. È una miniserie originale realizzata per la TV, che è scritta in maniera ineccepibile e che si sviluppa senza forzature, senza eccesso nell’uso delle coincidenze e delle scorciatoie. È così ben scritta, che potrebbe essere una storia vera, banalmente tragica come solo la realtà sa essere, ma raccontata con i tempi perfetti che solo la finzione è in grado di creare.
Ogni puntata incuriosisce e termina con un nuovo elemento o un colpo di scena inatteso che lascia lo spettatore sospeso. Il vero assassino salterà fuori solo alla fine, dopo che molti sospettati sono stati messi in evidenza, ma rappresenta anche la soluzione che ha più senso per spiegare il crimine, solo che è anche quella cui difficilmente si arriva a pensare, soprattutto se si crede di guardare una semplice serie poliziesca invece di quello che è in realtà: un dramma.
In tutto questo risplende la bravura di Kate Winslet, la cui presenza è già di per sé una garanzia di qualità e che, affiancata da un ottimo cast, rende credibile l’intera messa in scena e ci rende partecipi delle paure e del dolore di Mare, un personaggio che grazie al suo intuito e alla sua fallibile umanità non può che affascinarci e coinvolgerci.
Insomma, è una miniserie che merita assolutamente di essere vista!
Di Carla (del 03/03/2025 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 352 volte)
La miniserie Sky Original “Funny Woman” (6 puntate) è tratta dal romanzo “Funny Girl” di Nick Hornby.
Posso dire che è senza dubbio il mio romanzo preferito di Hornby o, più precisamente, quello che mi è piaciuto dall’inizio alla fine. In genere, infatti, i libri di Hornby mi piacciono tanto, ma tendo a trovare i finali deludenti.
Comunque, tra il libro e la miniserie c’è una differenza fondamentale: il primo sembra una storia vera, mentre la seconda è chiaramente finzione.
La forza del romanzo era proprio la scelta di scriverlo come se fosse un resoconto romanzato della storia di Barbara Parker/Sophie Straw, con tanto di foto disseminate lungo il testo. Quindi, nell’affrontare la serie (di cui Hornby è uno dei produttori), hanno dovuto per forza di cose mettere in evidenza altri aspetti. Si è cercato comunque di portare al suo interno lo stesso senso di autenticità, utilizzando di tanto in tanto spezzoni di video che sembravano di repertorio, ma era comunque chiaro fin dall’inizio che si trattava di una storia inventata.
A mio parere, i punti di forza della miniserie sono due.
Uno è il modo in cui è stata suddivisa la storia nelle sei puntate, scegliendo sempre il punto perfetto dove inserire l’interruzione, quello che da una parte ti fa venire voglia di continuare con la puntata successiva, ma allo stesso tempo sei abbastanza appagato per fermarti, se non puoi restare davanti alla tv.
Il secondo è senza dubbio la bravura degli interpreti. Una biondissima (ossigenatissima) Gemma Arterton è perfetta nel ruolo di Barbara/Sophie. È esattamente come l’avevo immaginata e si è dimostrata bravissima nell’interpretare la ex-reginetta di Blackpool che nel 1964 approda a Londra in cerca fortuna. Inesperta all’inizio e considerata poco intelligente per via del suo aspetto, in breve tempo e con un po’ di fortuna e astuzia trova il modo di farsi valere.
Ma anche gli altri attori erano perfettamente calati nella parte e nello spirito della miniserie.
Una menzione speciale va a Rupert Everett nel ruolo dell’agente di Sophie Straw (e inventore del suo nome), che, pur imbruttito e invecchiato ancora di più dal trucco, resta sempre un grande attore.
L’ho vista in inglese, quindi non so come se la siano cavata nell’adattamento, ma almeno nella versione originale i dialoghi sono spumeggianti, con un sacco di doppi sensi esilaranti, ma al contempo molto British.
Insomma, se volete vedere qualcosa di leggero e che vi lasci col buonumore, guardate “Funny Woman”!
Di questa serie è stata prodotta anche una seconda stagione di sole quattro puntate, che suppongo continui la storia della protagonista oltre a ciò che è narrato nel libro, ma in Italia non è stata ancora trasmessa.
Di Carla (del 13/01/2025 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 430 volte)
Una delle ultime serie che ho visto è “The Devil’s Hour”. È una produzione originale di Amazon, quindi è in esclusiva su Prime Video. Finora sono disponibili due stagioni, per un totale di 11 puntate, ma è già in produzione una terza.
Si tratta di una serie che viaggia tra il thriller, il dramma e il soprannaturale, ma non nel modo che suggerirebbe il titolo!
Ne sono stata attratta per via del cast (Peter Capaldi e Jessica Raine) e del fatto che è una produzione britannica, ma non ho iniziato subito la visione, poiché la presenza della parola “diavolo” nel titolo mi aveva fatto pensare a un tipo di fantasy mistico/demoniaco.
Invece, non c’entra nulla!
Prima di andare avanti, vi avverto che, pur non raccontando nulla della storia in sé, nelle prossime righe svelerò qualche dettaglio del tema alla sua base.
Se preferite scoprirlo durante la visione (come ho fatto io), fermatevi qui e iniziate subito a guardare la serie. Vi dico solo che questo tema si trova tipicamente nelle storie di fantascienza, sebbene questa non lo sia (ma si rimane comunque nel fantastico).
Se invece siete curiosi, andate avanti. In ogni caso, non vi darò dettagli su come questo tema si incastra nella storia. Tranquilli.
Il titolo deriva dall’orario, le 3:33, chiamato appunto l’ora del diavolo, in cui la protagonista, Lucy Chambers, si sveglia tutte le notti, interrompendo di solito un incubo.
L’elemento fantastico, però, è di ben altra natura: i loop temporali.
Come dicevo, di solito questo tipo di elemento è tipico delle storie di fantascienza che hanno a che fare con la manipolazione del tempo o i viaggi nel tempo. Infatti, di recente mi è capitato di trovarlo nella serie “Progetto Lazarus”, in cui questi loop avevano una spiegazione pseudoscientifica.
In “The Devil’s Hour”, invece, ogni tentativo di spiegazione, pur rientrando nell’ambito del fantastico, riguarda più che altro la sua componente fantasy e soprannaturale.
Poco importa, poiché il tipo di storia che ne viene fuori, in cui alcuni personaggi sanno già cosa avverrà e possono modificare il corso degli eventi e/o in cui ci vengono mostrate linee temporali diverse con gli stessi personaggi che in qualche modo si influenzano, dà vita a una struttura complessa della trama che sfida la capacità di concentrarsi e l’attenzione per i dettagli dello spettatore.
Tutto questo è calato nel contesto di un thriller poliziesco con un possibile serial killer, ma in cui il cattivo non è necessariamente quello che si pensa.
Insomma, “The Devil’s Hour” ha tutti gli elementi in grado di dare vita a una storia intrigante e che ti tiene incollato allo schermo.
E ci riesce alla grande!
Uno dei punti di forza di questa serie è proprio il fatto che trascende i cliché e i luoghi comuni dei generi e li rimescola, portando di continuo lo spettatore a dubitare delle proprie conclusioni e verso sempre nuovi sviluppi, che poi alla fine collimano alla perfezione.
Forse potrebbe scoraggiare lo spettatore che si aspettava qualcosa di più semplice, ma io consiglio di andare avanti senza paura, poiché, anche se all’inizio qualcosa può sfuggire, tutto viene spiegato tra l’ultima puntata della prima stagione e la prima della seconda. Da qui la storia si sposta verso un’altra direzione, mettendo in evidenza il vero cattivo.
Ma, per sapere se i nostri protagonisti riusciranno a individuarlo e fermarlo, dovremo aspettare almeno la terza stagione, in cui, viste le premesse dell’ultima puntata della seconda, la struttura della storia potrebbe subire un ulteriore ampliamento, che però sono certa che siamo pronti ad affrontare.
Non posso davvero entrare nei dettagli, perché gran parte del divertimento è proprio esplorare questa struttura narrativa. C’è comunque da dire che la prima stagione, uscita nel 2022, ha avuto subito un ottimo successo, tanto che ne sono state ordinate altre due. Ciò significa anche queste ultime sono state ideate e scritte come un’entità unica e non un semplice prolungamento l’una dell’altra, il che giova sicuramente alla narrazione e al mantenimento della coerenza narrativa.
Non so se consigliarvi di vedere subito queste due stagioni o di attendere la disponibilità della terza, perché la seconda termina con un discreto cliffhanger, ma allo stesso tempo “The Devil’s Hour” mi è piaciuta così tanto e mi sono divertita talmente a vederla, che non mi dispiace affatto dover attendere per sapere come continuerà.
D’altra parte, l’attesa del piacere è essa stessa piacere, no?
Di Carla (del 23/12/2024 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 424 volte)
Oggi vi segnalo la miniserie (8 puntate) “Un gentiluomo a Mosca” disponibile su Paramount+ e tratta dall’omonimo romanzo storico di Amor Towles.
Ho visto questa serie in un lasso di tempo abbastanza lungo (una puntata alla settimana o anche meno) e mi sono resa conto che un ritmo del genere era particolarmente adatto alla storia, che si svolge in un periodo di 30 anni.
Il protagonista, il conte Alexander Rostov, dopo la rivoluzione russa viene messo agli arresti domiciliari presso l’Hotel Metropol di Mosca. Costretto ad abbandonare la sua suite e (quasi) tutti i suoi oggetti personali, verrà trasferito in una soffitta piccola, buia e fredda, ma potrà utilizzare tutti i servizi dell’albergo.
Ewan McGregor è perfetto nel ruolo del nobile che ha perso di colpo tutti i suoi privilegi, ma che prova a adattarsi e, anche grazie al rapporto con i personaggi che lavorano o soggiornano spesso l’hotel, a plasmare l’ambiente che lo circonda per costruirsi una vita soddisfacente, a tratti pure felice.
Là fuori la Russia affronta un difficile periodo di cambiamenti e un’evoluzione dagli esiti incerti, la cui eco raggiunge in parte l’universo dorato del Metropol, dove Alexander deve destreggiarsi tra le minacce di un agente della Cheka (polizia segreta sovietica) di porre fine alla sua prigionia con la morte, l’interesse più o meno romantico per l’attrice Anna Urbanova, quello nei suoi confronti della piccola Nina Kulikova, figlia di uno dei dipendenti, che diventerà per lui una sorta di figlioccia, e i morsi della tristezza, che a un certo punto lo portano molto vicino ad assecondare il desiderio di farla finita.
Questa serie offre un punto di vista originale sugli eventi storici della Russia tra il 1917 e il 1947 e, mescolando dramma e ironia, si lascia guardare con piacere e con un discreto coinvolgimento.
Ho trovato particolarmente azzeccato il finale quasi aperto (anche se, purtroppo, sappiamo bene che non è così), che ti fa sorridere ma con una lacrimuccia sempre lì in agguato.
Però c’è qualcosa che di tanto in tanto riesce a rompere la magia, vale a dire la scelta di fare un casting colour-blind, cioè senza tenere conto dell’etnia degli interpreti.
È una cosa che comprendo e ha un suo senso in ambito teatrale, in cui lo sforzo immaginativo dello spettatore è da sempre parte stessa dell’esperienza, ma in una serie televisiva storica, che in moltissimi aspetti riproduce in maniera fedele la Russia di quel periodo, ritrovarsi con circa un quarto o più dei personaggi di colore (tra cui un bolscevico con i dreadlock!) è abbastanza straniante.
Non metto in dubbio che gli attori scelti siano bravissimi. Lo sono senza dubbio, spesso però i personaggi che interpretano sono talmente poco sviluppati da rendere qualsiasi bravura del tutto irrilevante, facendo quindi sorgere il “dubbio” che si tratti di una scelta puramente retorica.
Ma il vero problema è che, anche se il casting è “cieco”, lo spettatore non lo è per niente. L’aspetto di questi personaggi è di fatto una distrazione che riporta quest’ultimo costantemente alla realtà, infrangendo il coinvolgimento di cui parlavo prima.
E questo non va per niente bene.
Di Carla (del 09/12/2024 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 403 volte)
Di recente ho visto su Paramount+ la miniserie “Un letto per due” (The Flatshare, nella versione originale), tratta dall’omonimo romanzo di Beth O’Leary e composta da 6 puntate di 45 minuti circa.
Dopo aver visto “ The Lovers”, di cui vi ho parlato tempo fa, mi sono buttata su un’altra commedia romantica britannica, prima di passare a qualcosa di più impegnativo.
L’idea di base da cui parte la storia è abbastanza originale: Tiffany e Leon, a causa di problemi economici, sono costretti a dividersi un piccolo appartamento a Londra, ma in maniera tale da non incontrarsi mai. Ne condividono infatti tutto, incluso il letto, solo che lei può usarlo dalle 20 alle 8 e nei weekend, mentre a lui spetta la fascia oraria dalle 8 alle 20 (i weekend li passa a casa della sua ragazza).
Tiffany lavora per un web magazine e si è appena lasciata con il suo ex, Justin, con cui aveva (e in parte ha ancora) una relazione tossica. Ritrovatasi senza un posto dove vivere e con pochi soldi, ha accettato la proposta di Leon.
Lui, invece, lavora di notte in un hospice e vuole mettere dei soldi da parte per cercare di tirare fuori il fratello di prigione.
I due non si sono mai visti, non conoscono l’uno l’aspetto dell’altra, e viceversa, non possono incontrarsi, né parlarsi al telefono o tramite messaggi col cellulare, ma comunicano esclusivamente attraverso dei post-it.
L’idea è sicuramente stuzzicante, anche se non viene mai chiarito come siano arrivati a questo accordo, visto che appunto non si sono mai incontrati!
L’esecuzione è a tratti molto divertente, grazie anche alla bravura dei due attori principali, Jessica Brown Findlay e Anthony Welsh, ma per tutta la visione ho avuto l’impressione che mancasse qualcosa. Sì, perché in una storia ambientata a Londra c’è ben poca traccia dello humour britannico che tanto avrebbe giovato alla sua narrazione.
I comprimari, poi, sono appena accennati, bidimensionali, cosa che non si spiega, vista la durata delle puntate e il loro ritmo non particolarmente serrato.
La storia è costellata qua e là da diversi spunti, anzi, troppi: relazioni tossiche, problemi giudiziali, relazioni omosessuali, relazioni interrazziali (praticamente tutte, tranne quella tossica), malattie terminali, abbandono degli anziani e così via, ma tutti appena accennati e spesso proprio buttati lì, quasi si stesse, volta per volta, mettendo un segno di spunta a una casella. Sarebbe stato meglio concentrarsi su pochi e svilupparli meglio.
A questo aggiungiamo alcune svolte importanti nell’economia della storia un po’ telefonate, mentre altre impreviste che però non sono molto convincenti, come, per esempio, situazioni senza speranza che si risolvono inspiegabilmente di colpo.
D’altra parte, la curiosità di scoprire in che modo si arriverà all’atteso lieto fine viene tenuta viva attraverso un continuo complicarsi degli eventi e dall’astuzia degli sceneggiatori nell’interrompere la storia a fine puntata sempre nel momento giusto.
Insomma, è una serie divertente, con alcuni ottimi punti di forza che riescono almeno in parte a farci chiudere un occhio sui tanti deboli.
Mi sento di consigliarvela.
Di Carla (del 25/11/2024 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 594 volte)
Una delle ultime serie che ho visto è “The Lovers”. Si tratta di una commedia romantica Sky Original, di sei puntate da 30 minuti l’una, decisamente spumeggiante!
La storia è quella dell’egocentrico Seamus, presentatore televisivo inglese, ma di origini irlandesi, che durante le registrazione di un programma a Belfast è preso di mira da un gruppo di giovani locali che lo vogliono picchiare e, nel fuggire, finisce nel cortire di Janet, una cassiera depressa che proprio in quel momento sta per uccidersi.
Tra i due, che sono l’uno l’opposto dell’altra (lui egocentrico e vanitoso; lei depressa, cinica e con uno spiccato humour nero), scatta qualcosa.
Solo che lui è fidanzato con una nota attrice (interpretata dalla bravissima Alice Eve) e lei, be’, nasconde qualcosa.
La loro vicenda si svolge in sei rapide puntate scoppiettanti che, con un ritmo forsennato, un alternarsi di situazioni bizzarre e continui cambiamenti di direzione, vi stupiranno, vi faranno ridere a crepapelle, ma talvolta anche riflettere, e alla fine vi lasceranno con un piacevole senso di appagamento.
Merito di tutto ciò va dato a una sceneggiatura che sa dosare ironia e romanticismo, senza esagerare in nessuno dei due aspetti, con dialoghi brillanti in cui i due protagonisti, perfettamente interpretati da Johnny Flynn e Roisin Gallagher, si confrontano in maniera schietta, a tratti rude e soprattutto imprevedibile, rivelandosi così l’uno all’altra e al pubblico.
Il tutto si svolge in un contesto in cui ciò che è giusto e ciò che è sbagliato vengono sospesi, lasciando spazio alla sincerità più cruda ed esilarante.
Assolutamente da vedere!
Di Carla (del 11/11/2024 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 415 volte)
Nelle scorse settimane ho guardato su Amazon Prime Video la prima stagione della serie “Those About to Die”, ambientata nella Roma del 79 d.C e ispirata al romanzo omonimo di Daniel P. Mannix, che aveva a sua volta ispirato “Il Gladiatore” di Scott (ma la storia della serie e quella del film non hanno praticamente nulla in comune).
Vengono narrate alcune vicende relative all’ultimo periodo di vita di Flavio Vespasiano e a quello immediatamente successivo alla sua morte, avvenuta proprio nell’anno della famosa eruzione del Vesuvio che portò alla distruzione di Pompei.
La serie include ingredienti già visti in altre simili, come “Roma” (bellissima!) e “Spartacus” (bella la prima stagione e poi sempre peggio), con intrighi politici, violenza a fiumi (di sangue!), sesso e una continua sensazione che i personaggi possano da un momento all’altro morire male.
In linea generale mi è piaciuta, ma specifico, prima di tutto, di averla vista nella versione originale in inglese. Ho letto in giro che il doppiaggio non è un granché, soprattutto quello degli attori italiani, che immagino abbiano doppiato se stessi, ma non posso commentare su questo aspetto.
Cosa mi è piaciuto?
La ricostruzione dell’antica Roma a livello visivo, soprattutto le riprese panoramiche, ovviamente create in computer grafica, ma anche le scelte di fotografia nelle singole ambientazioni dove si muovono i personaggi sono molto suggestive.
Molto belle, in particolare, le scene delle corse con le bighe.
Purtroppo in alcuni casi l’uso del computer si vede, soprattutto quando entrano in scena gli animali che interagiscono con gli attori in carne e ossa.
Fin troppo realistici invece gli aspetti più truculenti dei combattimenti tra i gladiatori.
Il titolo si riferisce al famoso saluto attribuito a questi ultimi (morituri te salutant) rivolto all’imperatore prima di iniziare a combattere e devo dire che mi ha fatto un po’ ridere sentirlo pronunciato in inglese.
All’inizio ho avuto difficoltà ad affezionarmi ai personaggi, anche perché sono tanti. In generale sono tutti più o meno negativi e chi inizialmente non lo è finisce per rivelarsi come tale con l’andare avanti della storia. Tutto è permeato da un senso di violenza e cattiveria.
Alla fine quello che è riuscito a conquistarmi è Tenax, l’allibratore che viene definito il re di Suburra e che finisce per avere una parte nei conflitti di potere tra i due figli di Vespasiano.
Nel complesso c’è qualcosa che non mi ha convinto fino in fondo nel modo in cui è stata sviluppata la trama, ma non mi sento di bocciare la serie, perché in fin dei conti l’ho guardata con interesse dall’inizio alla fine.
Ciò di cui mi rendo conto, invece, è che tutte queste serie ambientate nell’antica Roma finiscono per darci la stessa immagine dei nostri antenati: cattivi, violenti, volubili, incapaci di una qualsiasi forma di fedeltà, vendicativi, depravati, freddi e calcolatori. Di certo sono tutti aspetti che favoriscono il conflitto e, d’altronde, le storie per esistere richiedono la presenza di un conflitto. Ma credo che un popolo che è stato in grado di costruire un impero così esteso, anche e soprattutto grazie al proprio ingegno e alle tecnologie derivate da quest’ultimo, abbia in sé tanti altri aspetti da mostrare che sono decisamente più positivi e interessanti.
Ecco, mi piacerebbe che anche questi aspetti trovassero posto in una serie di genere storico.
Chiedo troppo?
Renderebbe tutto un po’ più tridimensionale e realistico e toglierebbe la fastidiosa sensazione di vedere sempre gli stessi ingredienti rimescolati all’infinito anche se in un contesto diverso, che magari è pure bello, ma finisce per apparire vuoto, senz’anima.
Di Carla (del 09/09/2024 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 419 volte)
La trilogia “Deutschland” (le cui tre stagioni si intitolano rispettivamente “Deutschland 83”, “Deutschland 86” e “Deutschland 89”) è una serie Sky Original che racconta la fase finale della DDR, la Germania dell’Est, fino alla caduta del Muro di Berlino.
Si tratta di una serie spionistica in cui la finzione si va a innestare nella storia vera.
Il protagonista è il giovane Martin Rauch (interpretato dal bravissimo Jonas Nay), diventato, suo malgrado, spia della HVA (un ramo della Stasi) e che nel tempo diventerà molto bravo nel suo lavoro.
Nella prima stagione viene costretto a infiltrarsi nell’Ovest, dove si ritrova coinvolto in una serie di situazioni rocambolesche e tripli giochi carpiati, ma in un modo o nell’altro finisce per cavarsela. La sua storia continua tre anni dopo in Africa, dove, se possibile, riesce a complicarsi l’esistenza ancora di più. Quindi arriva il 1989, che segna il capitolo finale del suo paese, che porterà alla riunificazione della Germania. E lui è lì, quando cade il Muro.
La ricostruzione storica è molto accurata nelle ambientazioni, nei costumi e persino nelle musiche. La sigla della serie è “Major Tom (Coming Home)” di Peter Schilling, che, se siete abbastanza grandi, riconoscerete subito.
L’argomento può sembrare serio e drammatico, e ovviamente lo è, ma il taglio spesso ironico con cui è stata sviluppata questa serie, a partire dai personaggi fino alle situazioni estreme in cui si vengono a trovare, le conferisce una marcia in più che ti costringe a stare incollato allo schermo, tenendoti in tensione e scaricando tale tensione di tanto in tanto con una bella risata.
Oltre a divertire, la visione di questa serie è anche una buona occasione per rispolverare o imparare qualcosa sulla storia recente, ma anche per riflettere sui parallelismi con il presente, poiché il tempo passa ed eventi sempre diversi hanno luogo, eppure certi meccanismi tendono inesorabilmente a ripetersi.
Ho visto questa serie nel corso degli anni e ciò ha fatto sì che qualche dettaglio che collega le stagioni mi sia inevitabilmente sfuggito, anche perché è caratterizzata da numerose storie intrecciate che coinvolgono tanti personaggi diversi (e un sacco di nomi!). Per questo motivo vi consiglio di vederla tutta di seguito.
La trilogia di “Deutschland 83”, “Deutschland 86” e “Deutschland 89” è disponibile on demand su Sky e Now.
Buona visione!
Di Carla (del 26/08/2024 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 531 volte)
“Then You Run” è una serie Sky Original del 2023 di produzione britannico-tedesca, disponibile al momento in Italia (su Sky e Now) solo in versione originale con i sottotitoli attivabili in italiano o in inglese.
Sembrerebbe una miniserie, poiché ha 8 episodi ed è tratta da un romanzo (“You” di Zoran Drvenkar).
La protagonista, Tara, orfana di madre, a seguito della morte della nonna deve trasferirsi a Rotterdam per vivere col padre. Tre sue amiche e compagne di scuola (sono teenager) partono per fare una breve vacanza nei Paesi Bassi, ospiti a casa sua, ma la situazione rapidamente precipita. Al loro arrivo, Tara non risponde al telefono e, quando finalmente raggiungono la sua villa, fanno una macabra scoperta.
Braccate da una banda di spacciatori, le quattro ragazze sono costrette a fuggire da Rotterdam in Germania e poi in Norvegia.
A peggiorare le cose, durante la loro fuga sono coinvolte nella morte di una persona molto vicina a un serial killer.
Si tratta di una via di mezzo tra un thriller on the road e una commedia nera.
Le protagoniste si ritrovano nelle situazioni più assurde e, talvolta, veramente ridicole e, mentre i cadaveri si accumulano, ne escono sempre più incattivite e anestetizzate alla violenza.
Una volta che si affronta la visione avendo ben chiaro di che tipo di storia si tratta, ci si diverte di fronte ai continui colpi di scena del tutto imprevisti.
L’estremizzazione della violenza, del linguaggio e della cattiveria dei personaggi, tale che bisogna essere almeno un po’ cattivi se non si vuole morire male e che chi uccide gli innocenti può tranquillamente farla franca, ne fanno un’opera decisamente europea e che non avremmo mai potuto trovare tra i prodotti americani.
Che dire? Mi sono divertita a guardarla e sono rimasta inchiodata fino all’ultimo minuto davanti allo schermo, poiché non avevo la minima idea di cosa sarebbe accaduto nel minuto successivo.
Se vi piace il genere, vi auguro buona visione!
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