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 Fiordo svedese... di Carla
 

Mi sentivo inerme, imprigionato in quella tuta.
Sirius. In caduta libera

 

Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carla (del 11/09/2014 @ 21:53:20, in Lettura, linkato 4075 volte)

 Lettura casuale rivelatasi gradevole
              
Questo libro rientra sicuramente nelle letture casuali. Non ricordo come sono approdata alla pagina del prodotto su Amazon, comunque l’avevo preso poiché era gratuito (credo che lo sia sempre). Con delle premesse del genere non ti aspetti un granché ed è per questo che gli do cinque stelle: supera senza dubbio le aspettative.
La storia è una miscela di thriller, intrigo, romance e umorismo, in altre parole il genere è romantic suspense. Abbiamo la protagonista, Sinclair, che è una parrucchiera, il suo amico gay Jesse, il fratello di quest’ultimo Reed (ovviamente molto affascinante) e uno stalker che perseguita appunto la protagonista a sua insaputa. Ovviamente il bello di turno è ricchissimo, mentre lei è la cenerentola della situazione. Ovviamente lui ha una fidanzata e dei genitori spregevoli, in particolare il padre. Ovviamente finisce tutto bene.
Insomma tanti cliché. Eppure mi è piaciuto. Gli elementi sono giocati bene, la storia è gradevole e divertente. Una lettura rilassante.
So che ne esiste anche una versione tradotta in italiano, ma, da quello che leggo nelle recensioni, la traduzione non è delle migliori.
 
Tangled Beauty (formato Kindle) su Amazon.it.
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Questo libro è scritto in lingua inglese!
 
Leggi tutte le mie recensioni e vedi la mia libreria su:
aNobii:
http://www.anobii.com/anakina/books
Goodreads: http://www.goodreads.com/anakina
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Di Carla (del 10/09/2014 @ 03:07:53, in Scrittura & pubblicazione, linkato 2014 volte)
Immaginate la mia sorpresa lunedì nel ricevere una menzione sia sul mio account di Twitter che su quello di Anna Persson da parte di Elena Re Garbagnati con il titolo “Deserto rosso, suspense, avventura e sesso su Marte” e un link a un articolo nientemeno che su Tom’s Hardware.
Wow!

Ho fatto click sul link (lo trovate qui) e sono rimasta a bocca aperta a leggere la bellissima recensione della Re Garbagnati. Ciò che mi è piaciuto in particolare è che, senza entrare nel merito della trama, sono stati indicati gli aspetti salienti che sono alla base della serie stessa: l’aspetto scientifico (sia quello spaziale che quello biologico) e l’aspetto psicologico.
 
Deserto rosso”, infatti, viaggia su due binari. Mentre racconta una storia, da una parte inserisce qua e là informazioni scientifiche reali, prendendo spunto dagli eventi narrati, dall’altra esplora l’emotività dei personaggi messi di fronte agli stessi eventi, mettendone in mostra tutte le sfaccettature.
 
Sono davvero felice di aver ricevuto questo piccolo riconoscimento da una testata di rilievo, che per di più si occupa proprio di tecnologia, come Tom’s Hardware.
Spero che i lettori che hanno acquistato il libro in seguito alla lettura della recensione si divertano a viaggiare alla volta del pianeta rosso con Anna Persson e gli altri personaggi della serie. Auguro a tutti loro buona lettura e ringrazio ancora Elena Re Garbagnati per le belle parole spese su questa serie, che ha accompagnato due anni della mia vita e che sarà sempre una parte di me.
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Di Carla (del 07/09/2014 @ 23:38:24, in Lettura, linkato 4028 volte)

 Voltapagine di nome e di fatto
 
Una cosa che mi ha piacevolmente colpito di questo libro è l’estrema bellezza della prosa, che si trasferisce altrettanto bene nella traduzione italiana. Mi ci sono imbattuta per caso e sono rimasta folgorata dal meraviglioso suono che sembrava quasi provenire dalle parole scritte. Devo ammettere che questo aspetto, unito al fatto che nel particolare momento in cui l’ho letto ero proprio in cerca di una lettura del genere, è riuscito a sopperire a qualche altro che ho meno gradito, tra cui devo annoverare la trama che non era esattamente nelle mie corde, anche se poi, andando avanti con la lettura, l’ho trovata a tratti molto divertente.
Il personaggio della madre del protagonista è un tantinello stereotipato e sopra le righe, fino a tendere un po’ alla bidimensionalità, come tutti quelli femminili in questo romanzo, mentre quelli maschili funzionano decisamente meglio.
Forse un altro aspetto che mi ha lasciato perplessa è stata la sensazione di incompletezza che ho ricavato alla fine della lettura. C’è tanta carne sul fuoco per sviluppare una storia molto più lunga e complessa, ma, proprio quando le cose iniziano a prendere vita, la storia finisce, lasciando l’amaro in bocca. Mi sono chiesta cosa ne sarebbe stato del protagonista e degli altri personaggi principali. Mi sono domandata quale fosse la motivazione dietro il libro, cosa l’autore avesse voluto davvero raccontare. Ho avuto l’impressione che si sia limitato a offrirci uno sguardo in un mondo, quello della musica classica (e tutte le faccende umane che vi girano intorno), senza che avesse realmente l’intenzione di mostrarci un percorso che andasse verso una fine.
C’è anche da dire che talvolta è meglio chiudere una storia senza completarla che dare a essa una fine che scada nella banalità. Anche per questo motivo, il finale estremamente aperto, seppure da una parte sembrerebbe una mancanza, forse potrebbe trasformarsi in pregio.
Di certo il titolo è azzeccato: è un vero “page-turner” (letteralmente appunto voltapagine), cioè un libro da cui è difficile staccarsi e che si legge in un lampo, anche perché non lunghissimo.
 

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La serie di “Deserto rosso” si è chiusa undici mesi fa con l’ultimo libro, “Ritorno a casa”, un titolo dall’aria conclusiva, ma che invece, come ben sa chi l’ha letto, mostra proprio con quelle parole, le ultime del libro, che la storia non è affatto finita.
 
Deserto rosso” è, infatti, solo la prima parte di un ciclo di fantascienza chiamato Aurora.
Non posso dire il perché di questo nome, ma chi ha letto la serie già lo sa. Il ciclo dell’Aurora comprende altre quattro parti, nella forma di romanzo singolo, che verranno pubblicate da qui al 2020 (salvo imprevisti). A esso ho dedicato un sito monotematico (www.desertorosso.net), che vi invito a visitare, ed esso include in tutto cinque parti, ognuna delle quali, a eccezione dell’ultima, può essere letta anche singolarmente, per quanto lasci degli interrogativi sospesi e un finale aperto che solo la lettura di tutte le altre può permettere di comprendere. Aggiungerei anche che per evitare spoiler è sempre meglio leggere i libri in ordine di pubblicazione, che non corrisponde a quello dello svolgimento cronologico dei fatti.
 
La seconda parte è, appunto, “L’isola di Gaia”, che cronologicamente si inserisce 35 anni dopo la fine di “Deserto rosso” (quindi circa un secolo avanti rispetto al nostro presente). Non è però il suo sequel naturale. Tra questo e la serie originale avranno luogo gli eventi che verranno narrati nei libri successivi, “Ophir” e “Sirius”. Infine ci sarà l’ultimo libro del ciclo, da cui esso prende il nome, cioè “Aurora”, la cui comprensione richiede per forza di cose la lettura dei precedenti.
 
Ma oggi voglio parlarvi de “L’isola di Gaia”, che può essere considerato uno spin-off di “Deserto rosso”.
In realtà, la prima stesura di questo libro venne scritta tra il 2009 e il 2011, prima ancora che decidessi di cimentarmi nella serie marziana. Va da sé che si tratta di tutto un altro mondo, letteralmente. La storia è ambientata sulla Terra. Verranno presentati nuovi personaggi, anche se qualche vecchia conoscenza comparirà in un cameo, e nuove situazioni e minacce. Ma, osservando da vicino gli eventi, riconoscerete qualche dettaglio, avrete l’impressione di aver già sentito qualcosa del genere, mentre i personaggi del romanzo ne sono all’oscuro. La peculiarità di questa storia è, infatti, che i suoi protagonisti non sanno nulla di ciò che è accaduto su Marte decenni prima, ma voi sì! E le vostre conoscenze vi permetteranno di valutare i fatti con occhio ben diverso.
 
Non aspettatevi però un altro “Deserto rosso”. A cambiare non sono solo luoghi, tempi e personaggi. Con questo romanzo si osserva un maggiore distacco dalla scienza reale, quindi dalla fantascienza hard (per quanto noterete l’intromissione del mio background biologico, con qualche elemento di genetica e soprattutto di ecologia; intesa come scienza e non come ambientalismo!), e ci si sposta appena verso un altro sottogenere, il cyberpunk. Ma si tratta più che altro di un techno-thriller, con numerosi elementi di suspense e, sì, alcuni morti ammazzati (otto, se non ne ho dimenticato qualcuno, più uno suicidato).
 
Cambiano anche gli equilibri tra i personaggi. “Deserto rosso” era essenzialmente la storia di Anna Persson e tutto alla fine girava intorno a lei, per quanto si potevano individuare alcuni comprimari d’eccellenza, quasi dei co-protagonisti.
Ne “L’isola di Gaia” esiste una voce narrante, di cui non posso svelarvi l’identità, poiché si scopre a circa un terzo del romanzo. La storia raccontata è la sua, ma non è l’unica protagonista, né il personaggio più in scena durante tutto il suo corso. Questa all’inizio compare di tanto in tanto nella storia parlando in prima persona, ma man mano che si va avanti il suo ruolo si fa più importante. E, infatti, sarà lei a chiudere poi il romanzo.
Ma oltre a lei ci sono dei veri e propri co-protagonisti, si chiamano Gaia (quella del titolo, sì, ma lo stesso si riferisce anche alla Terra), Andrew (uno dei personaggi il cui nome inizia per A, caratteristica immancabile nei miei libri) e Gabriel. Accanto a loro ci sono tutta una serie di comprimari, alcuni dei quali ritornano più volte lungo il corso del romanzo (come Rivus Gado, John Wright, Isabella Gredani, Raviv, Angelica, Samir), mentre altri appaiono per un solo capitolo per poi scomparire (come Virginia Logan; questo nome dovrebbe dirvi qualcosa).
 
Come al solito nei miei libri non ci sono dei buoni assoluti o dei cattivi assoluti, la maggior parte dei personaggi tira l’acqua al suo mulino. Chi è troppo buono o troppo cattivo è destinato a soccombere o a non ottenere ciò che vuole. Entrambi in fondo sono dei personaggi disturbati, anomali. La normalità sta sempre nella zona grigia. Tutti comunque, volenti o nolenti, devono affrontare degli eventi più grandi di loro contro i quali provano a combattere, ma alla fine non possono vincere.
 
L’elemento sentimentale, che in “Deserto rosso” viaggiava parallelo alla trama fantascientifica, è qui meno importante. Dover orchestrare insieme più protagonisti con relativi filoni di trama rende quasi impossibile riuscire ad approfondirli tutti in questo senso. La particolare natura di ognuno di loro impedisce che abbiano un passato degno di questo nome. Ciò fa de “L’isola di Gaia” un romanzo corale. Questo non significa che non ci sia di mezzo qualche faccenda sentimentale. C’è eccome ed è davvero molto controversa.
Sfruttando il fatto che la storia è ambientata fra circa cento anni, mi sono spinta un bel po’ in là nel raccontare questo mondo del ventiduesimo secolo. Ammetto di essere curiosa di vedere come certe mie idee verranno recepite. Involontariamente si potrebbe scorgere qualcosa di distopico in esso e allo stesso tempo molti elementi utopici, perché in fondo io sono un’ottimista quando si parla di futuro. Da una parte c’è un mondo cinico e perverso e dall’altra chi almeno in apparenza agisce in buona fede secondo dei principi altruistici. Purtroppo, anzi direi ovviamente, però lo fa solo alla ricerca di un proprio appagamento, di fronte alla situazione di disagio in cui vive.
Come sempre, cerco di mostrare tutto questo senza dare giudizi. Non c’è nessun messaggio dietro le mie storie, se non quello che ogni punto di vista presenta del buono e del cattivo, ogni personaggio sa essere egoista e altruista secondo le circostanze e la propria convenienza.
Preferisco fornire degli spunti insoliti e lasciare al lettore il compito di trarne il proprio messaggio personale.
 
La storia si svolge sulla Terra, in particolare per metà di essa nel luogo del nostro pianeta che più di tutti sembra essere alieno: l’Antartide. Per l’altra metà? Be’, non posso dirlo.
 
Il romanzo è suddiviso in cinque parti, ognuna delle quali termina con un evento importante che porta la storia in un’altra direzione. Ed eccole:
1) Sole a mezzanotte. Ha come location principale la città di Hope, in Antartide, e come personaggio principale Gaia.
2) Neve. Qui ci spostiamo in luoghi più noti e i due filoni della trama presentati nella parte precedente si uniscono. Alla fine di essa scopriamo l’identità della voce narrante (per chi non l’avesse già intuita) e soprattutto la sua natura. E conosciamo Andrew che pian piano toglie la scena a Gaia, diventando il personaggio più importante di questa e delle prossime due parti.
3) BioSynth. Questa prende il nome dall’azienda di Gabriel Asbury, le cui ricerche sono al centro della trama. La terza parte è la più lunga di tutte (quanto le due precedenti messe insieme). Tra azione e rivelazioni, tra presente e passato (sì, ci sono dei flashback ma diversi dal solito), si scopre cos’è Hope e cosa è veramente successo a Gaia.
4) L’isola che non c’è. Questa è la parte in cui il conflitto si trasforma in scontro, fino alla resa dei conti. Termina con un falso finale (ovviamente, visto che non è l’ultima parte).
5) Aurora Australe. È un epilogo per alcuni personaggi, che salutiamo, ma il vero inizio per altri. Qui si chiarisce (in parte) il legame con “Deserto rosso”. La rivelazione finale farà di certo nascere in voi una domanda: ma cosa diavolo è successo in quei 35 anni per arrivare a questo punto?
 
Per scoprirlo, se la cosa vi interessa, dovrete leggere gli altri libri del ciclo dell’Aurora.
 
Qualche numero per concludere.
L’isola di Gaia” è costituita da 5 parti, 20 capitoli e 134 mila parole. Come lunghezza è quasi quanto la somma dei primi tre libri di “Deserto rosso”.
L’uscita del libro è prevista in e-book per il 30 novembre 2014 e in cartaceo entro la prima metà di dicembre.
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Di Carla (del 25/08/2014 @ 01:21:13, in Lettura, linkato 3248 volte)

 Una lettura impegnativa ma non ricompensata dal finale
 
Non ho un rapporto felicissimo con la narrativa cyberpunk o è più corretto dire che finora solo raramente sono riuscita a trovare dei libri di questo sottogenere della fantascienza che mi fossero congeniali. Non credo che sia colpa del cyberpunk, che anzi affronta tematiche decisamente sfiziose, ma piuttosto immagino di essermi imbattuta in qualche libro sbagliato. “Criptosfera” è in gran parte uno di essi, per quanto nel complesso non mi sia dispiaciuto.
Non parlerò della trama in questa recensione, poiché forse la cosa più bella è immergersi nell’universo creato dall’autore senza sapere nulla e lasciarsi meravigliare dai prodigi partoriti dalla sua fantasia. Preferisco concentrarmi su come è scritto e cercare di capire perché non mi sia piaciuto del tutto.
Ho apprezzato le scelte compiute da Banks nell’uso delle tecniche narrative, ma non del tutto come le ha messe in pratica. Portare avanti dei filoni separati di una storia per farli ricongiungerle è una bella sfida. Purtroppo ciò impedisce di fornire al lettore un protagonista ben definito. Ognuno dei personaggi principali dei singoli filoni ha tutto ciò che serve per essere apprezzato dal lettore, ma il modo frammentario con cui viene presentato gli fa perdere la speciale connessione che si crea tra questo e il protagonista o un altro personaggio principale al quale il lettore tende ad affezionarsi. Ciò è accentuato dal fatto che alcuni di questi personaggi sono pochissimo approfonditi, sono quasi evanescenti. Si ha la costante sensazione di leggere in parallelo delle storie separate, quasi dei libri diversi ambientati nello stesso universo, ma non tutti dello stesso livello di qualità. Ciò tende un po’ a disorientare, soprattutto all’inizio della lettura, ma poi le cose migliorano, soprattutto se come me si è abituati a fare delle letture parallele e riuscire a tenerle vive allo stesso tempo nella propria mente.
Altro elemento di difficoltà è dato dalla scelta di raccontare la storia narrata da Bascule, uno di questi personaggi principali, usando un’ortografia di tipo fonetico (sto parlando di circa un quarto dell’intero romanzo). È necessario sentire le sue parole nella mente per poterle capire. Sicuramente è una scelta coraggiosa e molto originale. Al lato pratico, però, io che amo leggere anche per migliorare l’uso della lingua (che sia l’italiano o altra lingua in cui leggo) l’ho trovata semplicemente fastidiosa e me ne rammarico, poiché il personaggio di Bascule è il meglio tratteggiato di tutto il romanzo, anche perché racconta la sua storia in prima persona e lo fa con una notevole ironia.
Al di là di questi aspetti, come dicevo, il modo in cui la storia viene narrata non mi è del tutto dispiaciuto. Durante la lettura si iniziano a scorgere i collegamenti tra i vari filoni e si crea una sensazione di attesa per un finale che promette grandi rivelazioni.
E qui nasce il problema principale. Dopo una serie di scene d’azione avvincenti si arriva di colpo al finale che pare sbucare dal nulla, senza risolvere assolutamente nulla!
Purtroppo un buon libro con un finale che non funziona, per quanto mi riguarda, smette di essere buono. Peccato.
 
Una nota sul traduttore: merita sei stelle, se non altro per la capacità che ha avuto di decifrare la parte di Bascule in “inglese” e trasferirla degnamente in “italiano”.
 
 
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Di Carla (del 14/08/2014 @ 08:30:46, in Esplorazione spaziale, linkato 2930 volte)


Avete mai sognato di far parte di una missione di esplorazione di Marte? Adesso è possibile farlo virtualmente grazie al progetto V-ERAS.

La Italian Mars Society sta cercando volontari interessati a partecipare come membri dell'equipaggio della Virtual European MaRs Analogue Station (V-ERAS) durante una simulazione delle operazioni di esplorazione umana di Marte.

La missione avrà luogo a Madonna di Campiglio (TN) tra il 7 e il 14 dicembre 2014.
L'equipaggio consisterà di quattro individui scelti primariamente in base alla loro esperienza e capacità come scienziati o tecnici in varie aree che includono psicologia, fisiologia, medicina, operazioni durante la missioni, fattori umani e abitabilità. Essendo questa una fase di avvio del progetto ed essendo necessaria un'interazione continua con il gruppo di ingegneri IMS, la competenza in aree come scienze informatiche, programmazione software e programmi di simulazione fisica verrà presa in particolare considerazione.
I candidati dovranno avere una laurea di almeno quattro anni o esperienza equivalente e dovranno comprendere, parlare e scrivere fluentemente in inglese.

I membri dell'equipaggio selezionati dovranno pagare unicamente il viaggio fino a Trento. Vitto e alloggio sono coperti da IMS e Osservatorio Astronomico Dolomiti - Carlo Magno Hotel, che sponsorizzano l'iniziativa.

I volontari dovranno inviare le proprie candidature a v-eras@marssociety.it entro il 30 settembre 2014.

Maggiori informazioni sono disponibili nel sito del Progetto Eras a questo link oppure è possibile scaricarle come pdf facendo clic qui.

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Di Carla (del 07/08/2014 @ 04:39:30, in Lettura, linkato 2513 volte)

 Un esperimento riuscito solo a metà
 
Ho scoperto casualmente questo libro su Pinterest, dove mi sono imbattuta nell’autrice Annarita Petrino, che mi ha detto di scrivere fantascienza cristiana. La cosa mi ha incuriosito non poco. Infatti, benché questo sottogenere esista soprattutto nel mercato anglofono, non mi era mai capitato di sentirne parlare in Italia. Ho quindi accettato volentieri di leggere questa raccolta di racconti, considerando che amo la fantascienza e al contempo sono una credente.
Ammetto che alla fine della lettura mi sono sentita un po’ stranita e subito mi sono chiesta che cosa avesse suscitato in me questa sensazione. Non so cosa mi aspettassi da “You God”, ma non è di certo quello che ho trovato.
Prima di tutto specifico che la raccolta contiene quattro racconti, davvero molto diversi tra loro, e voglio anche precisare che la Petrino scrive molto bene. Ma allora cosa c’è che non va? I problemi vanno dalla struttura della trama, o dalla sua mancanza, fino alla cura dei personaggi.
Il racconto che ho preferito è stato il secondo, “Judy Bow”. Non a caso è quello con una trama molto più complessa e ben delineata e soprattutto con un personaggio principale che è in grado di uscire dalla pagine e diventare reale. L’argomento è quello dell’opportunità dell’accanimento terapeutico, un argomento molto attuale, che divide e suscita sentimenti contrastanti che prescindono del tutto dal fatto di essere o no credenti. Questa universalità del tema presentata da un personaggio tratteggiato in maniera realistica sono gli elementi vincenti del racconto.
La fantascienza, devo dire, è solo un contesto, e questo è l’unico appunto che mi sento di fare. La storia poteva forse reggere con qualche aggiustamento di trama in contesti meno distanti dalla nostra realtà, ma è chiaro che difficilmente avrebbe attirato alla lettura un lettore di fantascienza come me.
Per il resto il racconto è ben riuscito. Il messaggio cristiano c’è, ma è sottile. Persino il lettore non credente, superata la diffidenza iniziale nel leggere un racconto di fantascienza cristiana, credo che possa condividere le sofferenze e il dilemma di Judy e comprendere le sue decisioni. Il finale aperto accompagnato dalla speranza impreziosisce ancora di più questo scritto.
In altre parole ritengo che in “Judy Bow” l’intento di far apprezzare il messaggio cristiano possa riuscire, proprio perché in questo contesto può essere condivisibile da chiunque a prescindere dal fatto che creda o no in Dio.
Purtroppo questo “meccanismo” non funziona altrettanto bene negli altri tre racconti.
Nel primo, “Imperfezioni”, si parla di intolleranza verso il diverso. È ambientato in un futuro distopico, in un mondo dove si tende alla perfezione genetica e fisica e si emargina chi ne è lontano. Le premesse per un buon racconto e per utilizzarlo in modo da trasmettere un messaggio cristiano c’erano tutte. Anche qui si parla di una tematica, quella del rispetto verso il diverso, condivisibile indipendentemente dalle proprie inclinazioni religiose. Alla fine però la storia non mi ha convinto. Temo che il motivo sia una caratterizzazione non approfondita dei personaggi. Non sono riuscita a immedesimarmi nelle loro problematiche e ho trovato un po’ eccessive le loro azioni. Ho avuto l’impressione che nel tentare di mettere in rilievo l’aspetto cristiano, l’autrice si sia dimenticata che la fantascienza è un genere di intrattenimento e, se il lettore non si diverte (in senso lato), difficilmente apprezzerà il messaggio.
Gli ultimi due racconti invece mancano proprio di una trama. Sono la trasposizione in un contesto fantascientifico di alcune riflessioni. Il risultato è che il lettore non credente fuggirà a gambe levate. Ammetto che io stessa di fronte alla profusione di citazioni bibliche in “Hic et nunc” sono stata tentata di abbandonarlo. E io la Bibbia la leggo volentieri. Mi è sembrato più un esercizio fine a se stesso che un tentativo di raccontare una storia.
Infine l’ultimo brevissimo racconto, che dà il nome alla raccolta, cioè “You God”, non mi è piaciuto. Il motivo è che non ho proprio gradito il tentativo di creare un dualismo tra la fede verso Dio e quella verso l’uomo e la scienza. Chiunque, come me, è credente, studia la scienza e dà notevole valore a ciò che l’Uomo è in grado di fare sa che un dualismo del genere esiste solo nella mente di chi si ostina a conoscere solo uno dei due aspetti. Fede e scienza/umanità sono solo due diverse angolazioni da cui vedere la stessa cosa. E sono totalmente complementari. L’una non deve escludere l’altra. Per un credente, a maggior ragione, l’una non può escludere l’altra. Perché ci deve essere da una parte Dio e dall’altra il robot You God che conserva i ricordi delle persone che muoiono? Perché non si possono avere entrambe le cose? Anzi, io penso che chiunque faccia uso solo di una di queste due prospettive stia perdendo qualcosa. Credo che entrambi i personaggi del racconto alla fine siano in errore. Capisco il tentativo di creare una contrapposizione rispetto alla fantascienza “atea”, ma credo che rispondere a un comportamento estremo con quello opposto, sempre estremo, non sia la soluzione, perché impedisce il dialogo, allontana invece di unire.
Dovendo dare un giudizio generale su quest’opera, ritengo che se il tentativo della Petrino era quello di avvicinare i credenti alla fantascienza (la copertina che non ha nulla di fantascientifico mi fa ritenere che sia così), potrebbe in parte esserci riuscita. Magari potrebbe riuscirci ancora meglio, se ampliasse l’aspetto fantascientifico delle sue storie.
Se invece il suo intento era di avvicinare gli appassionati di fantascienza a tematiche cristiane, temo che sia ancora lontana (a iniziare appunto dalla copertina). Se il lettore non è credente e quindi parte prevenuto nel momento in cui si appresta a leggere questo libro, la lettura non farà che confermare la sua impressione. Se il suo intento è conquistare questo tipo di lettore, forse dovrebbe rendere un po’ meno ingombrante il messaggio cristiano, inserendolo nelle maglie della storia senza sbatterlo in faccia a chi legge, in modo da far riflettere con serenità sulla tematica trattata, scavalcando i pregiudizi. D’altronde moltissimi temi cristiani sono universali e quindi condivisibili o meno a prescindere dal credo di ciascuno di noi (o dalla sua assenza), quindi perché non sfruttare questo aspetto?
 
Il libro purtroppo non è al momento disponibile su Amazon.
 
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Di Carla (del 29/07/2014 @ 15:51:43, in Fantascienza e spiritualità, linkato 3854 volte)

E siamo giunti all’ultimo post dedicato alla rappresentazione della vita post-fisica nella fantascienza. Nel primo ho introdotto l’argomento e fatto alcuni esempi del cosiddetto approccio soft e intermedio (fai clic qui per leggere il post), nel secondo mi sono concentrata sull’approccio hard e in particolare sul cyberpunk (leggi qui il post), in questo terzo post, invece, vi presento due libri in cui, in modi diversi, si osserva anche il percorso di ritorno della coscienza digitalizzata dell’approccio hard verso una vita fisica.
 
Gli esempi che vi porto non sono romanzi famosi, ma due libri di self-publisher, uno italiano e l’altro inglese.
 
Il progetto Alfa Centauri (Thinking Worlds) di Marco Santini è un romanzo disponibile sia in cartaceo che in ebook (quest’ultimo è gratuito). In esso viene descritto un futuro dove esiste una contrapposizione tra l’umanità in carne e ossa e quella che vive nella rete, cioè derivata dalla digitalizzazione delle coscienze dei morti. Le due umanità sono in grado di interagire fra di loro sia tramite la realtà virtuale che il mondo fisico. I digitalizzati, infatti, possono scaricarsi temporaneamente in androidi di vario tipo e sperimentare ancora una volta una vita fisica. Ciò conferisce a questi ultimi una libertà superiore ai primi, fatta eccezione per il fatto che dipendono comunque dall’esistenza di un supporto fisico che faccia funzionare la rete.
Il futuro immaginato da Santini è molto intrigante e a tratti inquietante. A questo proposito vi invito a leggere la mia recensione del libro.
 
Amantarra (libro 1 della trilogia intitolata L’ascensione di Valheel) di Richard J. Galloway è un romanzo che affronta l’argomento della digitalizzazione della coscienza da un punto di vista completamente diverso: quello di una razza aliena.
I Bruwnan esistono da metà dell’età dell’universo e dopo aver raggiunto la massima evoluzione possibile a livello fisico decidono di lasciare indietro i propri corpi e passare a una vita post-fisica. Le loro coscienze digitalizzate vivono da miliardi di anni in una città virtuale, Valheel, costruita dentro una sfera. Il processo di copia digitale porta la contestuale morte del corpo. Valheel però non si trova nel nostro spazio-tempo, ma esiste in una sorta di realtà alternativa e per rimanere attiva trae energia dalla biomassa che si trova nei pianeti dove gli stessi Bruwnan hanno instillato la vita.
Alcuni di loro, Amantarra e suo padre Artullus, si accorgono che da milioni di anni la popolazione di Valheel sta diminuendo, cosa che non dovrebbe accadere poiché le coscienze digitalizzate non muoiono. Qualcosa che alberga in questa realtà virtuale le sta eliminando. La ricerca di una soluzione porta Amantarra sulla Terra dal tempo degli uomini primitivi, passando per i secoli, fino agli anni ’70 del ventesimo secolo dove interagisce con dei ragazzi di una scuola superiore di periferia in Inghilterra. Anche in questa storia si osserva il ritorno dalla vita post-fisica a quella fisica grazie alla possibilità di scaricare la coscienza in un guscio vivente o in un essere umano vero e proprio dotato di capacità particolari (una sorta di ibridi).
Anche di questo libro potete leggere la mia recensione, scritta dopo averne letto l’edizione in inglese. Ho poi avuto il piacere di tradurlo in italiano.
“Amantarra” (edizione italiana) è disponibile in formato ebook ad appena 72 centesimi su Amazon e altri retailer.
 
In generale la vita post-fisica implica sempre un passaggio dalla materia vivente/organica a qualcosa che è non materia in senso assoluto (spirito dell’asceso, fantasma del Jedi e così via) oppure che alberga nella materia inorganica (server). Anche se la coscienza digitalizzata è un software e quindi di per sé immateriale, è però sempre qualcosa di misurabile e richiede energia esterna per sopravvivere.
Parlando però di metafore dell’immortalità dell’anima, nell’ambito della fantascienza c’è spazio per una sua rappresentazione senza il passaggio di cui sopra. Ciò si osserva in tutte quelle storie in cui la coscienza si sposta, per mezzo di metodi più o meno scientifici, da materia vivente ad altra materia vivente, che può essere anche diversa, tramite un processo organico/biologico o con un intermediario digitale in cui però tale coscienza non è attiva (è solo uno strumento di trasmissione). In questo contesto si possono notare similitudini al concetto spirituale/religioso di reincarnazione, che però meriterebbe un’analisi a parte.
 
Infine si può notare come spesso nelle storie in cui si verifica il passaggio da materia vivente ad altra materia vivente questo venga mostrato senza fornirne una spiegazione, come in tantissima fantascienza in cui si parla di clonazione. Ogni clone come per magia sembra possedere tutto o parte del background dell’originale, nonostante la clonazione sia a tutti gli effetti una copia del corpo a partire dal proprio genoma ma non certo della coscienza che viveva in esso (o dei ricordi che la definivano come tale) e quindi non abbia nulla a che vedere con l’argomento dell’immortalità dell’anima. Talvolta, quando si vuol far credere all’individuo in questione di essere l’originale, la presenza di queste conoscenze è voluta (non faccio esempi per evitare spoiler). In altri casi, invece, è addirittura un errore del processo di clonazione che complica le cose a chi voleva far uso di questi cloni per i propri scopi. Ops!
 
E con queste ultime riflessioni chiudo l'argomento. Spero che questi post vi siano piaciuti. Se non avete ascoltato il mio intervento su FantaScientificast, vi ricordo che è possibile trovarlo qui.
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Di Carla (del 24/07/2014 @ 10:00:00, in Lettura, linkato 2546 volte)

 Il tiramisù come non lo avete mai visto (e assaggiato) prima
 
Confesso che ho acquistato questo libro perché amo il tiramisù e spero di spingere qualcuno a prepararmi una di queste delizie!
Nel frattempo mi sono messa a leggere il libro e a studiare un po’ le ricette.
Prima di tutto trovo molto azzeccata l’idea di dedicare un intero libro a questo famoso dolce. L’autrice ha preso spunto dalle varianti della ricetta base del tiramisù che ha avuto modo di assaggiare nelle cene a casa degli amici. Ha poi chiesto ad amici e parenti di inviarle la ricetta corredata di foto. Si tratta quindi di un libro che raccoglie l’esperienza di diverse persone, per la maggior parte italiane, ma non tutte.
Devo dire che le ricette sono scritte in maniera molto chiara e sono estremamente facili da seguire anche per chi come me non è molto esperto in cucina, poiché le procedure vengono descritte passo passo. Chiunque ci si potrebbe cimentare.
Le foto sono molto belle e ben fruibili anche da chi ha scaricato il libro nell’ereader. Nonostante il bianco e nero, si apprezzano bene i dettagli, il file non è affatto pesante e il cambio pagina è fluido.
È davvero sorprendente la varietà di modi in cui è possibile preparare il tiramisù. Onestamente non avevo idea che ce ne potessero essere così tanti. Ci sono ricette per tutti i gusti e per tutte le abitudini alimentari (vegani, persone a dieta, celiaci) e permette di preparare un dolce per tutte le occasioni e tutti i tipi di ospiti.
Molto carina è la parte dedicata agli autori delle ricette. Abbiamo modo di conoscerli un po’ da vicino, scoprire dove vivono e cosa fanno nella vita. A ognuno di loro l’autrice ha anche chiesto quale fosse il suo dolce preferito.
Questo, però, non è solo un libro di ricette.
Nella parte iniziale l’autrice si sofferma a parlare del tiramisù, dei suoi ingredienti, e offre addirittura una lista di domande frequenti con relative risposte per chi non ha familiarità con questo dolce.
Dopo le ricette vi sono poi altre due sezioni.
Quella dei "Tiramisu Disasters" è molto utile per capire quali errori si possono fare nella preparazione, in modo da evitarli.
E poi c’è la divertente sezione del "Tiramisu Party" che propone delle idee originali per organizzare una festa a base di tiramisù, dagli inviti fino ai giochi (molto divertente il Tiramisu Quiz).
In breve si tratta di un libro ben fatto, utile per chi voglia cimentarsi nella preparazione di questo delizioso dessert, ma può essere anche un’ottima idea regalo.
 
Questo libro è in lingua inglese!
 
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Goodreads: http://www.goodreads.com/anakina
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Di Carla (del 21/07/2014 @ 10:00:00, in Fantascienza e spiritualità, linkato 4303 volte)

Nel precedente post di questa serie (che trovate qui, mentre qui trovate il podcast) ho introdotto l’argomento della vita post-fisica nell’ambito della fantascienza, individuando i tre approcci con i quali viene rappresentata (soft, intermedio e hard) e facendo degli esempi dei primi due.
 
Oggi, invece, voglio presentarvi alcuni esempi del cosiddetto approccio hard, che è tipico del cyberpunk e di tutta quella fantascienza in cui il ruolo della rete (comunque questa venga rappresentata) e della realtà virtuale è predominante.
Il cyberpunk a dire il vero nasce negli anni ’80, cioè prima di internet (che arriva per la prima volta al pubblico nel 1991), ma è proprio l’accesso alla rete e il concetto di realtà virtuale che hanno aggiunto a questo sottogenere della fantascienza la capacità di rappresentare la vita post-fisica. Ciò avviene grazie al presenza nelle storie di una qualche tecnologia in grado di digitalizzare la coscienza di un essere umano, dando l’illusione di renderla eterna, sconfiggendo così la morte.
Al di là del fatto che si stia sconfiggendo o meno la morte, se si accetta il concetto che un software creato come copia di una coscienza organica di fatto sia vivo (e ciò viene dato per scontato in questo tipo di storie), si può a tutti gli effetti parlare di vita post-fisica.
 
Visto il tema attualissimo, esistono numerosi esempi di questo tipo di approccio. Quelli che seguono riguardano alcune mie letture e un film visto di recente, ma ci si potrebbe scrivere un trattato sull’argomento.
 
In realtà ho già parlato di vita post-fisica in alcuni miei post (e podcast) precedenti dedicati al rapporto tra fantascienza e spiritualità.
Nell’ambito della Trilogia del Vuoto di Peter F. Hamilton (trovate qui la serie di post a essa dedicati) abbiamo visto il cosiddetto ANA-Governo, dove ANA sta per Advanced Neural Activity. L’ANA altro non è che un’insieme di coscienze digitalizzate di tutti gli esseri umani che stanchi della vita fisica (la storia è ambientata nel 36esimo secolo dove la vita fisica può essere protratta in maniera pressoché indefinita), decidono di migrare verso la Terra per poi scaricare la propria coscienza digitalizzata nell’ANA, all’interno del quale possono comunicare tra di loro in una realtà virtuale, mentre, grazie alla rete e/o alla possibilità di scaricarsi temporaneamente in cloni o proiezioni solide, possono continuare a interagire col mondo fisico.
 
Nel franchise di Battlestar Galactica (qui trovate il post a esso dedicato), invece, in particolare nello spin-off Caprica, abbiamo visto un tipo diverso di vita post-fisica. Zoe Greystone crea una sua copia virtuale grazie a un programma di sua invenzione che la genera tramite un processo di estrapolazione a partire da tutte le attività in rete dell’originale. Questa copia di Zoe non solo ha tutti i ricordi dell’originale, ma non si sente affatto una copia e, quando Zoe muore, viene considerata come una sua versione post-fisica.
 
Ma vediamo brevemente altri due esempi.
 
Criptosfera di Iain M. Banks è un romanzo cyberpunk in cui in un futuro lontano, dopo aver usato le 8 vite fisiche concesse, le coscienze digitalizzate passano a una vita post-fisica nella criptosfera (una realtà virtuale molto complessa) dove vengono loro concesse altre 8 vite digitali. Con la differenza che le coscienze digitali non invecchiano, ma possono comunque venire uccise in seguito a incidenti o ammazzate.
 
Transcendence è film recente con Johnny Depp in cui, nel tentativo di creare un’intelligenza artificiale forte, si arriva alla conclusione che l’unico modo per avere con certezza una IA che abbia una coscienza sia copiarne una esistente. Will Caster che sta per morire fa l’upload della sua coscienza (tramite un lungo processo spiegato in maniera pseudo-scientifica) creando una copia immortale di sé, che ha con sé tutto il bagaglio di esperienze e sentimenti dell’originale tanto da sentirsi come tale.
 
Un aspetto curioso di (quasi) tutte queste storie che parlano di coscienze virtuale è che si tende a considerare la copia digitale al pari dell’originale, come se la vera coscienza/anima sia passata alla realtà virtuale, in un processo paragonabile a quello dell’approccio soft (ascensione dell’anima). In verità non è affatto così.
L’originale muore e ciò che resta è sola una copia.
Raramente questo aspetto viene affrontato, perché chi interagisce con questa copia ha l’impressione, o preferisce illudersi, di farlo con l’originale. Difatti però la digitalizzazione della coscienza non sconfigge la morte, è solo un’illusione di sconfiggerla, perché l’originale non esiste più. L’originale muore comunque. Chi pensa di diventare immortale digitalizzando la propria coscienza sta solo creando un’altra forma di vita (non organica) con i suoi ricordi e il suo carattere, una sorta di gemello virtuale (che come tutti i gemelli è uguale ma comunque un’altra persona).
 
Chi avrà l’illusione di aver vinto la morte è solo la copia che, avendo i ricordi dell’originale, ha la percezione di essere passato da uno stato fisico a uno post-fisico. Ma niente del genere è avvenuto.
Se ci pensate, dall’idea originale di combattere le proprie paure nei confronti della morte si arriva al fatto che, pur morendo, nessuno ti piangerà, perché per gli altri tu non sarai morto.
Personalmente trovo tutto ciò abbastanza inquietante. Più che vittoria sulla morte questa è semplice negazione della morte. Sarebbe interessante vedere questo aspetto affrontato nella fantascienza. (Magari qualcuno mi sa suggerire qualche libro o film?)
Persino in Caprica, in cui il fatto che la Zoe digitale sia una copia è palese, essendo stata creata dall’originale e avendo convissuto con lei per un certo tempo, quando la vera Zoe muore, gli altri personaggi, pur essendo consapevoli della vera natura di quella virtuale, decidono di ignorare questo fatto.
Alla fine la digitalizzazione della coscienza appare un metodo per evitare di soffrire per la morte altrui piuttosto che evitare di temere per la propria morte.
 
Con queste considerazioni quasi filosofiche chiudo il post.
Nel prossimo, che sarà anche l’ultimo dedicato alla vita post-fisica (lo trovate qui), riporterò altri due esempi di libri decisamente meno conosciuti rispetto a quelli della Trilogia del Vuoto, nei quali però riappare il ritorno dalla vita post-fisica a quella fisica. A partire da questo ultimo aspetto farò alcune considerazioni finali sulle similitudini e differenze fra l’argomento della vita post-fisica e un altro che compare per vie traverse nella fantascienza, cioè la reincarnazione.
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