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 I personaggi di "Deserto rosso"... di Carla
 

"Devi scegliere, Anna: la tua scoperta o la Terra." Deserto rosso - Nemico invisibile

 

Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carla (del 28/12/2016 @ 09:30:00, in Eventi, linkato 3301 volte)

Lo scorso 2 dicembre 2016 ho avuto il piacere di presentare la trilogia del detective Eric Shaw e il romanzo di fantascienza “Ophir. Codice vivente” alla Biblioteca Comunale di Iglesias. È stato un evento molto carino, in cui io e la preparatissima presentatrice, Clara Congia, abbiamo parlato per quasi due ore dei miei libri e della mia attività di scrittrice e self-publisher a beneficio di un piccolo ma interessato pubblico.
 
Prima di tutto devo fare i miei più sentiti ringraziamenti, ma anche complimenti, a Clara, che ha condotto l’evento con professionalità e passione, e mi ha rivolto alcune tra le più interessanti e originali domande che mi siano mai state fatte da quando mi occupo di editoria.
 
Abbiamo iniziato col parlare de “Il mentore” e di “Sindrome”, i primi due romanzi della trilogia di crime thriller del detective Eric Shaw. Ho cercato di incuriosire i presenti, raccontando qualche elemento della trama, senza troppe anticipazioni per non rovinare la sorpresa. Il fulcro di tutta la serie è proprio il rapporto tra Eric Shaw, il mentore, e la sua allieva, la cui identità si scopre nel primo libro. Accanto all’investigazione sui casi che vengono sviluppati nei singoli romanzi e che vedono sempre i protagonisti coinvolti personalmente, c’è proprio l’evoluzione di questo rapporto che inizia con “Il mentore”, si sviluppa in “Sindrome”, in cui Eric cerca di capire se può o vuole allontanarsi dalla sua allieva e dai crimini di cui è responsabile, fino a trovare una conclusione del libro finale della trilogia, “Oltre il limite”, che uscirà il 21 maggio 2017 e di cui sto attualmente scrivendo gli ultimi capitoli.
 
Ho raccontato delle numerose licenze che mi sono presa nella stesura di questi libri, alcune dovute al fatto che non ero in grado di reperire certe informazioni al momento della stesura (poiché i libri si svolgono sempre in un periodo successivo alla data in cui sono stati effettivamente pubblicati e quindi diversi mesi dopo la scrittura) e altre che sono stata rese necessarie per rendere la trama più interessante. Sono stata, però, abbastanza rigorosa su due aspetti: quello scientifico (i protagonisti sono tutti agenti della Polizia Scientifica) e quello geografico (i luoghi pubblici di Londra in cui si svolgono le scene corrispondono alla realtà, tanto che, per esempio, la casa in cui si nasconde l’assassino de “Il mentore” esiste davvero!). A entrambi ho dedicato una serie di articoli in questo blog, che vi consiglio di leggere, se non l’avete già fatto: Scena del crimine e Luoghi dei romanzi. Ne pubblicherò altri per l’uscita di “Oltre il limite”.
Infine ho rivelato qualche anticipazione su quest’ultimo libro, ma a tal proposito non posso dirvi proprio nulla!
 
E poi siamo passate a parlare di “Ophir. Codice vivente” e in generale del ciclo fantascientifico dell’Aurora, a iniziare da quella mattina all’alba in cui Anna Persson aveva lasciato di nascosto la Stazione Alfa per avventurarsi nel deserto rosso di Marte.
Mi ha fatto particolarmente piacere essere riuscita nell’intento di spingere chi era venuto lì per i miei thriller ad avventurarsi nella lettura dei miei romanzi di fantascienza. In fondo, tutti i miei libri sono accomunati da temi simili: la storia è mostrata attraverso le sensazioni dei personaggi, hanno antieroi come protagonisti e prima o poi ci scappa sempre il morto!
 
Infine ho raccontato un po’ la mia vita da self-publisher: cosa significa essere un autoeditore (o autoeditrice, se preferite), come lavoro a ogni mio singolo libro e le tante piccole soddisfazioni che questo mestiere mi ha dato e continua a darmi.
In chiusura ho avuto l’opportunità di fare quattro chiacchiere con i presenti, rispondere a delle domande e scrivere una breve dedica nelle copie che sono state acquistate.
 
Insomma, è stata davvero una bella serata e conto di avere presto l’opportunità di partecipare ad altri eventi simili, soprattutto, per ovvi motivi logistici, nella mia Sardegna.
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Di Carla (del 20/12/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2386 volte)

 Il segreto custodito dai sicomori
 
Questo romanzo di Grisham, pur essendo ambientato nello stesso luogo e pur avendo lo stesso protagonista de “Il momento di uccidere”, non è un vero seguito e può essere letto senza conoscere la storia del primo, di cui vengono fatti dei brevi cenni solo laddove necessario.
Anche il tema è lo stesso, cioè quello del razzismo. Questa volta Jack Brigance, avvocato di Ford County, una contea del sud degli Stati Uniti dove il razzismo era ancora un grosso problema trent’anni fa (e suppongo che lo sia ancora), è alle prese con un testamento olografo scritto da un ricco bianco che, prima di suicidarsi (stava morendo di cancro), decide di diseredare i figli e lasciare il 90% del patrimonio, 24 milioni di dollari, alla propria cameriera di colore. Da ciò nasce una guerra legale per impugnare il testamento.
Mi è piaciuta molto, come sempre, la caratterizzazione dei personaggi, sia principali che secondari, e la ricostruzione dell’ambientazione (Ford County negli anni ’80). A ciò si aggiunge la solita bravura di Grisham nel raccontare le mille astuzie dietro la preparazione di una causa in grado di fare molto clamore.
Mentre i figli diseredati fanno di tutto per accusare Lettie di captazione (cioè di aver spinto l’uomo a cambiare il testamento, approfittando delle sue condizioni di salute, affinché lasciasse tutto a lei), nessuno sembra domandarsi perché l’abbia fatto, cosa ci sia sotto.
E così, in sordina, si dipana una sottotrama che porta alla verità e che è legata al titolo.
Si tratta di un racconto di qualcosa che potrebbe essere davvero accaduto, realistico in maniera sconvolgente. È una storia che appassiona e lascia il sorriso sulle labbra al momento dell’epilogo.
Ho una sola nota negativa da riferire. Amo il modo in cui Grisham vuole farci entrare nell’ambientazione, raccontando anche tutti i meccanismi legali e i dettagli sui personaggi. In questo libro, però, ho avuto l’impressione che l’info-dump fosse davvero un po’ eccessivo o comunque raccontato in maniera poco coinvolgente.

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L’ultimo evento cui parteciperò quest’anno in qualità di relatrice è il convegno intitolato “Il mercato del self-publishing in Italia” che si terrà il prossimo sabato 10 dicembre nell’ambito della fiera della media e piccola editoria Più Libri Più Liberi al Palazzo dei Congressi dell’Eur, a Roma (piazza Kennedy, 1).
 
 
Parteciperanno all’evento: Vittorio Anastasia di Ediciclo Editore, Giovanni Peresson dell’Ufficio Studi AIE, Lorenzo Fabbri di ilmiolibro.it e Rita Carla Francesca Monticelli (io!).
L’evento sarà moderato da Cristina Mussinelli, consulente AIE per l’editoria digitale, e avrà luogo dalle 12 alle 12.45 presso la Aldus Room (ex Sala Smeraldo).
 
Durante il convegno verrà presentata la prima indagine nazionale sul self-publishing e verranno sviluppati alcuni temi relativi a questo argomento, tra cui: il rapporto tra l’autoeditoria e l’editoria tradizionale, cosa significa essere un autoeditore (self-publisher), quali conseguenze ha avuto l’aumento dei libri autopubblicati sull’editoria in generale, il passaggio di un autore tra i due formati editoriali e i cosiddetti autori ibridi.
Vi invito anche a dare un’occhiata alla pagina dedicata sul sito di Più Libri Più Liberi.
 
La mia partecipazione è in qualità di autrice e, ovviamente, self-publisher a un evento che è stato organizzato dall’Associazione Italiana Editori e che quindi osserva il self-publishing da una posizione esterna. Mia intenzione sarà quella di mostrare l’autoeditoria dall’interno a partire dalla mia esperienza personale e soprattutto mettere in evidenza come i self-publisher professionisti sono persone che hanno imparato a conoscere l’editoria e che vogliono farne parte in prima persona, non solo perché cercano un modo per pubblicare i propri libri.
Pubblicare un libro non viene visto come un traguardo, bensì come il punto di partenza per sviluppare il proprio progetto editoriale e trasmettere il proprio messaggio al pubblico, in un contesto in cui il profitto non è al primo posto tra le priorità, ma può diventare una conseguenza interessante che, come in ogni attività imprenditoriale, dipende in buona parte dall’impegno profuso in tutte le sue fasi: ideazione, creazione, trasformazione in prodotto editoriale di qualità, pubblicazione, commercializzazione e promozione.
 
Colgo l’occasione per ringraziare Giovanni Peresson per l’invito e Claudia Pelizzoli per l’assistenza offertami nell’assicurare la mia presenza all’evento.
Se sabato pensate di andare alla fiera Più Libri Più Liberi o siete a Roma e non avete altri impegni, venite ad ascoltarmi e fatevi riconoscere, così ci facciamo due chiacchiere di persona!
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Di Carla (del 30/11/2016 @ 00:00:00, in Scrittura & pubblicazione, linkato 2166 volte)
CUSy è l’IA che gestisce gli habitat marziani.
CUSy veglia sugli abitanti di Marte, assicura il loro benessere, controlla i sistemi che li mantengono in vita.
Ma chi controlla CUSy?
Anna Persson, Hassan Qabbani, Jan De Wit e, soprattutto, Melissa Diaz, che assurge al ruolo di protagonista, ritornano in “Ophir. Codice vivente”, che riprende le loro storie poco tempo dopo l’epilogo della serie marziana. Sono infatti passati appena tre anni terrestri dall’inizio del programma Aurora, che ha permesso la ripresa dei rapporti tra i colonizzatori di Marte e l’Agenzia Spaziale Internazionale (ISA) sulla Terra. Anche grazie a esso, Ophir è ora diventata una piccola città e, in cambio, gli scienziati terrestri hanno potuto attingere alle tecnologie avanzate sviluppate dai suoi residenti e da quelli degli altri insediamenti presenti su Marte. La leader degli abitanti del pianeta rosso, Melissa, non è però soddisfatta della lentezza con cui il programma sta progredendo. Con l’aiuto dell’IA (intelligenza artificiale) CUSy, detta anche Susy, riesce a violare i sistemi di comunicazione dell’ISA e a infiltrarsi nella rete globale terrestre per cercare un alleato tra i più dotati studenti del mondo, finché non ne individua una giovanissima e particolarmente brillante: Elizabeth Caldwell. Ma ciò che Melissa ignora è che Susy, col passare degli anni, si sta evolvendo ben oltre il proprio codice iniziale. È diventata curiosa, sta coltivando interessi e ambizioni, forse sta persino sperimentando dei sentimenti, e tutto ciò rappresenta l’espressione dell’emergere in lei di qualcosa assimilabile a una coscienza e che potrebbe spingerla ad azioni imprevedibili e potenzialmente pericolose.
 
 
Ophir. Codice vivente” è ora disponibile in formato ebook a 2,99 euro (in offerta fino all’11 dicembre) su Amazon, Giunti Al Punto, Google Play, iTunes, Kobo, Mondadori Store, LaFeltrinelli, Nook (attraverso l’app di Windows), Smashwords e 24Symbols (gratuito per gli abbonati) e in edizione cartacea a 11,99 euro su Amazon e Giunti.
L’edizione ebook è senza DRM in tutti i retailer.
 
 
In occasione dell’uscita della terza parte del ciclo dell’Aurora fino all’11 dicembre sarà possibile acquistare l’edizione ebook delle prime due parti, la raccolta di “Deserto rosso” (4 libri) e il romanzo “L’isola di Gaia”, a soli 1,99 euro ciascuno su Amazon, Giunti Al Punto e Google Play.
Ecco i link.
Deserto rosso”: Amazon, Giunti Al Punto e Google Play.
L’isola di Gaia”: Amazon, Giunti Al Punto e Google Play.
 
Se non siete mai stati su Marte (e in Antartide), non lasciatevi sfuggire l’occasione di andarci con le prime tre parti del ciclo dell’Aurora: potrete scaricare ben sei libri a meno di 7 euro!
 
Scopri di più sul ciclo dell’Aurora su www.desertorosso.net!
 
 
L’offerta è valida solo in Italia.
A partire dal 12 dicembre il prezzo di “Ophir. Codice vivente” salirà a 3,49 euro in tutti i retailer e i prezzi di “Deserto rosso” e “L’isola di Gaia” su Amazon, Giunti e Google Play torneranno rispettivamente a 3,99 e 3,49 euro.
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Il prossimo dicembre sarà caratterizzato da alcuni impegni, per così dire, offline, che mi porteranno davanti a un pubblico di lettori. Il primo di questi è una presentazione alla Biblioteca Comunale “Nicolò Canelles” di Iglesias (in via Gramsci, 11) che avrà luogo venerdì 2 dicembre a partire dalle ore 18.
 
 
Sarà per me la seconda volta che ho il piacere di essere protagonista di un evento nella mia terra, ma stavolta molto più vicino a casa (la precedente è stata la fiera Sassari Comics & Games 2015).
Durante questo incontro con i lettori, avrò modo di parlare della trilogia di crime thriller che ha come protagonista il detective Eric Shaw, vale a dire quella che include il bestseller internazionale “Il mentore”, il suo seguito “Sindrome” e il romanzo che sto tuttora scrivendo, “Oltre il limite”, la cui pubblicazione è prevista per il 21 maggio 2017.
 
Racconterò come nasce, in un’autrice italiana come me, l’idea di scrivere dei romanzi ambientati a Londra e che vedono nei ruoli principali degli agenti della Sezione Scientifica di Scotland Yard, e come questo mio non essere britannica mi abbia spinto a mostrare un’interpretazione del tutto personale del mondo da me narrato e dei personaggi che si muovono al suo interno.
Parlerò delle ricerche fatte prima e durante la stesura dei romanzi, dell’aspetto scientifico che, immancabile, fa la propria comparsa nella storia come conseguenza del mio essere una biologa (anche se ormai pratico questa scienza solo nel campo dell’editoria) e dell’abbondanza di ambientazioni turistiche, che rendono i luoghi in cui si svolgono le trame familiari a chi abbia visitato almeno una volta la capitale britannica, di persona o anche soltanto attraverso la letteratura, la televisione o il cinema.
E poi chiarirò perché i miei libri, pur trattando di omicidi e investigazioni da parte della polizia, non sono dei romanzi gialli, bensì dei crime thriller, in quanto il fulcro della storia è rappresentato dalle vicende degli investigatori, che sono sempre coinvolti in maniera personale nei casi trattati.
 
Nella seconda parte dell’incontro, invece, presenterò il mio nuovo romanzo di fantascienza, “Ophir. Codice vivente”, che uscirà appena due giorni prima di questo evento. Si tratta della terza parte del ciclo dell’Aurora (tecnicamente è il sesto libro, in quanto la prima parte ne contiene quattro), che include anche la raccolta di “Deserto rosso” e il romanzo “L’isola di Gaia”.
Ophir. Codice vivente” nello specifico è il seguito cronologico di “Deserto rosso” e rappresenta il mio ritorno (e quello dei miei lettori) su Marte.
Si tratta di fantascienza hard, cioè con fondamento fortemente scientifico, in particolare nell’ambito delle scienze spaziali, di cui fa parte anche l’astrobiologia. A ciò si aggiunge il tema che sottende tutta la trama, cioè quello dell’intelligenza artificiale e degli eventuali benefici, ma anche rischi, di una sua evoluzione incontrollata. Ma soprattutto è un romanzo ricco di avventura, azione e personaggi complessi, in grado (spero) di smuovere le emozioni dei lettori.
 
Di tutto questo e di tanto altro avrò modo di parlare di persona il 2 dicembre 2016 a Iglesias. L’evento è organizzato e sarà moderato da Clara Congia, che ringrazio pubblicamente per il graditissimo invito.
Se siete in zona, non mancate!
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Di Carla (del 21/11/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3018 volte)

 Intenso, violento, scioccante
 
Questo è un romanzo estremamente complesso e ambizioso, che di certo ha richiesto all’autore un enorme lavoro di ricerca sulle dinamiche del traffico di droga tra Messico e Stati Uniti. Non conosco bene l’argomento, ma l’impressione che ho ricevuto dalla sua lettura è che l’autore racconti fatti reali, anche se ovviamente i personaggi e i dettagli delle loro specifiche storie sono inventati. Sono però assolutamente plausibili.
Durante la lettura ho rivisto nella mia mente alcune scene del film “Sicario” e ho provato la stessa sensazione di disagio, ma mille volte amplificata dal potere evocativo della parola scritta.
La storia sa essere coinvolgente, e quindi scioccante, laddove si arriva a raccontare efferati atti di violenza e omicidio. Alcune sequenze lasciano col fiato sospeso e ti spingono a continuare la lettura finché non sai come va a finire. Essa contiene tanti di quei doppi e tripli giochi che è difficile vedere un colpo di scena mentre arriva. Magari sai che sta per arrivare, ma non hai proprio idea di cosa succederà.
Ho particolarmente gradito, poi, il collegamento tra l’inizio del romanzo e la fine di uno degli ultimi capitoli.
In generale si tratta di un libro che va affrontato con l’intenzione di leggerlo in un breve periodo, poiché l’abbondanza di dettagli mette a dura prova la memoria del lettore. Personalmente trovo che questo sia un aspetto positivo per un romanzo, poiché segno di un gran lavoro di strutturazione della trama e perché mi stimola come lettrice.
Di contro ci sono alcuni aspetti che mi hanno impedito di dargli il massimo dei voti.
Il romanzo presenta tantissimo info-dump sui traffici di droga, la politica e tutto ciò che ci gira attorno. Capisco che sia essenziale per far comprendere il contesto in cui si svolge la trama, ma ho avuto difficoltà a leggere tutte queste informazioni e tendevo a saltarle, senza che questo mi facesse perdere nulla di essenziale sulla comprensione della storia, perché ero più interessata ai personaggi. Tutto ciò spezza parecchio l’azione, facendo sì che nel libro si alternino pagine raccontate, che tendono ad annoiare (a meno che tu non sia interessato all’argomento), ad azione vera e propria.
Ci sono inoltre troppi personaggi. Non è un problema di per sé, ma la loro eccessiva quantità rende faticosa l’immedesimazione in essi. È difficile riuscire a “sentirli” dentro di sé e, quando ci riesci, poi spariscono per decine di pagine.
In particolare la scelta di dedicare ognuno dei primi tre capitoli a un personaggio è abbastanza dispersiva. Sono stata sul punto di abbandonare il libro al secondo capitolo, perché non vedevo alcuna attinenza col primo. Era come se fosse un’altra storia. Solo alla fine del terzo ho iniziato a ricollegare le cose e ad apprezzare l’intreccio, ma non tutti i lettori riescono a spingersi così avanti, anche perché i capitoli sono molto lunghi.
Infine, c’è davvero molta violenza, mostrata in maniera molto diretta, che lo rende non adatto a persone facilmente suggestionabili. Io stessa sono stata contenta di averne finito la lettura, perché a tratti il libro mi stava deprimendo e impressionando. Anche questo aspetto non è di per sé negativo, poiché dimostra quanto il libro riesca a coinvolgere il lettore, ma personalmente non amo questo tipo di coinvolgimento così profondo con atti violenti e spesso disgustosi.
In altre parole, è un grande libro, un romanzo potente, ma avrei preferito non averlo letto, poiché mi ha lasciato con tanti sentimenti negativi. Per questo motivo non credo che leggerò il seguito.
 
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Di Carla (del 18/11/2016 @ 09:30:00, in Luoghi dei romanzi, linkato 5465 volte)
© 2012 Rita Carla Francesca Monticelli
Il ponte sul Tamigi che più di tutti è considerato un simbolo di Londra è senza dubbio il Tower Bridge, cioè il Ponte della Torre, chiamato così poiché collega il borgo di Southwark alla Torre di Londra, situata sul margine ovest del borgo di Tower Hamlets, al confine con la City.
 
Il Tower Bridge è costituito da due torri, collegate da una strada, che ne costituisce la campata centrale, e, in quota, da delle passerelle pedonali. La prima è costituita a sua volta da due porzioni mobili, che possono essere sollevate per permettere il passaggio di imbarcazioni più alte. Ai due lati sono presenti altrettante campate, che sono dei veri e propri ponti sospesi.
 
La sua costruzione è stata completata nel 1894 e inizialmente il meccanismo di apertura era alimentato da dei motori a vapore che sono rimasti in funzione fino a 1976. Al giorno d’oggi questi sono sostituiti dalle ultime tecnologie moderne che ne permettono la completa apertura in appena novanta secondi.
È anche vero, però, che il ponte viene aperto abbastanza di rado (circa mille volte in un anno, quindi meno di tre al giorno), tanto che si dice che vederne l’apertura porti fortuna. I motori vittoriani sono comunque ancora presenti all’interno della struttura e possono essere visitati.
 
© 2012 Rita Carla Francesca Monticelli
 
I pedoni possono accedere anche alle passerelle in quota (rinnovate nel 2009), che presentano un pavimento in vetro, e da lì godere di un’affascinante vista sulla città e sul fiume. Per farlo devono salire quasi trecento gradini, ma possono anche prendere l’ascensore. Le passerelle sono spesso teatro di mostre particolari e altri eventi.
 
L’accesso alle passerelle e alle sale macchine vittoriane è incluso nella Tower Bridge Exibition ed è possibile dietro pagamento di un biglietto, che può essere acquistato anche online (nel sito sono offerte maggiori informazioni anche in italiano). Queste sono aperte tutti i giorni dell’anno, a eccezione del 24, 25 e 26 dicembre.
 
© 2012 Rita Carla Francesca MonticelliIl Tower Bridge è stato sottoposto a un rinnovamento per quattro anni a partire dal 2008 e per renderlo pronto alle Olimpiadi e alle Paralimpiadi, che si sono tenute a Londra nel 2012. In concomitanza con questi eventi, dalle passerelle sono stati sospesi rispettivamente i simboli delle due manifestazioni (come potete vedere dalle foto scattate da me nell’agosto 2012 con i cinque cerchi olimpici).
Per qualche strano motivo il Tower Bridge viene spesso chiamato Ponte di Londra, in realtà questo è un errore, poiché il London Bridge è un altro ponte ben distinto che si trova alla sua sinistra.
 
Si può arrivare al Tower Bridge dalla stazione della metropolitana di Tower Hill, da cui si giunge agevolmente anche alla Torre di Londra, dove si possono visitare, tra le varie cose, i gioielli della Corona inglese.
Il monumento è in realtà un vero e proprio castello che in passato fungeva anche da prigione (fino al 1952) e dove venivano giustiziati i prigionieri, ma nella sua storia ha avuto molte altre funzioni, tra cui quella di residenza reale. Per maggiori informazioni sulla Torre di Londra, vi consiglio di visitare il suo sito ufficiale, dove è anche possibile acquistare online i biglietti di ingresso con un piccolo sconto sul prezzo.

Se invece si vuole arrivare al Tower Bridge da Southwark, bisogna scendere alla stazione del London Bridge, che è molto vicina allo Shard (nella terza foto sullo sfondo, mentre il primo piano c’è una parte delle Torre di Londra; anche questa foto è stata scattata da me nell’agosto 2012).
 
Il Tower Bridge fa la sua comparsa anche nella trilogia del detective Eric Shaw e in particolare in “Sindrome”. Ciò avviene nella medesima scena in cui appare appunto The Shard, durante la quale la detective Miriam Leroux e il sergente Mills sono protagonisti di uno spettacolare (nella mente di chi lo immagina, spero!) inseguimento in auto, che termina proprio con un incidente sopra il ponte. Per sapere chi i due poliziotti stessero inseguendo e se il fuggitivo sia poi stato acciuffato, dovrete però leggere il libro.
Questo articolo è anche l’ultimo, per ora, della serie dedicata ai romanzi che hanno come protagonista il detective Shaw. Per leggere i precedenti, potete fare clic qui.
Nuovi articoli che descriveranno altre zone di Londra verranno poi pubblicati con l’uscita del libro finale della trilogia, “Oltre il limite”, prevista per il 21 maggio 2017.
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Di Carla (del 12/11/2016 @ 07:52:26, in Lettura, linkato 2940 volte)

 Un action thriller… contagioso
 
La trama di questo romanzo è ben architettata e ha come fulcro un personaggio maschile, Jonathan Smith, molto carismatico e credibile. Jon, come si fa chiamare dagli amici, è un medico, ma anche un militare. È un uomo intelligente e pieno di risorse, ma non il classico uomo d’azione perfetto. Ha dei difetti, compie degli errori, ma poi alla fine è anche un po’ fortunato (come capita sempre nei romanzi).
Per quanto questo libro non sia stato scritto soltanto da Ludlum, che sarebbe morto l’anno dopo la sua pubblicazione, il suo tocco è evidente. Infatti, pur essendo un libro molto lungo, si legge altrettanto in fretta, creando quasi dipendenza, e presenta un giusto equilibrio tra azione e introspezione dei personaggi.
Il tema trattato, quello di una pandemia provocata volontariamente per ottenerne un ritorno economico, fa riflettere. Lo scenario, pur essendo estremo, è comunque realistico e, proprio per questo, mette i brividi.
La parte scientifica, nonostante non sia eccessivamente sviluppata (a beneficio del lettore, che non si deve sorbire alcun info-dump), è credibile.
Tra i personaggi mi è risultato particolarmente simpatico quello di Marty, un nerd affetto dalla sindrome di Asperger. È stato interessante seguire il fluttuare dei suoi pensieri come i livelli delle medicine variavano nel suo corpo.
D’altro canto, questo romanzo non è esente da aspetti negativi, a iniziare dall’eccessivo head hopping. Non è funzionale alla storia, perciò sembra quasi causale e a tratti fa perdere l’immedesimazione nei personaggi.
Purtroppo il testo è impestato da tanti errori e tante scelte infelici di traduzione (ho letto un’edizione precedente a questa, ma dubito fortemente che il testo sia stato revisionato, perché non lo fanno mai). Ma come si fa a scrivere M16 invece di MI6 (tutte le volte, quindi non è un refuso)? Possibile che nessuno tra traduttrici (sono due), revisore e correttore di bozze conoscesse l’agenzia d’intelligence britannica di 007?
Sempre riguardo a questa edizione, purtroppo c’è da dire che la quarta di copertina anticipa buona parte del libro. È quindi consigliabile non leggerla affatto.
Al di là di tutto, si vede purtroppo anche il tocco del secondo autore, che mette eccessivo ordine nel modo di narrare più carico e apparentemente caotico di Ludlum, facendo perdere spontaneità e imprevedibilità al testo.
Il finale apre a una serie di libri, che possono essere letti anche separatamente con una limitata o senza alcuna vera sottotrama, cosa che purtroppo sa di operazione commerciale. Per questo motivo non credo che leggerò altri libri di questa serie, anche perché i due successivi, cui Ludlum ha partecipato (non saprei dire in che misura), sono postumi, mentre tutti gli altri sono completamente scritti da altri autori.
Nonostante gli aspetti negativi mi sono molto divertita a leggere questo libro, perciò ho deciso comunque di dargli massimo dei voti.
 
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Di Carla (del 09/11/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3183 volte)

 Si può cambiare il passato?
 
I romanzi di Matheson sono tutti speciali, in qualche modo. Ciò che mi affascina di questo autore è la sua capacità di presentare storie completamente diverse, spesso anche di generi diversi, che sembrano non sentire il passaggio del tempo. Quando apro un suo libro, qualunque sia il periodo in cui l’ha scritto, so già che rimarrò stupita.
“Appuntamento nel tempo” è tante cose: un romanzo sui viaggi nel tempo, ma anche d’amore, e un finto diario della discesa verso la follia di una persona affetta da una malattia incurabile. Sta al lettore decidere come interpretarlo. Qualunque sarà la sua scelta, si ritroverà in mano un’opera coinvolgente e intensa.
Durante la lettura mi sentivo davvero nella mente e nella pelle del protagonista (il solito quasi-eroe dei libri di Matheson, in cui ogni persona riesce a immedesimarsi per via del suo essere ordinario e fallibile) e anch’io mi sono lasciata trasportare nel passato dalla ricostruzione storica evocativa dei luoghi e delle usanze. Il coinvolgimento è stato tale che ho letto tutta la seconda parte, in cui la trama pare accelerare, in pochissimo tempo.
Come sempre nei suoi libri, anche in questo caso la storia raccontata è tremendamente moderna per essere vecchia di quarantacinque anni. Di storie sui viaggi nel tempo ne sono state scritte tante, ma qui il protagonista non trova un qualche dispositivo tecnologico o magico per andare in un’altra epoca. Qui il protagonista scopre per caso le tracce del proprio passaggio nel passato e si convince che è destinato ad andarci, e che per farlo deve solo crederci.
E Matheson ci fa vivere in maniera così realistica la sua vita interiore che finiamo per crederci pure noi.
La struttura della storia è davvero ben studiata. Non è facile raccontare tramite un diario, che presume una narrazione a posteriori degli eventi, e far sentire al lettore come se questi stessero accadendo in quel preciso momento. Per riuscirci l’autore inserisce delle pause all’interno della trama che il protagonista sfrutta per riportare brevemente ciò che è appena accaduto. In realtà di breve non c’è nulla, poiché le scene narrate sono spesso molto lunghe, ma si tratta comunque di un artificio letterario convincente.
Il finale è un po’ telefonato, ma in fondo la logicità del tutto e la poesia con cui viene espresso lo rende comunque soddisfacente.
Forse ciò che rende questo romanzo particolarmente riuscito è il fatto che, nonostante la storia appartenga al genere fantastico, dà comunque l’impressione che non sia solo plausibile, ma anche, grazie alla capacità di Matheson di mescolare fatti e personaggi storici reali con altri del tutto inventati, che sia davvero accaduta.
L’unico aspetto negativo, a mio parere, è che la parte iniziale del romanzo è un po’ lenta, ma non fatevi scoraggiare. Andate avanti. Non ve ne pentirete.

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Questa edizione è in lingua inglese!

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Di Carla (del 06/11/2016 @ 10:30:00, in Scrittura & pubblicazione, linkato 1889 volte)

Anche quest’anno per la quarta volta mi cimento nella sfida novembrina di scrivere le prime cinquantamila parole di un nuovo romanzo in trenta giorni. Precedentemente ho tentato e vinto la sfida nel 2012 con “Il mentore” (pubblicato nel 2014), nel 2013 con “Affinità d’intenti” (pubblicato nel 2015), che è anche l’unico mio romanzo scritto dalla prima all’ultima parola proprio in un mese (mi riferisco solo alla prima stesura), e nel 2015 con “Sindrome” (pubblicato lo scorso maggio), seguito de “Il mentore”.
 
In un certo senso per me novembre è diventato il mese in cui scrivo i thriller e quest’anno mi ripeto con “Oltre il limite”, libro finale della trilogia del detective Eric Shaw. Finora ho scritto poche scene del libro e ho in mano ancora un’outline incompleta, ma sto lentamente entrando nello spirito della storia, grazie soprattutto al fatto che ho appena completato la prima scena in cui compare il protagonista.
 
Calarmi di nuovo nella sua mente mi emoziona, nonostante trovi sempre più faticoso scrivere i libri successivi di una serie. Il personaggio di Eric Shaw mi dà una particolare soddisfazione, forse perché si tratta di un protagonista maschile. Nella maggior parte dei miei libri, infatti, il protagonista è una donna. L’unica altra eccezione è “Per caso”, scritto anch’esso durante una competizione simile, il Camp NaNoWriMo dell’aprile 2015. Invece, dover far girare una storia intorno a un uomo, ai suoi pensieri, alle sue emozioni e a quelle sue fragilità che cerca di nascondere (ma non può farlo con me!), rappresenta per me, in quanto donna, qualcosa di molto particolare, poiché si tratta di uno sforzo creativo che va decisamente oltre lo scrivere ciò che conosco e si sposta verso il conoscere attraverso ciò che scrivo.
È difficile spiegare il tipo di sensazione che ciò mi suscita, ma chiunque abbia mai dovuto creare dal nulla un personaggio completamente diverso da se stesso (per sesso, carattere, convinzioni, inclinazioni e così via) o immedesimarsi, per qualunque motivo, in una persona del genere può avere un’idea di cosa intendo.
 
Anche questo novembre (e una parte di dicembre) Eric mi accompagnerà in un’intensa avventura scrittoria, l’ultima che affronteremo insieme, almeno sotto forma di romanzo. E già mi sale un po’ la malinconia, perché inevitabilmente finisco per affezionarmi a queste persone immaginarie che nella mia mente sono del tutto reali. Lasciarle andare è difficile, ma è necessario, per consentire ad altre di emergere.
 
Nonostante si tratti del mio quarto NaNoWriMo (cui si aggiungono quattro versioni Camp) ogni volta la sfida è reale. So di essere in grado di scrivere 50 mila parole in 30 giorni, ma tra esserne consapevole e farlo c’è di mezzo un bel po’ di sofferenza.
Eppure c’è un motivo per cui torturo me stessa con questa sfida: il motivo è che funziona.
Ci sono sempre innumerevoli valide ragioni per non scrivere o per smettere di farlo prima del tempo, ma avere un obiettivo giornaliero per trenta giorni di fila evidenzia come, in fondo, ognuna di tali ragioni possa essere messa da parte senza troppa fatica.
Grazie al NaNoWriMo l’agonia che accompagna l’atto creativo, fatta di dubbi, incertezze e costrizioni, dura al massimo un paio di mesi, invece di trascinarsi per un anno o più. La disciplina mentale che un impegno come il NaNoWriMo ti conferisce, fatta di dichiarazioni pubbliche giornaliere del numero di parole scritte e di quelle che si intende scrivere o fatta dell’aggiornamento costante del conteggio sul proprio blog (o, come nel mio caso, di entrambe le cose) e ovviamente sul sito della competizione, per quanto mi riguarda non ha eguali.
 
Ogni anno mi ritrovo a osservare l’andamento della gara dei miei buddy sul sito del NaNoWriMo o di altri partecipanti sul gruppo ufficiale italiano su Facebook e noto una varietà di comportamenti. Molti di loro, spinti dalla paura di non riuscire a tenere il ritmo, partono di gran carriera, scrivendo svariate migliaia di parole nei primi giorni, ma poi rallentano e spesso si bloccano ben prima del traguardo. L’errore in alcuni casi nasce proprio dal fatto che non vogliono sentirsi con l’acqua alla gola, si prendono il sicuro con una partenza a razzo e poi si rilassano troppo, esaurendo presto la propria vena creativa.
Il vero scopo del NaNoWriMo è però un altro: scrivere in media almeno 1667 parole al giorno, cioè creare un ritmo produttivo costante. Non è quello di scrivere di più, per mettere parole da parte, quasi fossero dei risparmi, ma piuttosto di allenare la propria creatività a scrivere quelle 1667 in un tempo più breve e con maggiore facilità.
 
Ogni autore di certo ha un approccio diverso alla scrittura, ma credo che quasi per tutti spesso la parte più difficile sia l’atto di iniziare.
Per me iniziare una nuova scena è sempre un trauma. Per questo motivo ciò cui punto ogni volta che mi metto davanti al foglio bianco è proprio scrivere una sola scena, per non dover affrontare più di una volta il trauma dell’inizio. E, visto che l’obiettivo giornaliero sono quelle 1667 parole, la soluzione è scrivere ogni volta una scena che abbia almeno quella lunghezza (può essere inferiore, solo se si è un po’ avanti sulla tabella di marcia). Se per qualche motivo non riesco a raggiungere quella quota con una scena, torno indietro, la rileggo e la rimpolpo. Questo perché avere fretta nello scrivere non è una buona cosa. Certe volte si hanno così chiari in mente gli eventi da narrare che si rischia di cadere nell’eccesso di sintesi, che impedisce al lettore di immedesimarsi nelle problematiche dei personaggi.
Avere un obiettivo numerico minimo di parole per singola scena mi impedisce di finire in questa trappola e quindi mi consente di scrivere delle scene equilibrate, col ritmo giusto e una lunghezza tale da costringere il lettore a non staccarsi dal libro.
 
D’altra parte, una volta terminata la scena (a obiettivo numerico raggiunto), anche se so come andare avanti (perché ho comunque un’outline, anche se parziale) e, magari, avrei anche il tempo per farlo, invece mi fermo, perché sono anche consapevole che, se faccio passare un altro giorno, nuove idee e sviluppi migliori di quelli che ho già pensato di certo salteranno fuori, permettendomi di scrivere un libro migliore. Per questo motivo non ha senso, a mio parere, mettere parole e scene da parte, poiché la fretta può spingere la storia verso una direzione al momento più semplice, ma che col tempo potrebbe rivelarsi inadatta ai personaggi, compromettendo il risultato finale. Al contrario, domare la propria creatività e costringerla a certi ritmi permette ai personaggi di esprimersi e indicare all’autore la strada giusta.
 
Certo, c’è chi scrive e quindi partecipa al NaNoWriMo solo per il puro piacere di scrivere fine a se stesso, senza particolari ambizioni. In tal caso, deve solo seguire il proprio istinto, in quanto la disciplina di cui parlo non è affatto divertente, anzi, è una vera e propria tortura.
Ma chi, invece, sta scrivendo una prima stesura con lo scopo di trasformarla poi in un libro finito che verrà pubblicato addirittura in un giorno già stabilito nel futuro, come nel mio caso (l’uscita di “Oltre il limite” è prevista per il 21 maggio 2017), deve per forza di cose avere un altro approccio.
 
Chi non si è mai trovato in questa situazione potrebbe pensare che io faccia violenza a me stessa (in un certo senso non si sbaglia del tutto), ma come avviene per l’attività fisica anche nella scrittura la gratificazione raramente deriva dal compiere l’atto in sé, bensì dalla soddisfazione che si prova al suo completamento. Perciò il mese di novembre sarà un mese di sofferenza, ma alla fine di ogni sessione di scrittura in cui avrò raggiunto il mio obiettivo mi sentirò soddisfatta di me stessa. Alla fine tale soddisfazione raggiungerà il proprio apice quando digiterò quella cinquantamillesima parola. E sarà bellissimo, proprio come ciò che si prova quando, alla fine di una lunga corsa, ci si ferma per prendere fiato.
Quel traguardo, però, è ancora lontano. Nel frattempo, vi chiedo soltanto di tifare per me!
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23/10/2024 @ 07:50:28
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