Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Fin dove saresti disposto a spingerti, per proteggere un segreto?
Domenica, 21 maggio 2017. È trascorso meno di un anno da quella vorticosa settimana di fine giugno 2016 in cui il detective Eric Shaw ha rischiato la vita. Da allora molte cose sono cambiate per Eric. La sede di Scotland Yard è stata trasferita al Curtis Green Building e con essa la sua squadra, il suo rapporto con la giovane criminologa Adele Pennington si è evoluto in maniera del tutto inaspettata, mentre al contrario quello con la sua figlioccia, la detective Miriam Leroux, sta attraversando un periodo di profonda crisi, causato dal rivangare del passato relativo ai genitori di lei. Nonostante ciò Eric sta vivendo un periodo tranquillo, reso ancora più piacevole dalla possibilità di un’imminente promozione.
Ed ecco che durante un turno di reperibilità domenicale viene chiamato su una scena del crimine fuori del comune: il celebre museo delle cere Madame Tussauds.
All’interno della cosiddetta sala della festa è stato rinvenuto il corpo senza vita di una giovane donna, perfettamente mimetizzato tra le repliche delle star del cinema. Quello che inizialmente sembrava solo un bizzarro suicidio si rivela qualcosa di più complesso, quando Eric scopre una prova sul cadavere che gli suggerisce un collegamento con un caso del gennaio 2014: gli omicidi di un serial killer cui era stato dato il nomignolo di ‘chirurgo plastico’.
C’è però un problema. Quel caso è stato risolto e l’assassino, Robert Graham (uno specializzando in chirurgia plastico-ricostruttiva), si trova in prigione. A peggiorare le cose c’è il fatto che Eric, all’epoca, aveva aiutato la macchina della giustizia falsificando una prova fisica.
Chi è questo nuovo killer: un complice di Graham, un suo emulatore oppure il vero ‘chirurgo plastico’?
Eric ha forse fatto condannare la persona sbagliata?
Ma non c’è spazio per gli esami di coscienza, poiché la sua squadra dovrà ingaggiare una lotta contro il tempo per fermare l’assassino prima che nuove vittime innocenti vengano sacrificate.
Il tutto verrà reso ancora più complicato dal tentativo del detective George Jankowski di ottenere per sé la promozione al ruolo di supervisore della Scientifica e al grado di sovrintendente. Per riuscirci Jankowski si è messo a scavare tra i vecchi casi di Eric e così facendo, senza rendersene conto, si è avvicinato pericolosamente all’inconfessabile segreto che, dal giugno 2014, lega quest’ultimo al serial killer soprannominato ‘morte nera’.
Nel giro di pochi giorni Eric si troverà costretto a compiere delle scelte difficili, da cui dipenderà il suo futuro e quello delle due donne più importanti della sua vita.
Esiste un solo modo per scoprire l’esito delle sue scelte: leggere “ Oltre il limite”, disponibile in ebook a partire da 2,99 euro su Amazon, Giunti, Google Play, Kobo, iTunes, Mondadori Store, laFeltrinelli, Nook (tramite l’app di Windows), 24Symbols (gratuito per gli abbonati) e Smashwords e in edizione cartacea a 13,99 euro su Amazon e Giunti.
Ecco la descrizione del libro.
Il corpo senza vita di una donna in abito da sera viene scoperto nella sala della festa del museo delle cere. Tutto farebbe pensare a un suicidio, ma il detective Eric Shaw, caposquadra della Scientifica di Scotland Yard intervenuto sul posto con la criminologa Adele Pennington, nota subito delle similitudini con il caso del serial killer soprannominato ‘chirurgo plastico’, risolto tre anni prima con l’arresto di un uomo: Robert Graham.
Forse qualcuno lo sta emulando oppure Graham aveva un complice, ma esiste una terza possibilità ed è questa in particolare a preoccupare Eric, che all’epoca, certo della colpevolezza del sospettato, aveva falsificato una prova fisica per assicurarne la condanna.
E se avesse compiuto un errore e mandato in prigione la persona sbagliata?
Le indagini lo riportano a lavorare con Miriam Leroux, la giovane detective della Omicidi che fino all’anno precedente collaborava con la sua squadra, e insieme a lei si ritroverà a seguire le tracce di un inafferrabile assassino, in una corsa contro il tempo lunga tre giorni.
Questo potrebbe anche essere il suo ultimo caso importante prima di un’eventuale promozione a sovrintendente, se non fosse per il fatto che il detective George Jankowski, in lizza per lo stesso avanzamento di grado, ha deciso di giocare sporco per mettere in cattiva luce il collega e favorire la propria carriera.
Nel farlo, però, questi finirà per avvicinarsi pericolosamente all’inconfessabile segreto custodito da Eric e dalla sua allieva.
Essendo il terzo libro di una trilogia, è necessaria la lettura dei primi due per una completa comprensione della trama.
“ Il mentore”, che è un bestseller internazionale con oltre 170.000 lettori in tutto il mondo, è disponibile in ebook su Amazon, Giunti, Google Play, Kobo, iTunes, Mondadori Store, LaFeltrinelli, Nook (tramite l’app di Windows), 24Symbols (gratuito per gli abbonati) e Smashwords e in edizione cartacea su Amazon e Giunti.
Torna a Londra… Il destino del detective Shaw e della sua allieva sta per compiersi.
Di Carla (del 18/05/2017 @ 09:30:00, in Eventi, linkato 2070 volte)
In occasione dell’uscita del libro finale della trilogia del detective Eric Shaw, “ Oltre il limite”, ho il piacere di presentare l’intera serie ai lettori di Carbonia (la città in cui sono nata!), nell’ambito della serie di eventi “Carbonia Scrive”.
La presentazione avrà luogo venerdì 26 maggio a partire dalle 18.30 presso la Biblioteca Comunale in viale Arsia (Parco Villa Sulcis) e vedrà, oltre alla mia partecipazione, l’intervento di Emanuela Rubiu (Assessore alla Cultura e al Turismo del Comune di Carbonia).
Anche in questo caso cercherò di illustrare la trilogia, che include il bestseller internazionale “Il mentore”, “Sindrome” e “Oltre il limite”, evitando il più possibile eccessive anticipazioni sulla trama, per non togliere a chi volesse il piacere di scoprirla leggendo i libri.
Pur non entrando troppo nei dettagli degli eventi narrati, racconterò come è strutturata la trilogia rispetto all’evoluzione del personaggio di Eric Shaw e al rapporto con la sua allieva. Inoltre parlerò delle ricerche svolte per creare la mia Londra e la mia particolare interpretazione della Polizia Metropolitana (quella con sede a New Scotland Yard), soprattutto del Servizio di Scienze Forensi.
Infatti accanto a una Londra in cui vengono messi in risalto alcuni luoghi ben noti, e altri un po’ meno, cosa che dà a certi passaggi un taglio quasi turistico, c’è la vera scienza forense utilizzata dai personaggi per affrontare i singoli casi.
Ma l’aspetto più importante è il fatto che l’ambientazione e l’investigazione rappresentano un contorno (spero godibile) di quello che poi è l’elemento posto al centro di tutti i miei libri, cioè la crescita dei personaggi (e i principali sono quasi sempre degli antieroi), cosa che fa sì che questa trilogia sia una serie di crime thriller e non di gialli.
Rispetto alla presentazione precedente, che risale a dicembre, si è aggiunto il libro finale e con esso tanti altri aspetti di cui parlare, senza però rivelare elementi cruciali della trama.
Se siete a Carbonia o dintorni, spero di vedervi di persona!
Altrimenti qualche giorno dopo provvederò io stessa a scrivere un resoconto dell’evento.
Di Carla (del 16/05/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 1699 volte)
Sorprendentemente bello
Mi sono imbattuta in questo libro in un mercatino dell’usato. La copertina oggettivamente brutta, che ricorda quella di un manuale, mi stava quasi scoraggiando dall’acquisto, ma convinta dal prezzo irrisorio ho deciso di prenderlo. Nell’iniziare la lettura sono rimasta subito piacevolmente sorpresa dalla scena d’apertura caratterizzata da una certa azione, che ha vinto le mie ultime remore dovute ai numerosi errori del testo (tutte le “i” e le “u” sono accentate al contrario - cosa quasi incredibile, trattandosi di un libro della Fanucci, per quanto sia da edicola - e i refusi, le virgole che separano soggetto e verbo e altri errori si sprecano).
Nonostante il libro originale sia stato pubblicato nel 1990, il futuro in esso raccontato continua a essere abbastanza plausibile, sebbene si noti qualche anacronismo. Ma non sono poi così tanti.
La storia porta avanti in parallelo le vicende di alcuni personaggi, che poi finiscono per intrecciarsi in maniera inattesa. Ho subito legato col personaggio di Christopher, che per la notevole presenza in scena, e per il fatto che viene mostrata una sua approfondita introspezione psicologa, ha un ruolo molto simile a quello di protagonista.
La trama tratta dell’imminente lancio di una nave interstellare, la Memphis, con diecimila futuri coloni di un nuovo mondo, del metodo con cui vengono selezionati e del tentativo di boicottare questa missione da parte di un movimento contrario a essa, poiché i suoi sostenitori ritengono che si debba migliorare la situazione sulla Terra prima di andare in cerca di altri mondi e che, nello specifico, privare il nostro pianeta di alcune delle sue menti più brillanti sia sbagliato. La loro convinzione sfocia nel fanatismo fino al compimento atti di violenza, all’omicidio e porta persino al terrorismo.
Il modo in cui gli appartenenti a questi movimenti ragionano (si fa per dire) fa davvero paura. Ignoranza, follia e crudeltà li contraddistingue e pone delle riflessioni che possono essere tranquillamente applicate a certe uscite aggressive fatte al giorno d’oggi sui social network, quando si parla di colonizzazione di Marte o in generale di esplorazione spaziale. C’è da sentirsi sollevati del fatto che siano solo parole e che non ci sia nessuno, come il Jeremiah di questo romanzo, capace di fomentare tali persone, proprio perché non saprebbero andare oltre l’esibizione della propria ignoranza e lo sfogo delle proprie frustrazioni sul web.
Eppure nella lettura delle terribili azioni svolte dai seguaci di Jeremiah in questo romanzo, per quanto si trattasse di finzione, ho provato lo stesso disgusto velato di timore che certi commenti di questo tipo letti su Facebook riescono sempre più spesso a suscitare.
In tale contesto già di per sé interessante, si inseriscono una serie di personaggi estremamente controversi, come pure lo è per certi versi il tipo di società futura mostrata nel romanzo. Tra essi, per esempio, l’esistenza di matrimoni con più di due persone, spesso addirittura aperti, mi ha fatto storcere il naso, poiché nel modo in cui viene mostrato riduce il concetto stesso di matrimonio all’avere qualcuno per cui si prova attrazione fisica a disposizione nella stessa casa. L’argomento sembrava messo lì per evidenziare alcuni problemi personali di un personaggio, senza però godere di una propria credibilità. E alla fine sono stata contenta del modo in cui quel particolare aspetto si è risolto nella storia di quel personaggio (e devo dire che ciò ha contribuito al gradimento generale del libro).
Comunque, non voglio entrare nel dettaglio, poiché credo che meno si sappia sulla trama di questo libro più si abbia la possibilità di venirne positivamente sorpresi. Dico solo che si tratta di un romanzo complesso, ma talmente ben strutturato da non rendere necessaria una lunghezza eccessiva. Ciò probabilmente dipende dal fatto che la storia originale era quella di un vecchio racconto inedito dell’autore, che poi quest’ultimo ha ampliato, impedendo che esplodesse in mille direzioni, come invece capita quando si parte da un’idea non abbastanza definita. Ne è venuta fuori un’opera che unisce alla sintesi uno sviluppo soddisfacente dei filoni narrativi, impreziositi qua e là da colpi di scena e accelerazioni dell’azione del tutto imprevedibili.
Se amate la fantascienza hard in cui, però, non si trascuri l’introspezione dei personaggi, poiché svolge un ruolo fondamentale nella trama a pari merito con uno dei cosiddetti “grandi temi”, e doveste mai incappare in questo testo, non lasciatevelo sfuggire.
Alcune settimane fa sono stata intervistata da J. Oscar Lufuluabo, fondatore del sito letterario LibriCity Group, in cui è stato recentemente recensito “ Il mentore”.
In questa breve chiacchierata abbiamo toccato i principali aspetti della mia produzione di narrativa, ma attraverso domande insolite.
Dal tentativo (come al solito, fallito) di cercare di definirmi, siamo passati a parlare della mia passione per il cinema, dei miei tentativi di scrivere delle sceneggiature, fino alla mia vecchia fan fiction “ La morte è soltanto il principio”.
E poi ci siamo addentrati nella fantascienza. Mi è stato chiesto come, da autrice e appassionata di questo genere, vivo il mio rapporto con fantasia e realtà. Da lì sono arrivata a quello che è il tema che si trova un po’ in tutti i miei libri, il confine tra il bene e il male, incarnato nella figura dell’antieroe, a partire proprio dal mitico Darth Vader di Star Wars.
E quando si parla di antieroi, in questo periodo in cui concludo la trilogia del detective Eric Shaw con l’uscita di “ Oltre il limite” ( 21 maggio 2007 in ebook, ma è già disponibile in edizione cartacea), non posso fare altro che pensare a Eric e alla sua allieva.
Andando a leggere, scoprirete come è nato il personaggio di Eric Shaw, se avessi intenzione o meno dall’inizio di scrivere i due seguiti de “Il mentore” (“ Sindrome” e “ Oltre il limite”), perché ho ambientato la storia a Londra (e non in Italia!) e come mi sono documentata.
Infine troverete qualche anticipazione sui progetti futuri.
Ringrazio ancora Oscar per la bella chiacchierata!
Di Carla (del 09/05/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2016 volte)
La tomba del re Tut
Sono passati oltre venticinque anni da quando mi capitò di leggere il saggio “Tutankhamen. Il faraone dimenticato” di Philipp Vandenberg e rimasi affascinata per la prima volta dalle scoperte archeologiche relative all’antico Egitto. Da allora mi sono interessata parecchio all’egittologia, per quanto solo in qualità di curiosa, e quindi adesso nel leggere questo romanzo breve di Isabel Giustiniani, che ripercorre la scoperta della tomba del re Tut, mi sono goduta una sorta di ripasso di un argomento che conoscevo bene, ma narrato in una chiave romanzata, cosa che permette di colmare le effettive conoscenze sull’operato di Howard Carter con la fantasia dell’autrice. Ne viene fuori un racconto scorrevole, che può rappresentare un’opportunità per venire a conoscenza di un evento storico di portata eccezionale attraverso il filtro di un personaggio immaginario (Na’im).
In realtà l’aspetto romanzato del libro è abbastanza marginale. I personaggi non sono approfonditi più del necessario, lasciando ampio spazio agli eventi storici, già di per sé talmente straordinari da non aver bisogno dell’aggiunta di troppa fantasia. Ciò fa sì che quest’ultima funga da guida, rendendo i fatti più fruibili a un lettore che ne sia interessato, ma che allo stesso tempo non ami i saggi.
Si osserva infine, in alcune scene, la comparsa di un fantomatico bracciale a forma di serpente. Il suo inserimento nella storia è così ben fatto da far quasi sorgere il dubbio che tale manufatto esista davvero. Non è così. Esso, invece, rappresenta l’unico elemento che determina la definizione di prequel data a questo libro. Di fatto, però, “La tomba del canarino” può essere letto come un libro autoconclusivo ed è un tipo di romanzo storico molto diverso da “L’ombra del Serpente”, in cui l’elemento fantasy ha un ruolo più predominante nella storia e quella dell’Egitto è solo una delle ambientazioni.
Di Carla (del 02/05/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2210 volte)
Un altro eroe imperfetto di Ludlum
Un grande autore come Ludlum aveva la capacità di addentrarsi in ambientazioni e storie completamente diverse, proponendo al contempo una sua versione di eroe “difettoso”, cui nell’arco del libro succedevano di tutti i colori e che rischiava più di una volta di morire, ma alla fine se la cavava, nonostante compiesse sempre numerosi passi falsi e si facesse un bel po’ male.
In questo caso si tratta di un insegnante universitario d’inglese, James Matlock, che si trova coinvolto nel tentativo di sgominare un’enorme organizzazione di traffico di droga, prostituzione e tanto altro che coinvolge numerosi atenei americani. Matlock non è uno sprovveduto. Ex-militare, è uno pieno di inventiva. Si ritrova però a combattere qualcosa di più grande di lui e nel farlo, in un’escalation di omicidi, inseguimenti, rapimenti, esplosioni e tanto altro, a un certo punto non saprà neanche quante sono le parti in gioco e se ne esista almeno una di cui possa fidarsi.
In questo libro Ludlum, come sempre, mostra una grandissima inventiva e la sua capacità di tenerti incollato alle pagine. Insieme a Matlock, il lettore cercherà di venire a capo di un’intricata rete di intrighi e, magari, di sopravvivere.
Nonostante si tratti di un libro scritto nel 1973, risulta molto attuale. Certo, non ci sono i cellulari, non c’è internet e tante altre tecnologie che possiamo trovare nei thriller d’azione di questi anni, ma la difficoltà creata dall’assenza di tali mezzi, con il protagonista che si vede costretto ad andare a caccia di cabine telefoniche (!), rende la lettura ancora più godibile e il senso di pericolo più realistico.
La traduzione del 1984 è ottima (a parte qualche virgola “all’inglese”), cosa che purtroppo non si osserva in quelle dello stesso autore, e di altri, fatte in tempi più recenti. Si nota il passaggio del tempo per via dell’uso di qualche termine non comune, che però conferisce al testo un aspetto ricercato, ricco, ed è in perfetta sintonia con l’ambientazione.
Di Carla (del 25/04/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2030 volte)
Insieme di cose già viste e colpi di scena telefonati
La mia opinione su questo libro è variata alcune volte durante la lettura. L’inizio non mi ha entusiasmato, ma circa a metà della storia mi sono trovata coinvolta in essa, per poi venire miseramente delusa alla fine.
Iniziamo dagli aspetti positivi.
Dugoni scrive bene, su questo non c’è dubbio. E la traduzione di Roberta Marasco, salvo qualche piccola imperfezione (un paio di virgole sbagliate, perché riportate tali e quali dall’inglese, e che avrebbero dovuto essere corrette da chi si è occupato della revisione), è ottima.
La storia è senza dubbio scorrevole, grazie anche alle ambientazioni suggestive che non possono non rimandare alle immagini uggiose di familiari paesini inquietanti dello stato di Washington visti al cinema o in tivù. Come dicevo prima, inoltre, intorno alla metà si fa interessante e ti viene la voglia di sapere come continua, poiché speri in qualche colpo di scena.
Purtroppo questa speranza viene disillusa.
Di fatto siamo di fronte a un insieme di cose già viste, a partire dalla ragazza scomparsa/uccisa nel paesino in cui non era mai successo nulla prima, a continuare col classico caso irrisolto vecchio di vent’anni e per finire con la bufera di neve che arriva proprio nel momento più drammatico della storia.
Il personaggio di Tracy, la protagonista, non è abbastanza approfondito e non sono riuscita a immedesimarmi in lei. Mi è piaciuto il personaggio di Dan, ma alla fine non ha così tanto spazio nella risoluzione della storia. È vittima degli eventi. Inoltre lo sviluppo sentimentale tra i due è scontato fin da subito e viene mostrato in maniera fredda, senza coinvolgere il lettore.
I flashback sono tristi e deprimenti, a volte non portano avanti la trama, sono lì solo come elemento drammatico.
La trama in sé è il problema principale del romanzo. Possibile che in vent’anni Tracy si sia concentrata su chi non potesse essere l’assassino della sorella e non su chi potesse esserlo?
Le motivazioni dei personaggi sono molto deboli, soprattutto di coloro che hanno mandato in prigione Edmund House. Il motivo per cui non l’hanno mai spiegato a Tracy, facendola dannare per vent’anni, non regge proprio.
L’autore non ci porta mai a pensare a chi possa essere l’assassino, tanto che a un certo punto ho sperato fosse uno dei personaggi comparsi per caso oppure insospettabili, ma purtroppo mi sbagliavo. In teoria la sua intenzione è suggerircene qualcuno attraverso il comportamento delle persone coinvolte nella manomissione delle prove, ma la loro motivazione per tale azione è evidente, quindi neanche per un istante ho pensato che uno di loro potesse aver ucciso Sarah. Solo nell’ultima parte Dugoni cerca di indirizzarci verso un personaggio in particolare, ma anche in questo caso è evidente che la teoria non regge, e alla fine dei giochi l’assassino è il più ovvio possibile.
E infatti per tutto il tempo mi sono stupita di come una detective della Omicidi di Seattle non riuscisse a vedere l’ovvio.
Di fronte a tutto ciò in pratica non ho rilevato alcun colpo di scena e in generale molti eventi che avrebbero dovuto stupire sono di fatto telefonati, poiché l’autore li anticipa o comunque li indirizza verso sviluppi scontati. Dal momento della “rivelazione” (ovvia) dell’identità dell’assassino ho saputo come sarebbe finita la storia, anche perché non c’era il minimo dubbio che Tracy si sarebbe salvata, essendo la protagonista e trattandosi del primo libro di una serie.
Infine, gli ultimi capitoli sono abbastanza inutili. Le scene in cui lei va trovare le persone in ospedale erano evitabili, idem si può dire per l’epilogo.
In poche parole mi spiace dover dire che, una volta capito che non presentava alcuna originalità né sorpresa, ho trovato nel complesso il romanzo abbastanza noioso.
«Mia nonna mi ha preso la mano e insieme abbiamo attraversato un tunnel. E poi ho visto la luce e... tutto quanto.»
Giulia esita prima di pronunciare le ultime due parole. Respira, prende fiato per un secondo che a entrambe pare una vita e infine le butta fuori in un sussurro, come se le costasse uno sforzo enorme. Il mio cuore per un attimo si ferma, prima di riprendere a battere a un ritmo impazzito, ma non me ne curo. Non riesco a pensare a nulla. Sono con Giulia, ovunque mi abbia condotta.
Mi sembra che il sole di quel primo pomeriggio di agosto che attraversa le persiane appena accostate sia più vivido adesso, più luminoso, quasi che la luce di cui parla Giulia si sia infiltrata attraverso il pulviscolo che galleggia sospeso in quel cono che taglia la stanza, prima di disegnare un’ombra trapezoidale sul pavimento. Sospesa come è stata lei, tra la vita e la morte. Sospesa come me in questo momento, davanti alla realtà che lentamente si svela, man mano che il senso delle sue parole si fa largo tra le mie certezze, fino a spazzarle via con un boato che mi scuote fin nelle fondamenta.
La guardo e la serenità dipinta sul suo volto mi placa. Mi sta osservando con i suoi occhi castani. Abbozza un timido sorriso davanti alla mia espressione che di certo non nasconde lo stupore. Si torce le mani strette in grembo, lasciando così trapelare una certa ansia mentre il marito, seduto accanto a lei, le accarezza i capelli con delicatezza e il piccolo Marco gioca nel box impilando grossi dadi di plastica di tutti i colori, ignaro di quanto stia accadendo intorno a lui.
Giulia ha avuto un incidente circa due anni fa. Era incinta di otto mesi. Quando l’ambulanza era arrivata al policlinico, i medici si erano resi conto subito di essere davanti a una situazione disperata. Erano riusciti per miracolo a far nascere il bambino ma, nonostante i ripetuti tentativi di rianimazione, non avevano avuto la stessa fortuna con Giulia e alla fine si erano dovuti arrendere all’evidenza: il cuore di Giulia si era fermato per sempre e uno di loro avrebbe dovuto dire a quell’uomo che era diventato papà di una creatura non avrebbe mai conosciuto la sua mamma.
Ma un giovane medico, da pochi giorni al pronto soccorso, non si era voluto arrendere davanti a quella tragedia. Non dopo aver perso suo fratello in un incidente stradale. Così aveva afferrato le spalle di Giulia e aveva cominciato a gridare e a scuoterla, poi le aveva tempestato il petto di pugni continuando a urlare che c’era un bambino che aveva bisogno di lei e che lei sarebbe stata un’egoista se lo avesse abbandonato. Lo avevano afferrato, c’erano voluti due medici e un paramedico per bloccarlo e trascinarlo via, ma prima di lasciare la stanza aveva fatto in tempo a sentire quel beep che aveva lasciato tutti increduli e sbigottiti.
A raccontare tutto questo non è stato un medico o un infermiere. È stata Giulia. Ha riferito tutto al marito due settimane dopo, quando si è svegliata dal coma che le era stato indotto per far diminuire la pressione intracranica, dopo che il suo cuore aveva ricominciato a battere.
Adesso è lui che mi guarda, gli occhi lucidi e la voce spezzata dall’emozione mentre rivive quei momenti, la sua incredulità e la certezza che quello di Giulia fosse solo un sogno. Ma Giulia in seguito aveva chiesto di poter parlare con quel giovane medico, gli aveva raccontato quello che aveva visto e sentito mentre si muoveva tra loro, guardando il suo corpo martoriato steso sulla barella, prima di vedere la nonna morta anni prima e di andare verso il tunnel insieme a lei. Giulia sorride e le trema il mento al ricordo.
«Ha pianto, poi mi ha preso la mano e mi ha ringraziata. Lui a me, capisci? Io ero viva grazie a lui...»
La voce le si spezza e sono io ad afferrare le sue mani adesso, in silenzio perché ogni mia parola sarebbe di troppo. Il marito le cinge le spalle. Mi hanno dato accesso a qualcosa di intimo e io resto lì, non mi muovo, non parlo.
Quanto c’è di vero in questo racconto? Tutto e niente. Ho avuto il privilegio di conoscere una persona che ha condiviso con me la sua esperienza di NDE - Near Death Experience - ovvero Esperienze ai confini della morte. In seguito ne ho incontrate altre due. Ho rispettato il loro volere e ho attinto alla mia fantasia di scrittrice per riportarvi le loro storie mescolate insieme così da non essere individuabili, ma è giusto così perché chi ha vissuto una NDE spesso ne parla fino allo sfinimento, ma i più preferiscono invece non farlo e tenere per sé qualcosa che potrebbe non essere compreso, travisato, disprezzato o che li renderebbe oggetto di una curiosità morbosa.
Al di là delle ipotesi scientifiche o spirituali che cercano di fornire una spiegazione davanti a storie così sconcertanti, ascoltare il racconto di una NDE dalla voce di chi l’ha vissuta è qualcosa che lascia il segno. Le mie radici sono cattoliche, anche se non sono praticante e l’esperienza mi ha portato ad abbracciare una visione spirituale della vita di più ampio respiro, al di là delle etichette imposte dalla religione. Ma qui non è di religione che si parla, bensì dell’interrogativo a cui l’uomo, fin dalle origini, tenta di dare una risposta: c’è vita dopo la morte?
Io non so quale sia la risposta, ma le persone che ho incontrato, e che mi hanno raccontato la loro esperienza ai confini della morte, hanno letto la domanda nei miei occhi e non hanno avuto nessuna esitazione nel rispondere: «Sì.»
Dopo aver incontrato queste persone speciali, a cui va la mia eterna gratitudine per avermi donato una parte così importante della loro vita, ho letto molto sull’argomento, mi sono documentata, soprattutto sul sito della Near Death Experience Research Foundation e mi sono lasciata condurre. Non ho più cercato la risposta a quell’interrogativo fondamentale dell’esistenza, ma ho lasciato che mente e cuore si aprissero, accogliendo l’infinita gamma delle possibilità e lasciando che la mia stessa vita acquisisse un senso più pieno, proprio in virtù di quelle possibilità.
Come persona sono curiosa di natura e la scrittrice che è in me ama guardare il mondo senza pregiudizi, senza preconcetti, limitandosi a registrare e assorbire tutto quello che mi accade intorno, dimostrando al momento giusto un istinto infallibile che è la mia guida. Così, mentre la trama del mio primo romanzo si delineava davanti ai miei occhi con l’unica certezza di voler raccontare una storia in cui il protagonista fosse l’amore, dopo l’ennesimo caffè, con la mente che vagliava freneticamente tutte le soluzioni possibili per dare a quella storia un tocco di originalità, è accaduto l’impossibile. L’assurdo. Il miracolo.
Laura, la protagonista del romanzo, si è materializzata davanti ai miei occhi con il volto rigato di lacrime e la voce spezzata: «Luca è in coma! Aiutami! Sono disperata! Non posso vivere senza di lui, devi aiutarmi!»
Vi lascio immaginare il balzo che ho fatto sulla sedia e il caffè finito sulla tastiera, sul mouse, ovunque. Ma per quanto fossi sorpresa per quella che non era la prima incursione da parte di un personaggio dal mio mondo di fantasia a quello reale, non fu nulla in confronto allo shock nel sentire la mia voce che le rispondeva.
«E io cosa posso fare?»
«Devi raccontare la nostra storia! Devi dire che ogni notte Luca viene da me!»
«Ma non mi hai detto che Luca è in coma?»
«Sì, ma lui ogni notte viene da me ed è reale, però il giorno mi sembra tutto così assurdo! Io non sono pazza, vero? Tu lo sai che non sono pazza. Tu lo sai che è possibile, tu le hai ascoltate quelle storie...»
«Va bene» ho acconsentito, chiedendomi se non fosse il caso di contattare uno psicologo.
Forse se avessi preso l’appuntamento per me e Laura, se fossimo andate insieme, avremmo avuto diritto a uno sconto e chissà, magari ci avrebbero ricoverate nella stessa stanza nel reparto di psichiatria.
«Davvero? Scriverai la nostra storia?»
«Sì, ma adesso siediti per favore, mi stai facendo venire il mal di mare. Mettiti qui e raccontami tutto, io intanto pulisco questo disastro e metto su un’altra moka di caffè, ho l’impressione che ne avremo bisogno.»
È nato così “ Il filo che ci unisce”, il mio romance pubblicato da Youfeel Rizzoli, originariamente uscito in self un anno e mezzo fa, anche se con un titolo diverso. Una storia romantica e intensa che racconta di un legame d’amore così forte e puro da andare oltre le barriere della logica e persino oltre la morte. Una storia toccante, a tratti drammatica, passionale e sensuale, in cui troverete una NDE di fantasia, ispirata dalle tante che mi hanno toccato il cuore. Una storia dedicata a chi non ha mai smesso di sognare l’amore, a chi ne è rimasto deluso, a chi per amore ha sofferto, a chi pensa di non crederci più. Perché “ Il filo che ci unisce” è un romanzo che parla sì d’amore, ma soprattutto apre il cuore alla speranza.
ELISABETTA BARBARA DE SANCTIS vive in provincia di Pescara e studia Psicologia. Nella scrittura le piace sperimentare fra vari generi e raccontare principalmente le infinite sfumature del mondo femminile, anche attraverso la poesia. È sposata, ha una gatta che adora viziare, ama i libri, è disordinata, si annoia facilmente e vive sempre divisa tra la realtà e un mondo di fantasia che pullula di storie e personaggi da raccontare.
Oltre al romance “ Il filo che ci unisce” (Ed. Youfeel Rizzoli), ha pubblicato anche da indipendente il romanzo di narrativa “ Senza più nome”, due raccolte di poesie e alcuni racconti. È socia di EWWA - European Writing Women Association.
Di Carla (del 18/04/2017 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 1964 volte)
Grande ricostruzione storica del maestro
Quella della grande rapina al treno del 1855 è una delle storie vere in cui la realtà supera la fantasia. il modo ingegnoso con cui la rapina è stata preparata, il suo sviluppo pieno di colpi di scena e il finale a sorpresa sembrano frutto della fantasia di qualcuno, e invece sono storia.
Crichton ha scritto questo libro a metà strada tra resoconto e romanzo, mescolando fatti desunti dalle sue ricerche con scene romanzate da lui create sulla base di tali fatti. Non c’è da stupirsi che ne sia stato tratto un film. Sembra concepito e scritto per il cinema!
Il lettore ha l’opportunità di calarsi nella Londra vittoriana e conoscerne usi e costumi, soprattutto della criminalità, a partire dal pittoresco gergo. Non si può non ridere in alcuni passaggi e si deve tifare per il ladro gentiluomo e i suoi compari. La lettura è avvincente per tutta la sua lunghezza, ma è il finale a essere davvero fantastico.
Oggi ho il piacere di ospitare sul mio blog l’autore di fantascienza Michele Amitrani, che in questo articolo ci parla di uno dei temi tecnologici che fa spesso la propria comparsa nei romanzi di questo genere e che forse un giorno potrebbe diventare realtà: l’ascensore spaziale.
Guardate in alto. No. MOLTO più in alto.
Avete di fronte l’oggetto più imponente mai costruito dal genere umano.
Si tratta sostanzialmente di un cavo, un cavo molto lungo, più lungo della circonferenza della Terra, ma anche molto sottile, appena qualche centimetro di spessore, e composto interamente da nanotubi di carbonio.
Ci sono delle vetture che lo percorrono in alto e in basso, e ognuna di queste trasporta su base giornaliera persone e materiali oltre l’orbita terrestre.
I razzi non sono più necessari per raggiungere le stelle, così come non lo sono costosi carburanti. La probabilità di incidenti è quasi azzerata. L’impatto sull’ambiente è nullo. E la buona notizia è che anche tu puoi permetterti di salire a bordo, perché il costo di un biglietto è quello che pagheresti per un viaggio su un aereo.
Ho appena descritto il Santo Graal di ogni scrittore di fantascienza hard che si rispetti, un oggetto teorizzato per la prima volta nel 1895 dal fisico e scienziato russo Konstantin Ciolkovskij (che nel suo saggio “ Sogni sulla Terra e sul cielo” si ispirò alla Torre Eiffel per ipotizzare un’analoga struttura) e impresso a fuoco nell’immaginario collettivo nel 1979 dallo scrittore Sir Arthur Clarke nel suo insuperato best-seller “ Le fontane del Paradiso”.
Un’idea presa in prestito dalla fantascienza, dunque, ma vi sorprenderebbe scoprire la semplicità del principio alla base di un ascensore spaziale.
Pensateci. Se io attaccassi l’estremità di un filo su una palla da tennis e l’altra estremità alla mia testa e cominciassi a girare su me stesso, il filo rimarrebbe teso e la palla continuerebbe a seguire il mio movimento rotatorio. La Terra ruota a una velocità molto maggiore di quanto io potrò mai fare.
Se seguissi questo esempio e attaccassi un filo incredibilmente resistente sulla superficie terrestre all’altezza dell’equatore e l’altra estremità a una massa abbastanza grande, come ad esempio un piccolo asteroide oltre l’orbita geostazionaria del pianeta per tenere il filo teso, otterrei niente di meno che un collegamento stabile tra la Terra e lo spazio.
Una volta costruito il cavo che collega le due estremità, posso agganciarvi vetture capaci di viaggiare su e giù, in grado di trasportare cargo in orbita senza l’uso di costosi razzi.
A questo punto molti di voi si staranno facendo la seguente domanda: se l’ascensore spaziale è un’idea così appetibile, perché continuiamo a usare razzi e a spendere milioni di dollari per un lift-off?
Le ragioni sono diverse. Una delle più pressanti è che, sebbene abbiamo a disposizione i mattoni teoricamente in grado di costruire l’ascensore spaziale (sappiamo come creare nanotubi di carbonio), la nostra capacità di metterli assieme è molto, ma MOLTO limitata (non abbiamo idea di come creare un cavo di nanotubi che sia lungo anche solo quanto il nostro braccio. E noi avremmo bisogno di un cavo lungo parecchie migliaia di chilometri per realizzare un ascensore spaziale!).
Per quanto suoni assurdo, comunque, al giorno d’oggi sempre più persone trattano questa idea come un’alternativa capace di abbassare i costi dei viaggi spaziali.
E non prendete quello che dico io per oro colato.
Michio Kaku ( ne parla in questo video), uno dei fisici teorici e futuristi più famosi del pianeta, è uno dei più grandi sostenitori dell’idea dell’ascensore spaziale.
E che cosa dire di Neil deGrasse Tyson (ne parla in questo video), il famosissimo astrofisico e divulgatore scientifico direttore dell'Hayden Planetarium del Rose Center for Earth and Space di New York che si è visto addirittura protagonista di un documentario che sponsorizza questo titanico mezzo di trasporto?
Ci sono centinaia di esperti pronti a puntare tutto sull’idea dell’ascensore spaziale, e molti di loro hanno un profilo su Wikipedia lungo quanto l’Enciclopedia Britannica.
Per quanto riguarda il sottoscritto, mi ritengo semplicemente una persona che osserva con curiosità i possibili sviluppi dell’idea, anche se riconosco i suoi limiti.
A modo mio, mi sono cimentato in un esercizio di prognostica che ha cercato di superare quegli stessi limiti, e l’ho fatto scrivendo e pubblicando il romanzo di fantascienza “ Onniologo”, il primo di una serie di quattro libri che cercano di rispondere alla domanda: “L’umanità riuscirà mai a diventare una civiltà spaziale?”
Per compensare i limiti insiti nell’idea dell’ascensore spaziale ho dovuto forzare alcune componenti, ma soprattutto ho dovuto creare un personaggio alquanto eterodosso, ossessionato dall’idea di rendere l’umanità una civiltà stellare, qualcuno insomma incapace di accettare un ‘no’ come risposta e abbastanza sognatore da credere che l’impossibile sia soltanto una possibilità che non è stata scoperta da nessuno.
Oggigiorno l’idea dell’ascensore spaziale rimane confinata nei libri di fantascienza, su alcune riviste scientifiche di avanguardia e in blog post come quello che state leggendo.
Ma ci sono delle verità innegabili che rendono il concetto incredibilmente affascinante.
Abbiamo la tecnologia. Abbiamo le menti. Mancano la volontà politica e gli investimenti.
Sir Arthur Clarke stesso disse che potremo costruire un ascensore spaziale cinquanta anni dopo che tutti quanti avranno smesso di ridere a un’idea apparentemente così assurda.
Ebbene, diverse persone hanno smesso di ridere da un bel pezzo, e non vedono davvero l’ora di rendere la fantascienza il vostro prossimo viaggio.
E tu? Che cosa pensi dell’idea dell’ascensore spaziale? Destinata a rimanere fantascienza o una possibilità in grado di far progredire l’umanità in una civiltà spaziale?
In occasione dell’uscita del quarto e ultimo volume della serie dell’Onniologo, “Dodekatheon” (di cui è riportata la copertina nella figura sopra), dal 17 al 20 aprile 2017 tutti i libri della serie saranno in offerta su Amazon a 99 centesimi.
MICHELE AMITRANI è un autore indipendente nato e cresciuto a Roma. Dopo aver vissuto in due continenti e viaggiato in diverse dozzine di paesi, oggi vive a Vancouver, nella bellissima Columbia Britannica. Michele pubblica indipendentemente dal 2011.
Da autore indipendente duro e puro, scrive, corregge, traduce, pubblicizza i suoi lavori e pianifica le copertine dei suoi libri comportandosi a tutti gli effetti come una vera e propria casa editrice
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