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 Lago di Ledro... di Carla
 

“Mi chiedo cosa si provi a possedere un corpo.”
Ophir. Codice vivente

 

Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carla (del 17/01/2019 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 1566 volte)


 Grandi premesse, ma trama ricca di difetti messi in luce dal finale

Ho amato questo libro fino a prima dell’ultimo capitolo, poi tutto è crollato. Sono stata catturata dall’ambientazione di Londra poco prima della Prima Guerra Mondiale, durante e dopo di essa. La ricostruzione storica è così accurata che riporta in vita quel periodo nella mente del lettore.
Ho trovato particolarmente interessate il modo in cui viene rappresentata la mentalità delle persone, soprattutto il modo in cui le donne tendevano a sentirsi insicure, inferiori, per il semplice fatto di essere donne, aggravato nel caso di una delle due protagoniste (Grace) dalla classe sociale.
Nonostante il personaggio di Beatrice sia entrata a far parte delle suffragette, manca della sicurezza di sé che ci si attende da una “rivoluzionaria”. Si sente continuamente fuori posto, attanagliata dalla paura che la spinge a desiderare di scappare per tornare alla tranquillità della sua tediosa vita da ricca, ma allo stesso tempo non scappa, per timore di quella stessa tranquillità, che la fa sentire inutile. Ciò che la muove non è idealismo, ma la ricerca dell’emozione che manca alla sua quotidianità. È molto lontana della donna forte che costituisce la tipica eroina dei romanzi e ciò la rende per certi versi realistica.
Ma ciò che mi ha incollato alle pagine del libro è il modo imprevisto con cui i personaggi si trovano a interagire nella storia. La curiosità di scoprire cosa sarebbe accaduto dopo mi spingeva a leggere un capitolo dopo l’altro.
E durante tale lettura non erano poche le cose che mi infastidivano, ma che mettevo da parte pregustando la scoperta dell’evento successivo.
Tra queste c’è il personaggio di Grace, così remissivo che ho avuto difficoltà a immaginarla come un’adulta. Mi pareva sempre di vedere una bambina timorosa, debole.
Altro elemento di fastidio sono le numerose coincidenze. Va bene che ci sia una coincidenza in una storia. D’altronde è finzione. Ma, quando iniziano a essere due, diventano poco credibili.
Discorso analogo per gli eventi tragici, legati a elementi di pura sfortuna, che sanno tanto di forzatura per portare la storia verso una certa direzione. Il che andrebbe anche bene, se il risultato fosse soddisfacente.
A ciò si aggiunge un altro elemento forzato: i personaggi prendono delle decisioni importanti che avranno conseguenze sulla loro vita in un attimo per effetto del capriccio del momento o di un equivoco che nella realtà verrebbe facilmente chiarito. Ciò le rende del tutto irrealistiche.
Anche su questo ci si potrebbe passare sopra, se la storia si concludesse con un finale che dà un senso a tutto e soddisfa il lettore.
Ma così non è.
Le coincidenze che emergono agli occhi del lettore lentamente lungo tutto il libro vengono rivelate a Beatrice in un attimo, nell’ultimissima scena. Lo stesso fatto che lei arrivi a comprendere tutto da pochi elementi è in contrasto con la totale mancanza di intuito mostrata durante il romanzo, quella che l’ha resa vittima di enormi incomprensioni. A dirla tutta, non credo che neppure una persona tanto perspicace avrebbe potuto giungere alle stesse conclusioni in un secondo da sola senza neppure fare una domanda.
Quell’intera scena è a dir poco improbabile e ha fatto crollare quella sospensione di incredulità cui fino a quel momento mi ero aggrappata pur di dare un giudizio positivo al libro, alla cui lettura ogni sera tornavo con trepidazione.
Il colpo di grazia, poi, è stato il fatto che il libro sia finito lì, senza che venisse mostrato nulla delle conseguenze di quella rivelazione, quasi fosse un cliffhanger, che però non è stato seguito da un altro capitolo né da un seguito del romanzo. Bastava davvero poco per trasformarlo in un finale aperto, in grado di lasciare al lettore almeno la scelta di immaginare da sé cosa sarebbe avvenuto dopo. E invece non è stato fatto.
In un istante, di fronte a quel finale improvviso e insulso, tutto si è frantumato e i difetti del libro mi sono diventati chiari. Il peggiore di tutti è la mancanza di una vera crescita interiore dei personaggi, che rimangono cristallizzati nei loro difetti, senza dare alcun reale senso alla propria esistenza all’interno della storia.
Sì, perché alla fine ti ritrovi a domandarti: che storia è questa? Che cosa vuole davvero raccontare?
I personaggi sembrano burattini utilizzati soltanto per mostrare un periodo storico, senza che svolgano il loro ruolo principale: essere il motivo per cui si racconta una storia.

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Questo libro è in lingua inglese!

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Di Carla (del 21/01/2019 @ 09:30:00, in Scrittura & pubblicazione, linkato 1457 volte)
I protagonisti della prima parte di “Saranythia” (seguito del romanzo “Amantarra” di Richard J. Galloway) tornano in questa seconda parte che ci guida nel cuore della storia. Li avevamo lasciati mentre si infilavano, loro malgrado, nel bel mezzo di una battaglia tra i demoni e l’armata dei Varton, adesso li ritroviamo nelle mani di questi ultimi, mentre iniziano a scoprire il legame tra il pianeta dove il portale li ha condotti e la sorella di Amantarra, vale a dire Saranythia. Nel contempo inizia a emergere la figura del “cattivo” di questa storia, che si cela dietro lo strano nome di Uzpanax.
L’autore come sempre mescola elementi di fantascienza e un eccellente worldbuilding con l’ironia e il mistero e, sebbene questa parte sia caratterizzata da meno azione della prima, non manca di intrigare il lettore, che ben presto si ritrova all’ultima pagina.
Ho trovato molto interessante anche la parte ambientata nella foresta dei Ja’liem e continuo a domandarmi come questo filone del romanzo si ricollegherà esattamente a tutto il resto.
Non mi resta che attendere la prossima puntata. Nel frattempo, ho chiesto a Richard di offrire ai lettori del mio blog un approfondimento su questo nuovo libro, e lui ha deciso di lasciare che uno dei suoi personaggi, il comandante Vartii, parlasse di se stesso.


Il comandante, a parole sue
“Non si tratta di vincere o perdere, si tratta di rimuovere l’ostacolo e passare al prossimo obiettivo. Quale sia l’ostacolo, chiunque sia, è irrilevante. Lo stesso vale per tutto ciò che è necessario fare per rimuovere l’ostacolo. Se richiede una morte, per quanto mi possa dispiacere, la morte sarà la soluzione che applicherò. A proposito, io sono il comandante Vartii. Comando la guarnigione qui a Setergard, un ex centro religioso alle porte della Valle di Olrad. Ah, vi starete chiedendo quali siano le possibili lezioni che la vita mi ha insegnato per rendermi così freddo. Capirete che non considero la mia condizione un problema, altri potrebbero considerarla in questo modo, ma nella mia posizione essa è un vantaggio. La mia autorità qui a Setergard è assoluta. Mi è stata concessa dall’ordine Saratariano in nome del nostro dio Saranythia. Sono stato scelto per il ruolo grazie alle qualità che ho appena descritto. Mi piace credere di essere onesto ma fermo. Sicuramente non ho problemi di disciplina, cosa che considero come una conferma del mio approccio al comando. Un comando che ho tenuto per oltre ottant’anni, molto più a lungo di qualsiasi altro comandante prima di me, e potrei aggiungere, con maggiore successo. Di conseguenza, i cittadini di Olrad chiamano i miei guerrieri i Varton. Ma sto divagando.
 
Le lezioni della vita. Be’, suppongo che il mio viaggio verso la posizione di comandante sia iniziato presto. Dovevo avere circa otto anni quando mi resi conto che la vita non è giusta, e che l’unica persona che avesse cura dei miei interessi ero io. Come potete vedere, sono forte ma fisicamente piuttosto piccolo e leggero, non proprio materiale da guerriero. Quando ero bambino, la mia statura era il principale svantaggio, soprattutto in considerazione dei giochi difficili che facevamo. È intorno a quell’età che impariamo a impedire agli altri di leggere i nostri pensieri. Non puoi vincere nessun gioco, se tutti i tuoi avversari sanno qual è la tua prossima mossa. Naturalmente a otto anni i bambini più grandi possono facilmente aggirare i tentativi di bloccare i pensieri. Le cose migliorano col tempo, ma in queste materie la pratica non sempre rende perfetti. Ora so a cosa state pensando, alla classica lezione di vita dei ragazzi più grandi che mi prendevano in giro perché potevano, e ciò accadeva, ma ce n’erano solo cinque, e non necessariamente sceglievano me, erano piuttosto liberali nelle loro attenzioni. No, l’evento che mi mise sulla via del comando ha a che fare con un uccellino.
 
Nella città di Olrad, dove sono cresciuto, la vita era basata sul culto di Saranythia, e la parola dei frati rossi dell’ordine Saratariano era legge. Ora, per farla breve, mio padre aveva promesso di comprarmi un uccellino in gabbia al mercato e io ero entrato nella casa di culto per ringraziare Saranythia. Mentre ero lì, sentii due frati parlare. Menzionarono il nome Amantarra e così io pensai che sarebbe stato un buon nome per l’uccellino che mi era stato promesso. Mentre me ne andavo, uno dei frati mi chiese per cosa stessi rendendo grazie, così glielo dissi e menzionai il nome che avevo scelto. Ora, mi era già capitato di vedere la rabbia prima di allora, ma in quel caso fu diverso. La sua voce era controllata, e fisicamente non mi toccò, ma i suoi pensieri mi colpirono e mi fecero finire a terra. Mi disse che Amantarra era un nome sacro noto solo all’ordine dei Saratariani e che avrei dovuto dimenticare di averlo sentito. Naturalmente mio padre si rifiutò di comprarmi l’uccellino come punizione per aver fatto arrabbiare il frate, ma non fu quella decisione ingiusta ciò che mi cambiò. I pensieri potenti con cui il frate mi aveva assalito mi fecero istintivamente sollevare le difese mentali che normalmente impieghiamo decenni a imparare. E non è tutto: colpii il frate con la mente nel tentativo di fermare l’assalto che minacciava di sopraffarmi. A quell’età il mio attacco avrebbe dovuto essere inefficace contro un frate allenato, ma non lo fu. Funzionò e riuscii a deviare la sua rabbia su mio padre. Il risultato di ciò fu niente uccellino.
 
Mi ci vollero anni per capire come avessi fatto. Tutti i membri dell’ordine Saratariano, come i guerrieri che comando, portano una sfera blu nell’addome. La sfera ci collega al potere di Saranythia e conferma il nostro impegno nei suoi confronti. Mentre sollevavo le mie difese, percepivo il potere della sfera del frate e attraverso di essa sentivo il frate. Istintivamente, ed era puro istinto, quello che stavo facendo era usare il collegamento e il potere della sfera per deviare l’attenzione del frate su mio padre. È stata la scoperta di quell’abilità che mi ha cambiato, perché dopo mi sono reso conto che potevo influenzare chiunque. Di conseguenza, non ho mai più perso una partita, né un combattimento, e i tre bulli sopravvissuti alla mia vendetta hanno imparato ad evitare sia me che la paura che potevo iniettare nei loro pensieri. Tuttora rimpiango i due morti, dopo tutto erano solo un paio di anni più grandi di me, ancora bambini, ma suppongo che alcune persone non riescano a sopportare che vengano loro mostrati quelli che sono i loro peggiori incubi.”
 
 
 
Cresciuto tra l’industria pesante del nord-est dell’Inghilterra con Star Trek, Doctor Who e i romanzi fantasy, RICHARD J. GALLOWAY si è ribellato al destino segnato dalle scuole frequentate, secondo cui il lavoro industriale sarebbe stata la sua vocazione. Dopo aver esaurito l’unica opzione apparente, il suo insegnante era disperato. “Visto che non vuoi lavorare nelle acciaierie, dove vuoi lavorare?” La sua risposta era sempre: “Non lo so.” Il settore in cui sarebbe finito non si concretizzò che dieci anni dopo. Nessuna meraviglia che il suo insegnante si preoccupasse. Dalla scuola, passando attraverso l’ufficio di disegno e l’architettura, alla fine si è trovato a lavorare con i grandi sistemi informatici.
Carriera a parte, il filo che legava tutto insieme era la fantasia. Non ha mai perso la sua fascinazione per le immagini che un buona storia possono evocare. Dopo tutto, gli avevano mostrato dei mondi al di là di questo, e le possibilità al di là delle acciaierie. E continuano a farlo.
Richard vive ancora nel nord-est dell’Inghilterra con la moglie, la famiglia, e un grosso gatto chiamato Beano. L’industria pesante si è ridotta, ma il mondo della fantasia di Richard è cresciuto. Spesso si chiede quale consiglio avrebbe ricevuto, se il suo insegnante avesse letto un po’ di fantascienza.
 
 
Il primo romanzo di Richard “Amantarra” è stato pubblicato nel 2012 (in Italia nel 2013), seguito nel 2017 e nel 2018 (1 gennaio 2019 in Italia) dalle prime due parti del sequel “Saranythia”, “Le porte di Setergard” e “I Varton”.
Tutti i suoi libri sono disponibili su Amazon e sono gratuiti per gli abbonati a Kindle Unlimited.
 
Visitate il sito di Richard all’indirizzo: www.richardjgalloway.co.uk
E seguitelo su Facebook e Twitter.
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Di Carla (del 14/02/2019 @ 09:30:00, in Podcast, linkato 1879 volte)
Dopo quasi due anni dalla mia precedente intervista, torno sul podcast Credi Crea di Michele Amitrani, stavolta per parlare del mestiere dell’autoeditore.
 
il mestiere dell'autoeditore
 
In una chiacchierata di una ventina di minuti ho provato a riassumere gli aspetti fondamentali del lavoro del self-publisher, concentrandomi su quelli che sono gli attrezzi, in senso lato, di questo mestiere, che richiede pazienza, disciplina e una buona dose di impegno per creare dei prodotti editoriali di qualità.
 
Preferisco non anticipare altro qui nel blog e rimandarvi all’ascolto del podcast.
 
Potete ascoltare il podcast sul sito Credi Nella Tua Storia, dove potete leggere anche l’introduzione di Michele, su YouTube, su Podbean o su iTunes.
Oppure dal video qui sotto.

Buon ascolto!
 
 
Ringrazio Michele per avermi di nuovo dato l’opportunità di rivolgermi ai suoi ascoltatori!
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Di Carla (del 18/02/2019 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 1850 volte)

 Ottima suspense, anche se non mantiene fino alla fine la propria originalità
 
Questo thriller mi è senza dubbio piaciuto. Ha tutto ciò che serve per essere un buon libro: un tema di base non ancora abusato, un buon colpo di scena verso la fine con un precipitare degli eventi che porta alla risoluzione e un finale aperto azzeccato.
Quello della perdita della memoria durante il sonno profondo, infatti, è un tema non semplicissimo da utilizzare in un romanzo, soprattutto se è tutto narrato dal punto di vista del personaggio che soffre di questo particolare tipo di amnesia. Credo che l’autore sia riuscito bene nell’immedesimarsi nella mente di Christine e nel trasmettere questa immedesimazione al lettore.
È anche evidente che ha fatto delle ricerche.
Alcuni passaggi mi hanno ricordato un documentario che vidi diversi anni fa su un uomo che soffriva di un grave disturbo alla memoria a breve termine: questa si resettava ogni sette secondi, mentre ricordava bene i tempi precedenti all’insorgere della malattia. E così lui viveva in un stato di confusione, con la continua sensazione di essersi appena svegliato dal coma, e il tutto avveniva ogni sette secondi. Un vero inferno, testimoniato dai suoi inutili tentativi di tenere un diario in cui continuava a scrivere, in un crescendo di frustrazione, che si era appena svegliato e che ciò che era scritto nelle pagine precedenti non era opera sua.
Qualcosa del genere compare anche in questo romanzo in relazione alle condizioni di Christine all’inizio della sua infermità (forse l’autore ha visto lo stesso documentario?), poi evolute in una forma di amnesia più “maneggevole”, che quindi permette di crearci intorno una storia dal punto di vista della persona che ne è colpita.
Anche in questo caso c’è un diario, che poi di fatto costituisce la maggior parte del testo del libro.
L’idea di usare un diario è azzeccata, sebbene ci costringa a sospendere di tanto in tanto la nostra incredulità per accettare il fatto che la protagonista faccia in tempo ogni volta a leggerlo tutto, vista la sua lunghezza (o anche che nel leggere solo alcune parti becchi sempre quelle che poi le torneranno utili in quel preciso giorno), ma d’altronde la finzione ci ha abituato a ben altri artifici.
Il colpo di scena verso la fine era ovviamente atteso, perché era chiaro che nel mare di insicurezza in cui l’autore ci aveva fatto navigare per tante pagine doveva celarsi una qualche verità che non era stata ben sviluppata (di proposito). Piuttosto, il modo in cui viene evitato il più possibile un certo argomento mi ha subito portato a sospettare che la soluzione si trovasse lì. Io rispetto alla protagonista, infatti, sapevo di leggere un thriller e che quindi doveva esserci un cattivo. E in un contesto del genere era ovvio che il cattivo fosse una certa persona, ma il modo in cui tale persona era collocata nella storia difficilmente poteva essere desunto dagli elementi messi a disposizione del lettore. Ed è per questo che per me è stato nonostante tutto un colpo di scena.
C’è però una critica che mi sento di muovere a questo proposito. Non mi è chiara fino in fondo la figura del cattivo. Il modo in cui non è stato adeguatamente sviluppato, proprio per evitare di portare lì i dubbi del lettore, lo rende l’ennesimo cliché. Forse questa storia sarebbe stata davvero originale se non fosse stato lui il cattivo.
Ed è questo l’unico elemento che stona in un libro decisamente godibile, alle cui pagine tornavo ogni sera con curiosità.
Forse anche la risoluzione della storia è un tantino affrettata, e un po’ fortunosa per la protagonista, ma nonostante questi difetti ho deciso comunque di dare a questo romanzo cinque stelle, merito soprattutto del finale aperto, che è molto più onesto e, soprattutto, realistico di qualsiasi lieto fine.
 
Da questo libro è stato tratto il film omonimo con Nicole Kidman, Colin Firth e Mark Strong.
 
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aNobii:
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Goodreads: http://www.goodreads.com/anakina
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Di Carla (del 21/02/2019 @ 09:30:00, in Podcast, linkato 1888 volte)
Ecco la seconda delle mie interviste di quest’anno sul podcast Credi Crea di Michele Amitrani. Stavolta mi soffermo a parlare di come usare le inserzione pubblicitarie su Facebook per promuovere i libri.
 
Facebook Ads per autori
 
Da maggio scorso sto sperimentando una nuova strategia di inserzioni pubblicitarie su Facebook per promuovere i libri del ciclo dell’Aurora, spendendo appena un dollaro al giorno. E siccome già da diversi mesi sto iniziando ad ottenere dei buoni risultati, Michele mi ha chiesto di parlarne nel suo podcast dedicato all’autoeditoria.
Durante l’episodio 83 di Credi Crea, registrato alcune settimane fa, cerco di spiegare nel dettaglio come impostare questo tipo di campagna pubblicitaria e come gestirla nel tempo.
 
Potete ascoltare questa puntata sul sito Credi Nella Tua Storia, dove potete leggere anche l’introduzione di Michele, su YouTube, su Podbean o su iTunes.
Oppure dal video qui sotto.
 
Buon ascolto!
 
 
Di nuovo grazie a Michele per avermi ospitato sul suo podcast!
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Di Carla (del 25/02/2019 @ 09:30:00, in Rassegna stampa, linkato 1583 volte)

Ecco una lista di articoli, citazioni e interviste relativi a “Sirius. In caduta libera”.
L’elenco verrà aggiornato man mano che nuovi articoli verranno pubblicati.
 
 
“Sirius. In caduta libera”. Ecco il nuovo romanzo di Rita Monticelli, su Sardegna Reporter.it, 29 novembre 2018
 
Intrigo sulla Stazione spaziale, trattenete il respiro!, Tom’s Hardware, 13 gennaio 2019
 
Facebook Ads per autori: intervista a Carla Monticelli sull’episodio 83 del podcast Credi Crea
 
Intervista a Rita Carla Francesca Monticelli, sul blog di Nicola Marco Camedda
https://nmcbooks.com/blog/intervista-a-rita-carla-francesca-monticelli
 
 
Segnalazioni sui blog
Romanticamente Fantasy:
Libro Café:
 
 
 
 
 
Sirius. In caduta libera” è disponibile in formato ebook a partire da 3,49 euro su: Amazon, Giunti, Google Play, Kobo, Mondadori Store, laFeltrinelli, Apple e Smashwords.
Disponibile gratis per gli abbonati di 24Symbols e Playster.
Disponibile anche in formato cartaceo a 11,99 euro su Amazon e Giunti.
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Di Carla (del 28/02/2019 @ 09:30:00, in Podcast, linkato 2131 volte)
Ed eccoci alla terza intervista di quest’anno sul podcast Credi Crea di Michele Amitrani. In quest’ultima chiacchierata affrontiamo l’argomento dello sfruttamento da parte degli autoeditori dei diritti di traduzione.
 
Come tradurre un libro
 
Far tradurre il proprio libro in un’altra lingua, in particolare in inglese, può essere un modo per estendere il proprio bacino di lettori e i relativi guadagni, ma implica dei costi non indifferenti se si decide di farlo da autoeditori, vale a dire pagando di tasca propria il lavoro del traduttore, dell’editor e del proofreader. In questa intervista parlo di quali sono le possibilità e gli aspetti da tenere a mente, quando si decide di far tradurre il proprio libro, e racconto la mia esperienza personale sia riguardo alla pubblicazione indipendente di alcuni miei libri in inglese sia quella che ho avuto con AmazonCrossing.
 
Potete ascoltare questa puntata sul sito Credi Nella Tua Storia, dove potete leggere anche l’introduzione di Michele, su YouTube, su Podbean o su iTunes.
Oppure dal video qui sotto.
 
Buon ascolto!
 
 
Per l’ultima volta (per ora, almeno) ringrazio Michele. È stato bello partecipare a queste tre puntate del tuo podcast. Grazie di cuore!
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Di Carla (del 08/03/2019 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 1581 volte)

 Sontuosa conclusione (per ora?) del ciclo del Commonwealth
 
Ogni volta che leggo una nuova space opera di Hamilton penso che l’autore abbia raggiunto il massimo della propria espressione e che il libro successivo, soprattutto considerando che questo ciclo in tutto ne contiene sette, non potrà mai essere migliore di così.
Ogni volta mi sbaglio.
“Night Without Stars” è un romanzo meravigliosamente complesso. Costituisce la seconda parte della dilogia intitolata “Chronicles of the Fallers” (cronache dei Faller), eppure, avendo io letto il primo libro (“The Abyss Beyond Dreams”) più di un anno fa e ricordandone davvero poco, ritengo che si possa quasi leggere da solo (anche se lo sconsiglio), poiché ha perlopiù un arco narrativo proprio, all’interno del quale vengono rapidamente spiegati i collegamenti col volume precedente della serie e si accenna ciò che serve in relazione all’intero ciclo del Commonwealth.
Prima di iniziarne la lettura, mi sono chiesta cosa Hamilton avrebbe potuto inventarsi, visto che la storia si svolgeva di nuovo sul pianeta Bienvenido. Temevo il riproporsi dei temi già visti e, invece, non avevo proprio nulla di cui preoccuparmi.
La storia, dopo alcuni capitoli introduttivi (ma non per questo meno emozionanti), si sposta avanti di due secolo e mezzo, un lasso di tempo che determina notevoli mutamenti su Bienvenido, ora che è stato espulso dal Vuoto e può finalmente far uso della tecnologia, inclusa quella aerospaziale (a me tanto cara). E in questa rinnovata ambientazione prendono vita nuovi personaggi, intorno ai quali vengono create delle linee narrative parallele e nei quali viene spontaneo immedesimarsi, nonostante spesso si ritrovino l’uno contro l’altro. Ognuna di esse sa essere avvincente anche senza dover guardare al quadro generale e, a questo proposito, trovo il fatto di aver suddiviso l’opera in libri molto azzeccata.
Ci sono anche alcuni vecchi personaggi, che ho dovuto reimparare a conoscere a causa del tempo passato dalla lettura del libro precedente (e della trilogia del Vuoto), e che permettono di ricollegare con precisione i fili della trama generale e di condurre il lettore verso il suo articolato sviluppo.
E proprio a questa storia così articolata, che mi ha accompagnato per alcune settimane di (voluta) lettura lenta, ritornavo con interesse ogni sera, e poi la lasciavo senza rimpianto per dormire, certa che l’avrei ritrovata lì ad attendermi il giorno dopo.
Il ritmo all’inizio lento, per permettere al lettore di ambientarsi (e che meravigliosa ambientazione!), va incontro a un crescendo che nell’ultimo quarto di romanzo si trasforma in un susseguirsi di colpi di scena tendenti verso un finale quasi impossibile da prevedere.
Nel frattempo, Hamilton non si limita a farci vivere su Bienvenido, ma ci mostra altri mondi inimmaginabili (a parte da lui, ovviamente), altre specie aliene più o meno pacifiche, ci fa conoscere nuovi aspetti dei “cattivi”, la specie aliena dei Faller (che assorbono la propria preda e si sostituiscono a essa), e riesce persino a farcene piacere uno (o perlomeno ci è riuscito con me).
È difficile raccontare altro su questo romanzo senza rivelare troppo sulla trama. Posso solo dire che, se siete arrivati a considerare la sua lettura, segno che di certo conoscete e apprezzate già Hamilton almeno dal libro precedente, anche questa volta non rimarrete delusi.
 
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Di Carla (del 17/03/2019 @ 09:30:00, in Podcast, linkato 2072 volte)
Dopo un’assenza di un anno e mezzo torno finalmente sul podcast FantascientifiCast, ma questa volta nel ruolo di intervistatrice insieme a Omar Serafini.
In questa puntata della rubrica Caratteri Fantastici ospitiamo una giovane autrice italiana di fantascienza, nonché aspirante astronauta: Giulia Bassani.
 
 
Durante una lunga chiacchierata, Giulia ci ha parlato un po’ di sé, raccontandoci della sua passione per la fantascienza, per le scienze spaziali e per Marte, dei suoi studi in ingegneria aerospaziale a Torino, della sua esperienza a Kourou in Guyana Francese, dove lo scorso dicembre ha assistito di persona a un lancio dell’ESA, e persino di quello che è l’iter per diventare astronauta in Europa per un civile. E poi ci ha parlato del suo libro: “Ad Martem 12”, acquistabile su Amazon a questo link (è disponibile anche in inglese).
Si tratta di un romanzo di fantascienza hard ambientato in un prossimo futuro su Marte, che racconta la storia dei primi tre esseri umani nati sul pianeta rosso. Ne ho parlato più a lungo nella mia recensione del libro, che trovate qui.
 
Ma non solo. All’interno della puntata Giulia ci ha anche deliziato con la lettura di alcuni passaggi del suo libro.
 
Be’, se sono riuscita a incuriosirvi, non vi resta altro che andare ad ascoltare il podcast sul sito di FantascientifiCast (anche facendo clic sull’immagine sopra), dove potete leggere anche la presentazione.
  
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Di Carla (del 24/03/2019 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 1708 volte)

 Storia dall’esito prevedibile, salvata da una trovata alla fine
 
Ci tengo subito a dire che la trovata finale non ha nulla a che vedere con la trama. Si tratta di un’idea che mescola finzione e realtà, cosa che apprezzo sempre molto nei romanzi. In questo caso è stata in grado di aumentare il mio giudizio di una stellina.
Il romanzo, per i miei gusti, non ne vale più di tre.
Ma andiamo per ordine.
Il libro si svolge tra due linee temporali. Quella presente vede la giovane protagonista Clémence, che si trova a dover accudire l’ultraottantenne Alastair dopo che quest’ultimo a causa di una caduta ha perso la memoria. Quella al passato è il libro che i due leggono insieme e che racconta alcuni eventi della vita dell’uomo quando era giovane, culminanti nella morte dell’amore della sua vita.
La parte al passato è senza dubbio quella migliore di tutto il romanzo. Qui i personaggi prendono vita, anche grazie all’evidente maggiore dimestichezza che l’autore ha nel mostrarli attraverso il punto di vista di un uomo. La storia si dipana tra la Francia, Capri e poi la Scozia, e ogni luogo emerge dalle pagine con tutti i suoi colori, coinvolgendo il lettore e dandogli l’impressione di trovarsi lì.
Di contro, la parte al presente sembra scritta da un autore alle prime armi. Il personaggio di Clémence è bidimensionale. Il suo essere esageratamente ingenua e credulona appare irrealistico. I suoi ragionamenti sono a dir poco tirati per i capelli. Nessuna persona arriverebbe a certe conclusioni, su cui poi si basano le sue decisioni, evidentemente mosse dalla necessità di portare la trama in una certa direzione e non dalla logica. L’ambientazione, poi, e il ristretto numero di personaggi, invece di contribuire all’accrescere della suspense e del senso claustrofobico della narrazione, finiscono per mettere in evidenza la debolezza nella caratterizzazione degli stessi personaggi, che appaiono fin troppo banali.
In quanto al delitto al centro della storia, per quanto l’autore si sforzi per mandarci fuori strada, in maniera così spudoratamente evidente, questo ha ben poco di misterioso. Basta pensarci su per un attimo e ci si rende conto che solo una persona può essere l’assassino: l’unica che avrebbe ottenuto un vantaggio dalla morte di Sophie. Non ho mai avuto alcun dubbio sulla sua identità e ho trovato il fatto che i personaggi, soprattutto Alastair, non ci avessero neppure per un attimo pensato semplicemente impossibile da accettare.
Verso il finale vengono rilevati alcuni dettagli che non erano invece deducibili dal resto e solo per questo motivo devo dire di averlo letto quasi avidamente. La narrazione del precipitare degli eventi fino alla risoluzione, insieme alla trovata finale, salvano il libro, ma solo perché, appunto, si trovano alla fine.
Infine, ho trovato un po’ strano che si parlasse di un romanzo nel romanzo, quando, tenendo conto della lunghezza dei capitoli letti dai personaggi (che a loro detta erano tutto il libro), ne esce fuori al massimo una novelette. Sì, capisco le necessità di spazio, ma allora avrebbero fatto meglio a specificare che alcune parti erano state saltate (lette dai personaggi e non riportate, perché non importanti) o che si trattava semplicemente di un racconto lungo.
Nel complesso è comunque stata una lettura interessante, se non altro perché nel modo in cui il romanzo è stato strutturato presenta una certa originalità. Mi rendo inoltre conto che si tratta probabilmente di un’opera un po’ affrettata, che l’autore si è divertito a scrivere per sviluppare un’idea che gli era venuta, senza alcuna velleità di dare luogo a un prodotto di elevato livello letterario nell’ambito dei thriller. Ma, tutto sommato, il suo ruolo di divertire, nonostante i difetti, lo svolge egregiamente.
 
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