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 Trilogia del detective Eric Shaw... di Carla
 

“Quindi usavate queste capsule per andare a invadere altri pianeti.” Nave stellare Aurora

 

Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carla (del 15/05/2019 @ 09:30:00, in Come vivere su Marte, linkato 2610 volte)
Affinché possiamo vivere nella nostra colonia marziana (immagine sotto di NASA/Clouds AO/SEArch), dobbiamo essere in grado di respirare e quindi ci serve ossigeno.
Sfortunatamente nella sottile atmosfera di Marte ci sono solo tracce di questo fondamentale gas, perciò dobbiamo trovare il modo di produrlo nella quantità necessaria per nostra sopravvivenza.
 
Courtesy of NASA/Clouds AO/SEArch
 
L’atmosfera marziana è così rarefatta per via della massa del pianeta, che genera una forza di gravità di appena il 37% di quella terrestre, e per l’assenza di una magnetosfera, cioè un campo magnetico permanente, senza la quale esso è in balia dei venti solari, che in miliardi di anni hanno strappato quasi tutti i gas che lo avvolgevano, disperdendoli nello spazio, come dimostrato dalle ricerche svolte per mezzo della sonda orbitante MAVEN della NASA.
Sulla Terra la notevole concentrazione di ossigeno molecolare nell’atmosfera (quasi il 21%) è dovuta alla presenza della vita. Questo gas, infatti, è notevolmente reattivo, per cui è necessario che venga prodotto in continuazione. Tale produzione è iniziata circa 3,8 miliardi di anni fa nelle acque grazie ai cianobatteri (organismi unicellulari detti anche alghe azzurre) e successivamente anche grazie ad altre forme di vita autotrofe, vale a dire quelle in grado di utilizzare l’energia solare per produrre energia chimica e rilasciare come prodotto di scarto proprio l’ossigeno, tramite un processo chiamato fotosintesi clorofilliana.
Grazie a questi organismi, si produsse così tanto ossigeno nelle acque, che quello in più andò ad arricchire l’atmosfera, permettendo la conquista delle terre emerse da parte della vita aerobica (cioè che dipende dalla presenza di ossigeno).
 
Non sappiamo se su Marte sia mai esistita la vita, ma le peculiari caratteristiche di questo pianeta hanno fatto in modo che gran parte della sua atmosfera venisse spazzata via (e il processo è tuttora in corso), trasformandolo nel mondo freddo e arido che conosciamo. Quasi tutto l’ossigeno molecolare libero ha reagito con altre sostanze, in particolare col ferro, determinando il colore rossastro tipico del pianeta.
Un recente studio del Caltech (ottobre 2018) afferma, però, che un bacino sotterraneo o subglaciale (come quello scoperto da un team italiano nel luglio 2018) di acqua salata liquida potrebbe contenere notevoli concentrazioni di ossigeno disciolto, tali da sostenere forme di vita aerobiche. Quindi su Marte ci sarebbe ancora tanto ossigeno, ma non prontamente reperibile per le necessità di una colonia umana.
 
Ciò che rimane al giorno d’oggi dell’atmosfera marziana contiene per il 95% anidride carbonica, la cui molecola è costituita da un atomo di carbonio e due di ossigeno. In teoria, perciò, a partire da una molecola di anidride carbonica è possibile produrne una di ossigeno molecolare (che contiene due atomi).
 
Courtesy of NASA
 
Esiste già la tecnologia per estrarre ossigeno dall’anidride carbonica. Questa è stata ideata dalla NASA e realizzata tramite il cosiddetto MOXIE (Mars Oxygen In-situ Resources Utilisation Experiment, esperimento di utilizzo in situ su Marte di risorse per produrre ossigeno; l’immagine sopra, che è della NASA, è lo schema di una piccola versione di questo strumento). MOXIE usa la tecnologia della cella a combustibile a ceramica, che converte l’anidride carbonica in ossigeno e in monossido di carbonio (CO). Con questa reazione può produrre 15 litri di ossigeno molecolare all’ora, che possono supportare un essere umano sedentario.
Chiaramente, per poter produrre abbastanza ossigeno per un’intera colonia, serve un MOXIE molto più grande e un impianto nucleare che lo alimenti. Nel frattempo, però, una versione più piccola di questo strumento (quella della figura sopra) verrà inviata sul pianeta rosso insieme al prossimo rover della NASA (che partirà nel 2020; immagine sotto di NASA/JPL-Caltech), per essere testata.
 
Ma l’ossigeno non serve solo per respirare. Nella Terra non ci facciamo caso, poiché l’ossigeno è dappertutto nell’aria, ma la sua presenza è fondamentale per i processi di combustione.
A dire la verità, anche la respirazione cellulare è un lento processo di combustione, durante il quale delle molecole biologiche vengono demolite, permettendo il rilascio di energia che viene accumulata in una sostanza chimica chiamata ATP. Questa a sua volta viene utilizzata come sorgente di energia per svolgere le funzionalità del nostro organismo.
Analogamente, per far funzionare un veicolo con un propulsore a combustione (come un veicolo spaziale), è necessario che avvenga una reazione chimica (combustione) tra un combustibile e un comburente (agente ossidante). Quest’ultimo è in genere proprio l’ossigeno. Su Marte, però, l’ossigeno scarseggia, quindi è necessario produrlo anche per far funzionare il razzo con cui andare in orbita e magari tornare sulla Terra. Oppure può risultare pratico avere dei rover con un motore a combustione (per esempio, alimentati a metano e ossigeno, come quelli che utilizzati in “Deserto rosso”), piuttosto che dover dipendere solo dal funzionamento a batteria.
 
Courtesy of NASA/JPL-Caltech
 
L’ossigeno può anche essere prodotto dall’elettrolisi dell’acqua, che genera inoltre idrogeno, che a sua volta può essere usato come combustibile. Questa tecnologia, però, richiede l’uso di acqua, che come sappiamo è già difficile da reperire, e un certo dispendio energetico.
Infine, si potrebbe pensare di utilizzare degli organismi biologici (cianobatteri e alghe) per estrarre ossigeno dalla regolite marziana in strutture chiamate biocupole, che ospiterebbero dei veri e propri ecosistemi in miniatura (a questo tipo di ricerca si riferisce l’immagine in basso, che è della NASA).
 
L’ossigeno prodotto per la respirazione deve essere utilizzato in maniera adeguata per comporre l’aria all’interno dell’habitat. Il corpo umano infatti è ottimizzato per funzionare con una concentrazione di ossigeno al 21% a una pressione di circa 1 atmosfera, come si osserva sulla Terra. Se questa sale, superando il 23% (a 1 atm), l’ossigeno diventa tossico (come ho raccontato a proposito della Stazione Alfa in “Deserto rosso - Nemico invisibile”).
Sulla Terra il resto dell’atmosfera è costituita perlopiù da azoto (78%) e argon (0,93%), che sono gas inerti. E poi ci sono l’anidride carbonica, la cui concentrazione è intorno al 0,04%, e il vapore acqueo (molto variabile in base alle condizioni meteorologiche).
Nei veicoli pressurizzati usati per i viaggi spaziali sono state spesso ricreate delle condizioni di bassa pressione, che permettono di utilizzare come unico gas l’ossigeno puro. Quando la sua pressione parziale (che è un valore assoluto) è molto bassa, nonostante la sua concentrazione sia al 100%, questo non crea problemi di salute. Rappresenta però un problema di ordine pratico, poiché un’atmosfera ricca di ossigeno è un ambiente pericoloso: basta una scintilla per far partire un incendio che è poi difficile da domare (come nel tragico caso dell’Apollo 1).
Per questo motivo, per la nostra colonia marziana sarà consigliabile creare un’atmosfera interna dell’habitat con una pressione più vicina a quella terrestre. A questo scopo dovremo aggiungere a essa un gas inerte, come appunto l’azoto o l’argon. Questi dovranno essere estratti dai materiali presenti sulla superficie del pianeta per mezzo di procedure chimiche, poiché sono presenti in quantità troppo basse nell’atmosfera marziana.
 
Courtesy of NASA
 
Infine, l’attività respiratoria umana degli abitanti della nostra colonia, oltre a consumare ossigeno, produrrà anidride carbonica e vapore acqueo.
La prima deve essere in qualche modo intrappolata, prima che diventi tossica (sopra il 4% a 1 atm), e poi riciclata per produrre nuovo ossigeno. A questo scopo si possono utilizzare delle celle di rigenerazione al superossido di potassio, già utilizzate negli Space Shuttle, oppure dei setacci molecolari, costituiti da minerali naturali che presentano dei canali in cui l’anidride carbonica viene intrappolata. Questa può essere liberata tramite riscaldamento e poi riciclata, per esempio, con un MOXIE.
Per quanto riguarda il vapore acqueo, c’è da considerare che l’aria espirata dagli essere umani ne contiene circa il 5%, ciò significa che, se non viene in qualche modo recuperato, l’ambiente dell’habitat è destinato a diventare molto umido. Per evitare che ciò avvenga, basta utilizzare un comune materiale essiccante, che blocca l’acqua in eccesso, diminuendo l’umidità atmosferica dell’habitat, e permettendo che questa venga riciclata.
 
Adesso abbiamo quasi tutto quello che ci serve per vivere su Marte: energia, acqua e ossigeno. Ci manca soltanto qualcosa da mangiare. E proprio di come produrre cibo parlerò nel prossimo articolo.
 
 
 
Tutte le immagini sono della NASA. Fate clic su di esse per vederle nelle dimensioni originali.
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Di Carla (del 09/05/2019 @ 09:30:00, in Podcast, linkato 2042 volte)
Lo scorso 5 dicembre 2018 a Varese, presso l’aula magna dell’Università degli Studi dell’Insubria, ho tenuto la conferenza “Marte: quando ci andremo e cosa troveremo?”, organizzata da Paolo Musso, insieme a Roberto Orosei (INAF) ed Enrico Flamini (Università di Chieti ed ex Chief Scientist dell’ASI).
Vi ho già parlato dell’evento in un articolo di qualche mese fa, ma adesso, se volete, potete ascoltarlo tutto grazie a FantascientifiCast!
 
 
Il 30 aprile e il 7 maggio FantascientifiCast ha pubblicato l’evento in due puntate nell’ambito della serie dedicata alle conferenze di Scienza e Fantascienza 2018, tenutesi a Varese.
 
Le puntate possono essere ascoltate sul sito di FantascientifiCast (qui e qui) dove potete leggere anche la presentazione.
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Di Carla (del 25/04/2019 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 1935 volte)

 Splendida space opera che ti lascia a bocca aperta
 
Questo è il terzo libro di Reynolds che leggo e ancora una volta mi trovo di fronte a qualcosa di totalmente diverso. In “Century Rain” avevo trovato un approccio completamente originale al viaggio nel tempo e all’ucronia, senza che fosse nessuna delle due cose. In “Revelation Space” mi ero immersa in una space opera cupa e pessimistica. In “House of Suns” invece sono stata travolta dall’incontenibile fantasia dell’autore, che meraviglia il lettore e gli presenta un futuro di notevole ottimismo.
Nonostante le enormi differenze tra questi tre libri, a farmi riconoscere l’autore sono stati la sua prosa molto ricercata e ricca e, ovviamente, la presenza di numerosi elementi di fantascienza hard, nonostante si tratti di space opera. Infatti, che Reynolds sia uno scienziato è evidente nella scelta dei temi da esplorare attraverso la narrazione. Pur dovendo inserire nella storia tecnologie lontanissime da quelle presenti (e molto probabilmente mai raggiungibili), riesce comunque a mantenere una certa plausibilità scientifica su alcune dinamiche del suo svolgimento (per esempio, tramite l’uso di astronavi che non superano la velocità della luce), mescolando, con sapienza, fantasia e astrofisica e dando così al lettore l’opportunità di imparare qualcosa di nuovo, mentre nella sua mente si dipanano scenari che lasciano a bocca aperta.
Io stessa, mentre seguivo le avventure dei due protagonisti (i cloni Campion e Purslane), mi sono ritrovata a immaginare in maniera vivida i luoghi dello spazio mostrati attraverso i loro occhi, quasi come se li vedessi o fossi lì insieme a loro.
All’inizio le loro avventure procedevano senza che io avessi la più pallida idea di dove il libro volesse andare a parare. Inoltre, la scelta di usare la prima persona per entrambi i protagonisti e per una terza voce narrante (Abigail Gentian, la creatrice della linea del Gentian, di cui i cloni fanno parte) è abbastanza destabilizzante (all’inizio di ogni capitolo bisogna capire chi sta parlando) e credo che, insieme alla lunghezza del libro, potrebbe scoraggiare la lettura. E nel mio caso ci stava quasi riuscendo. Ma poi mi sono resa conto di aver fatto bene a continuare, poiché i vari filoni aperti hanno iniziato a collegarsi e con essi a realizzarsi i primi colpi di scena. La stessa scelta di usare sempre la prima persona ha assunto un significato ben definito, togliendomi il timore che fosse dovuta a una certa sciatteria da parte dell’autore. A un certo punto non mi importava più di cercare di capire la direzione della storia, ma preferivo farmi trascinare da essa, felice che ci fosse ancora tanto da narrare e che la fine fosse lontana. E, man mano che mi avvicinavo a essa, più aumentava la mia meraviglia e il mio divertimento.
Non posso né voglio dire altro sulla trama, poiché è talmente vasta e complessa che ogni mio tentativo di indicarne qualche punto saliente sarebbe insufficiente. Mi limito a dire che raramente mi è capitato di incontrare nello stesso romanzo tante idee e tutte così ben sviluppate. È un libro lungo non perché abbia un ritmo lento, bensì perché succede davvero tantissimo, abbastanza da soddisfare, almeno per un po’, la fame di nuove storie di chiunque ami leggere la fantascienza.
E infatti, una volta terminatane la lettura, è stata dura per me trovare un altro libro da leggere che potesse reggere il confronto.
 
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Questo libro è in lingua inglese!
 
Leggi tutte le mie recensioni e vedi la mia libreria su:
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http://www.anobii.com/anakina/books
Goodreads: http://www.goodreads.com/anakina
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Di Carla (del 16/04/2019 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2082 volte)

 Technothriller fantascientifico, ma soprattutto psicologico
 
In genere, quando leggo un libro da cui è stato tratto un film, mi piace fare dei confronti, per comprendere le scelte operate per rendere possibile questo tipo di trasposizione, e dare ai personaggi i volti degli attori, mentre vivo la lettura.
In questo caso non ho potuto farlo, poiché non ricordavo assolutamente nulla del film. Pensavo che andando avanti nella lettura la mia memoria si sarebbe risvegliata, e invece no, nulla. Non so se sia dovuto al fatto che il film non mi avesse favorevolmente impressionato (eppure mi pare che mi fosse piaciuto) o alle eccessive differenze tra i due prodotti. Fatto sta, che mi sono ritrovata a leggere questo libro senza sapere nulla della storia e ho potuto quindi godermi tutti i colpi di scena.
Questo romanzo rientra in uno schema tipico di molte opere di successo di Crichton. Al centro c’è un argomento scientifico/tecnologico, in questo caso le condizioni estreme di una base sottomarina cui si aggiunge la “scoperta” fantascientifica (non specifico per evitare spoiler), su cui l’autore ci fornisce numerose informazioni durante tutto il libro. Intorno a esso crea una storia con un protagonista, lo psicologo Norman, e attraverso il suo punto di vista la racconta. Poi aggiunge tutta un’altra serie di personaggi, ognuno con un suo ruolo e delle sue caratteristiche. In questo contesto, l’elemento scientifico/tecnologico appare perfettamente sotto controllo, ma in realtà questo è solo ciò di cui sono falsamente convinti i personaggi. A un certo punto però qualcosa va storto, a ennesima dimostrazione che fare un uso non del tutto considerato della scienza e della tecnologia, spinti dalla curiosità e dal desiderio di scoperta, è sempre un grosso errore. E da quel momento in poi i personaggi iniziano a morire, tranne pochi, che alla fine si salvano.
A tutto ciò, in questo romanzo, si aggiunge il forte elemento psicologico. Sì, perché le risposte che i personaggi stanno cercando non sono nell’oggetto della loro ricerca, ma dentro di loro. E “Sfera” non è altro che il viaggio psicologico di Norman, che da uomo normale in una situazione eccezionale tira fuori il peggio e il meglio di sé.
Il tutto si svolge tenendo il lettore attaccato alle pagine e costringendolo a continuare a leggere un libro che ha una struttura tutt’altro che tradizionale (non ci sono capitoli numerati, ma una serie di scene senza soluzione di continuità, di tanto in tanto intervallate da un titolo), fino ad arrivare al finale, che, se ci pensiamo bene, è l’unico possibile per una storia del genere.
 
Sfera (Kindle e cartaceo) su Amazon.it.
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Di Guest blogger (del 11/04/2019 @ 09:30:00, in Scrittura & pubblicazione, linkato 1618 volte)

Oggi ospito ancora una volta, e con grande piacere, il collega e amico Francesco Zampa, autore di gialli e non solo. Francesco, come me, è un autoeditore e in questo articolo racconta la sua avventura nel mercato editoriale italiano ed estero, che nei prossimi giorni lo porterà anche al Buk Festival di Modena, dove metterà a disposizione del pubblico per la vendita, oltre che i suoi libri, anche tutti i miei thriller e alcuni dei romanzi di Giulia Beyman.
Ma di questo vi parlerò meglio alla fine dell’articolo.
 
 
Sono abituato a datare il mio debutto come autoeditore in coincidenza con la pubblicazione del mio primo libro, Doppio omicidio per il maresciallo Maggio, nel 2012. In realtà, in maniera analoga all’impresa individuale che nasce contemporaneamente all’idea che la sostiene e non alla struttura e alla produzione successive, è più esatto tornare al maggio 2010 quando, per sondare l’opinione dei lettori, fondai il blog …vi parla il maresciallo Maggio, una terrazza aperta e un laboratorio sulla lettura, evolutasi nel corso degli anni con recensioni di film e libri, accanto alle pagine fisse dei miei scritti. Il blog ospitò all’inizio tre racconti, successivamente pubblicati in una raccolta prequel. Uno fu selezionato per il Giallo Mondadori. Purtroppo, o per fortuna, il redattore operò una serie di correzioni che ne stravolsero il senso e decisi che, da lì in poi, avrei fatto da solo. È dello stesso anno la pubblicazione della graphic-novel Calciopoli ovvero l’elogio dell’inconsistenza, un saggio a fumetti naif sulle lacune, non solo giudiziarie, del famoso scandalo, pubblicata da un editore locale ma interamente curata da me.
 
Alla fine del 2013 fui il primo iscritto alla prima conferenza (poi rimasta unica) a Senigallia sul selfpublishing, termine per gli anglofili e probabilmente più social, una fiera più che un esperimento, che non ha avuto seguito. Sempre nel 2013, partecipai al corso Come si fa un libro organizzato da Marcos y Marcos.
 
Nel 2014 organizzai un pioneristico convegno sull’autoproduzione grazie anche alla collaborazione e alla disponibilità del personale della biblioteca di Todi. Si parlò per la prima volta di autoeditoria, una cosa che poi nuova non è. Moltissimi sono gli autori che hanno pubblicato e diffuso le proprie opere in proprio, come tanti sono i rifiuti eccellenti da parte degli esperti.
 
In due edizioni successive ho partecipato alla fiera romana della piccola e media editoria, Più libri più liberi, dove ho ascoltato editori tradizionali parlare di un qualcosa che, con ogni evidenza, non conoscevano abbastanza. Extra vergine d’autore, un’organizzazione attiva per la promozione di autori emergenti, ha selezionato quattro miei libri con bollino di qualità e mi hanno invitato due volte come relatore. A gennaio 2017, Doppio omicidio per il maresciallo Maggio è uscito in abbinamento con il Corriere dell’Umbria per tutto il mese. È di marzo 2018 la partecipazione a Trame, il I festival nazionale del giallo di Assisi. A settembre e ottobre ho avuto uno stand e due eventi, di cui uno incentrato sull’autoeditoria, a Umbria Libri 2018 e ho iniziato la distribuzione in selezionate librerie umbre. A dicembre del 2019 Kobo ha gestito l’offerta de L’eroe nella home page. Nel 2019 ho partecipato, sempre con Marcos y Marcos, al Corso di editing. Ho prenotato gli spazi a Buk Modena (aprile), Macerata Libri (maggio) e di nuovo, Umbria Libri. Sono in progetto l’uscita dell’VIII episodio dei Racconti della Riviera e della II raccolta delle Impossibili possibilità.
 
Scrissi il primo citato romanzo breve quasi d’istinto per dare corpo a un personaggio che avevo in mente nelle fattezze, nel carattere e nei modi. Non mi piacevano i ruoli assegnati dalla fiction ai marescialli in genere e volevo creare un investigatore maturo, con pregi, limiti e senza tratti elegiaci o propagandistici, degno della nutrita concorrenza. Il maresciallo Maggio agisce a Viserba in un’epoca sfumata ed appena edulcorata che si può collocare (con qualche adattamento come i telefoni cellulari), a fine anni ottanta. Si occupa di casi comuni, di corruzione, di violenza di genere, e trova il malaffare trasversalmente distribuito. È un buono quasi disilluso e non cede alla prepotenza né al luogo comune, neanche tra i suoi colleghi. La serie ha venduto finora più di ottomila copie digitali e cartacee.
 
Mentre le lettere di rifiuto, necessarie alla mia caratura, di ben selezionati editori, crescono, Maggio è arrivato a sette episodi, dei quali il IV, il V e il VI compongono la cosiddetta Trilogia del malaffare, inframmezzati da un romanzo storico, uno di formazione e dalla prima uscita di una raccolta di racconti che fungono da banco per altri generi e modalità narrative. Ho curato traduzioni in Inglese, Francese e Spagnolo, le prime due direttamente grazie alla conoscenza diretta con le bravissime traduttrici. Ho creato un marchio, Zipporo Direct Publishing, per dare un’identità a tutta la produzione, accompagnato da piccoli oggetti per il merchandising come magliette e segnalibri. Grazie alle edizioni digitali, i libri sono disponibili in tutto il mondo e ho diffuso copie in paesi idealmente remoti come Turchia, Tunisia, Giappone, Brasile, Cuba e Sudafrica.
 
La rete è di certo un mezzo straordinario ma il vero passo in avanti è essere riconosciuti e ricordati per quello che si scrive più che per come lo si pubblica.

 
Se il 13 e il 14 aprile contate di essere a Modena e dintorni, non perdetevi il Buk Festival: www.bukfestival.it/
Francesco Zampa sarà presente a questa fiera con il suo stand, dove potrete acquistare tutti i suoi libri, ma anche tutti i miei thriller: “Affinità d’intenti” e l’intera trilogia del detective Eric Shaw.
 
 
Invece, per saperne di più su Francesco, visitate il suo blog o seguitelo su Facebook.
Oppure iniziate subito a leggere i suoi libri su Amazon!
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Alcune settimane fa ho avuto il piacere di fare una lunga chiacchierata su Skype con l’amico e autore di fantascienza Nicola Marco Camedda, durante la quale mi ha rivolto una serie di interessanti domande sul mio lavoro di autoeditrice che pubblica romanzi di fantascienza e thriller.
 
Intervista sul blog di Nicola Marco Camedda
 
Dopo aver parlato un po’ di come ho iniziato a scrivere e di cosa mi ha spinto a dedicarmi a questi due generi, abbiamo affrontato l’argomento del difficile rapporto tra le donne e la fantascienza, cosa che tuttora continuo a non comprendere del tutto, lo ammetto!
Abbiamo parlato anche del ruolo della ricerca nell’ideazione dei miei libri di fantascienza e di cosa significa essere un autoeditore.
Ci siamo poi ovviamente soffermati sul mio nuovo romanzo, “Sirius. In caduta libera”, la quarta parte del ciclo dell’Aurora.
Infine, ho raccontato a Nicola qualcosa sui tre progetti cui sto lavorando al momento.
 
Curiosi di saperne di più?
Non vi resta che andare a leggere la trascrizione dell’intervista sul blog di Nicola Marco Camedda, facendo clic qui o sull’immagine in alto.
E, visto che ci siete, date un’occhiata ai suoi libri.
 
Grazie mille a Nicola per avermi ospitato sul suo blog!
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Di Carla (del 01/04/2019 @ 09:30:00, in Scrittura & pubblicazione, linkato 1113 volte)
La primavera è appena iniziata e su Amazon hanno pensato bene di includere il mio nuovo romanzo, “Sirius. In caduta libera” (quarta parte del ciclo dell’Aurora), tra gli sconti di inizio stagione.
 
Ancora fino al 7 aprile “Sirius. In caduta libera” è in offerta ad appena 1,40 euro (invece che 3,49 euro) su Amazon: https://amzn.to/2JTcae8
 
L’offerta è valida solo in Italia.
 
Scopri l'offerta!
 
Sirius. In caduta libera” è un romanzo di fantascienza hard che, attraverso le vicende dei suoi protagonisti, porta il lettore nell’orbita bassa terrestre e nel versante di un vulcano in Islanda, mostrandogli fino a che punto la natura possa diventare ostile, in particolare quando, a causa di qualcosa di imprevedibile, la tecnologia fallisce, e nel contempo facendogli percepire le emozioni di chi tenta di sopravvivere alla sua indifferenza e alla sua furia. Fa da sfondo a tutto ciò la preoccupante presenza di un’intelligenza artificiale forte, la cui evoluzione è ignorata e sottovalutata persino dalla sua stessa creatrice.
 
 
Se state già leggendo il ciclo dell’Aurora o se intendete leggerlo, non perdete questa occasione di accaparrarvi uno dei libri al prezzo più basso mai visto.
 
Se poi volete scoprire di più sul ciclo dell’Aurora, visitate il minisito dedicato alla serie su: www.desertorosso.net
 
Ci vediamo in orbita!
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Di Carla (del 24/03/2019 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 1741 volte)

 Storia dall’esito prevedibile, salvata da una trovata alla fine
 
Ci tengo subito a dire che la trovata finale non ha nulla a che vedere con la trama. Si tratta di un’idea che mescola finzione e realtà, cosa che apprezzo sempre molto nei romanzi. In questo caso è stata in grado di aumentare il mio giudizio di una stellina.
Il romanzo, per i miei gusti, non ne vale più di tre.
Ma andiamo per ordine.
Il libro si svolge tra due linee temporali. Quella presente vede la giovane protagonista Clémence, che si trova a dover accudire l’ultraottantenne Alastair dopo che quest’ultimo a causa di una caduta ha perso la memoria. Quella al passato è il libro che i due leggono insieme e che racconta alcuni eventi della vita dell’uomo quando era giovane, culminanti nella morte dell’amore della sua vita.
La parte al passato è senza dubbio quella migliore di tutto il romanzo. Qui i personaggi prendono vita, anche grazie all’evidente maggiore dimestichezza che l’autore ha nel mostrarli attraverso il punto di vista di un uomo. La storia si dipana tra la Francia, Capri e poi la Scozia, e ogni luogo emerge dalle pagine con tutti i suoi colori, coinvolgendo il lettore e dandogli l’impressione di trovarsi lì.
Di contro, la parte al presente sembra scritta da un autore alle prime armi. Il personaggio di Clémence è bidimensionale. Il suo essere esageratamente ingenua e credulona appare irrealistico. I suoi ragionamenti sono a dir poco tirati per i capelli. Nessuna persona arriverebbe a certe conclusioni, su cui poi si basano le sue decisioni, evidentemente mosse dalla necessità di portare la trama in una certa direzione e non dalla logica. L’ambientazione, poi, e il ristretto numero di personaggi, invece di contribuire all’accrescere della suspense e del senso claustrofobico della narrazione, finiscono per mettere in evidenza la debolezza nella caratterizzazione degli stessi personaggi, che appaiono fin troppo banali.
In quanto al delitto al centro della storia, per quanto l’autore si sforzi per mandarci fuori strada, in maniera così spudoratamente evidente, questo ha ben poco di misterioso. Basta pensarci su per un attimo e ci si rende conto che solo una persona può essere l’assassino: l’unica che avrebbe ottenuto un vantaggio dalla morte di Sophie. Non ho mai avuto alcun dubbio sulla sua identità e ho trovato il fatto che i personaggi, soprattutto Alastair, non ci avessero neppure per un attimo pensato semplicemente impossibile da accettare.
Verso il finale vengono rilevati alcuni dettagli che non erano invece deducibili dal resto e solo per questo motivo devo dire di averlo letto quasi avidamente. La narrazione del precipitare degli eventi fino alla risoluzione, insieme alla trovata finale, salvano il libro, ma solo perché, appunto, si trovano alla fine.
Infine, ho trovato un po’ strano che si parlasse di un romanzo nel romanzo, quando, tenendo conto della lunghezza dei capitoli letti dai personaggi (che a loro detta erano tutto il libro), ne esce fuori al massimo una novelette. Sì, capisco le necessità di spazio, ma allora avrebbero fatto meglio a specificare che alcune parti erano state saltate (lette dai personaggi e non riportate, perché non importanti) o che si trattava semplicemente di un racconto lungo.
Nel complesso è comunque stata una lettura interessante, se non altro perché nel modo in cui il romanzo è stato strutturato presenta una certa originalità. Mi rendo inoltre conto che si tratta probabilmente di un’opera un po’ affrettata, che l’autore si è divertito a scrivere per sviluppare un’idea che gli era venuta, senza alcuna velleità di dare luogo a un prodotto di elevato livello letterario nell’ambito dei thriller. Ma, tutto sommato, il suo ruolo di divertire, nonostante i difetti, lo svolge egregiamente.
 
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Di Carla (del 17/03/2019 @ 09:30:00, in Podcast, linkato 2119 volte)
Dopo un’assenza di un anno e mezzo torno finalmente sul podcast FantascientifiCast, ma questa volta nel ruolo di intervistatrice insieme a Omar Serafini.
In questa puntata della rubrica Caratteri Fantastici ospitiamo una giovane autrice italiana di fantascienza, nonché aspirante astronauta: Giulia Bassani.
 
 
Durante una lunga chiacchierata, Giulia ci ha parlato un po’ di sé, raccontandoci della sua passione per la fantascienza, per le scienze spaziali e per Marte, dei suoi studi in ingegneria aerospaziale a Torino, della sua esperienza a Kourou in Guyana Francese, dove lo scorso dicembre ha assistito di persona a un lancio dell’ESA, e persino di quello che è l’iter per diventare astronauta in Europa per un civile. E poi ci ha parlato del suo libro: “Ad Martem 12”, acquistabile su Amazon a questo link (è disponibile anche in inglese).
Si tratta di un romanzo di fantascienza hard ambientato in un prossimo futuro su Marte, che racconta la storia dei primi tre esseri umani nati sul pianeta rosso. Ne ho parlato più a lungo nella mia recensione del libro, che trovate qui.
 
Ma non solo. All’interno della puntata Giulia ci ha anche deliziato con la lettura di alcuni passaggi del suo libro.
 
Be’, se sono riuscita a incuriosirvi, non vi resta altro che andare ad ascoltare il podcast sul sito di FantascientifiCast (anche facendo clic sull’immagine sopra), dove potete leggere anche la presentazione.
  
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Di Carla (del 08/03/2019 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 1607 volte)

 Sontuosa conclusione (per ora?) del ciclo del Commonwealth
 
Ogni volta che leggo una nuova space opera di Hamilton penso che l’autore abbia raggiunto il massimo della propria espressione e che il libro successivo, soprattutto considerando che questo ciclo in tutto ne contiene sette, non potrà mai essere migliore di così.
Ogni volta mi sbaglio.
“Night Without Stars” è un romanzo meravigliosamente complesso. Costituisce la seconda parte della dilogia intitolata “Chronicles of the Fallers” (cronache dei Faller), eppure, avendo io letto il primo libro (“The Abyss Beyond Dreams”) più di un anno fa e ricordandone davvero poco, ritengo che si possa quasi leggere da solo (anche se lo sconsiglio), poiché ha perlopiù un arco narrativo proprio, all’interno del quale vengono rapidamente spiegati i collegamenti col volume precedente della serie e si accenna ciò che serve in relazione all’intero ciclo del Commonwealth.
Prima di iniziarne la lettura, mi sono chiesta cosa Hamilton avrebbe potuto inventarsi, visto che la storia si svolgeva di nuovo sul pianeta Bienvenido. Temevo il riproporsi dei temi già visti e, invece, non avevo proprio nulla di cui preoccuparmi.
La storia, dopo alcuni capitoli introduttivi (ma non per questo meno emozionanti), si sposta avanti di due secolo e mezzo, un lasso di tempo che determina notevoli mutamenti su Bienvenido, ora che è stato espulso dal Vuoto e può finalmente far uso della tecnologia, inclusa quella aerospaziale (a me tanto cara). E in questa rinnovata ambientazione prendono vita nuovi personaggi, intorno ai quali vengono create delle linee narrative parallele e nei quali viene spontaneo immedesimarsi, nonostante spesso si ritrovino l’uno contro l’altro. Ognuna di esse sa essere avvincente anche senza dover guardare al quadro generale e, a questo proposito, trovo il fatto di aver suddiviso l’opera in libri molto azzeccata.
Ci sono anche alcuni vecchi personaggi, che ho dovuto reimparare a conoscere a causa del tempo passato dalla lettura del libro precedente (e della trilogia del Vuoto), e che permettono di ricollegare con precisione i fili della trama generale e di condurre il lettore verso il suo articolato sviluppo.
E proprio a questa storia così articolata, che mi ha accompagnato per alcune settimane di (voluta) lettura lenta, ritornavo con interesse ogni sera, e poi la lasciavo senza rimpianto per dormire, certa che l’avrei ritrovata lì ad attendermi il giorno dopo.
Il ritmo all’inizio lento, per permettere al lettore di ambientarsi (e che meravigliosa ambientazione!), va incontro a un crescendo che nell’ultimo quarto di romanzo si trasforma in un susseguirsi di colpi di scena tendenti verso un finale quasi impossibile da prevedere.
Nel frattempo, Hamilton non si limita a farci vivere su Bienvenido, ma ci mostra altri mondi inimmaginabili (a parte da lui, ovviamente), altre specie aliene più o meno pacifiche, ci fa conoscere nuovi aspetti dei “cattivi”, la specie aliena dei Faller (che assorbono la propria preda e si sostituiscono a essa), e riesce persino a farcene piacere uno (o perlomeno ci è riuscito con me).
È difficile raccontare altro su questo romanzo senza rivelare troppo sulla trama. Posso solo dire che, se siete arrivati a considerare la sua lettura, segno che di certo conoscete e apprezzate già Hamilton almeno dal libro precedente, anche questa volta non rimarrete delusi.
 
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