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 I personaggi di "Deserto rosso"... di Carla
 

“Le nostre vite da sole non valgono nulla, ma insieme siamo qualcosa di unico.” Oltre il limite

 

Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Lo scorso 9 ottobre sono stata protagonista insieme all’autore tedesco Matthias Matting e alla manager europea di Kobo Writing Life, Camille Mofidi, di un evento che si è tenuto nell’ambito della Fiera Internazionale del Libro di Francoforte (Frankfurter Buchmesse 2014), intitolato “Think Local, Act Global: How to Reach a Global and Successful Audience through Self-Publishing”. È stata un’esperienza costruttiva, poiché mi ha permesso di confrontarmi in un contesto internazionale con un autore di un altro Paese e davanti a un pubblico attento di addetti ai lavori dell’editoria, non ostile nei confronti del self-publishing, diversamente da quanto ancora accade in Italia, e da cui sono emerse delle domande rilevanti, segno di una conoscenza approfondita di questo modello editoriale.
 

La raccolta di “Deserto rosso” tra i libri esposti nello stand di Kobo alla Frankfurter Buchmesse 2014.
Nelle foto sotto: Camille Mofidi, Matthias Matting e io durante l'evento.
 
L’argomento della nostra discussione era relativo all’opportunità per un self-publisher di uscire dai propri confini linguistici e pubblicare i propri libri tradotti in un’altra lingua.
Ogni mercato è diverso e le strategie da seguire variano secondo le sue caratteristiche, ma alcuni aspetti sono dei prerequisiti imprescindibili per riuscire ad avere successo in una tale impresa.
 
Il primo fra tutti è, come sempre, pubblicare il miglior libro possibile, sia per quanto riguarda il contenuto che la sua confezione (copertina, descrizione, formattazione). Può sembrare una cosa ovvia, visto che parliamo di un autore che ha già pubblicato lo stesso libro nella propria lingua, ma non lo è affatto, poiché il libro deve andare incontro a un processo di traduzione.
 
Il problema non è solo economico. Tradurre un libro costa tanto per via della sua lunghezza, ma ancora più difficile è trovare il traduttore giusto per quel libro. Pagare poco o molto per il suo lavoro non sempre è un indice della qualità del traduttore, anche se è chiaro che, se si paga poco, non ci si può poi lamentare se il risultato non è perfetto.
In realtà il processo di traduzione di un libro, in particolare se si tratta di narrativa, non consiste semplicemente nel prendere il testo e tradurlo in un’altra lingua. Si tratta, invece, di un processo di transcreazione, cioè il testo deve essere compreso a fondo, il suo contenuto deve essere trasferito nella lingua di destinazione, pur mantenendo, oltre al contenuto, lo stile e la voce dell’autore. E in ultima analisi deve apparire agli occhi di un lettore come se fosse scritto da un autore madrelingua.
Il traduttore letterario deve essere un bravo scrittore nella sua lingua, ma deve anche conoscere il genere letterario in cui il libro è scritto, che può avere una terminologia precisa, deve documentarsi sulle tematiche trattate (luoghi, argomenti storici, scientifici e così via), se già non le conosce, per essere certo di comprendere ciò che sta leggendo e di tradurlo nella maniera corretta, deve revisionare la traduzione più volte per assicurarsi di avere sempre trasferito correttamente il significato, di non aver inserito errori grammaticali o di sintassi dovuti alla lingua d’origine (pensate a quanti libri tradotti dall’inglese sono carenti di congiuntivi: questi errori sono dovuti al fatto che il congiuntivo in inglese non esiste).
Anche se ha fatto bene tutte queste cose, il suo lavoro non sarà mai sufficiente. Allo stesso modo di come il vostro libro originale deve essere letto e giudicato da altre persone oltre a voi durante la fase di revisione e correzione di bozze, anche la traduzione deve essere corretta da almeno un revisore. Il traduttore deve affidarsi ad almeno un’altra persona per assicurarsi che il testo scorra bene, che tutto abbia senso al suo interno, che siano rispettate le regole base di stile e ortografia della lingua di destinazione (es. evitare l’uso smodato di avverbi di modo quando non esiste un verbo specifico corrispondente; la punteggiatura deve essere adattata alle regole della propria lingua, anche per quanto riguarda il discorso diretto, gli incisi, i pensieri, e così via), e soprattutto che non ci siano errori grammaticali, sintattici e i famigerati refusi.
 
Insomma, si tratta di un lavoro complesso, che deve essere controllato con attenzione. Se l’autore non ha la minima conoscenza della lingua di destinazione o ne ha una conoscenza non approfondita (a meno che non sia bilingue, certe cose comunque non è in grado di coglierle mai), questa fase essenziale della pubblicazione del proprio libro all’estero può diventare molto delicata. La cosa migliore sarebbe rivolgersi sempre ad almeno due professionisti: un traduttore e un correttore di bozze (proofreader) madrelingua.
Chiaramente questo implica dei costi maggiori, ma, se il libro alla fine non è ben tradotto, difficilmente avrà qualche possibilità di essere apprezzato nel mercato di destinazione e potrebbe compromettere l’immagine dell’autore nello stesso mercato anche per libri futuri.
 
Una volta che si è sicuri di avere un prodotto editoriale di ottima qualità, bisogna risolvere il secondo grande problema: fare in modo che il prodotto arrivi ai potenziali acquirenti. Anche in questo aspetto non ci discostiamo dalle problematiche del nostro mercato d’origine, ma all’estero le regole posso essere diverse. Ed ecco quindi il secondo punto essenziale per andare avanti in un tale processo: conoscere il mercato di destinazione.
Bisogna conoscere quali sono i retailer più importanti. Amazon è il primo praticamente dappertutto, ma non esiste solo Amazon. Come sapete, in Italia Kobo ha un’importante fetta del mercato, grazie all’accordo con inMondadori e laFeltrinelli. Allo stesso modo Kobo ha accordi importanti su altri mercati, come quello britannico. Sul mercato americano c’è anche Barnes & Noble, che è ancora molto forte e col suo Nook sta iniziando a muoversi all’esterno. In Germania c’è Tolino, col suo lettore proprietario. In India ha un ruolo importante Flipkart (ci si arriva tramite Smashwords). E così via.
Questo vale anche per il cartaceo, sebbene per un self-publisher l’attenzione principale vada all’ebook. A parte negli Stati Uniti dove ormai la penetrazione degli ereader o delle app per leggere gli ebook è maggiore che in qualsiasi altro Paese, in altri ci potrebbe essere la possibilità di farsi un piccolo spazio nel mercato dei libri stampati.
Un altro aspetto di cui tenere conto sono i prezzi. In Italia i prezzi medi degli ebook dei self-publisher sono bassi, poiché i lettori sono poco propensi a spendere più di 3 euro per acquistarli, anzi la stragrande maggioranza è poco propensa a spendere più di 99 centesimi.
I prezzi però sono un po’ più alti nel mercato tedesco e ancora di più in quello americano. In generale nei mercati dove i prezzi sono in media più alti, il lettore potrebbe guardare con sospetto un ebook che costa poco e ciò potrebbe avere delle conseguenze importanti sul successo del libro.
In altre parole, bisogna studiare a fondo il mercato di destinazione per individuare la strategia migliore per commercializzare il proprio libro.
 
E arriviamo al terzo punto fondamentale. Anche questo lo conosciamo bene, se già pubblichiamo nel nostro Paese. Si tratta di fare in modo che i potenziali acquirenti comprino il libro.
La cosiddetta discoverability del libro in parte dipende dai fattori sopra riportati, relativi a retailer, diverse edizioni e prezzi, ma manca l’elemento essenziale che serve per mettere in moto le vendite: la promozione.
Ora, se conosciamo la lingua del mercato di destinazione, le cose sono relativamente più semplici. È necessario rimboccarsi le maniche e, prendendo spunto dalle strategie promozionali vincenti di altri autori (come si è già fatto nella propria lingua), costruire la propria presenza online da zero. Possibilmente sarebbe meglio iniziare a farlo prima di pubblicare. Parlo delle solite cose: blog, social network, associazioni, forum e gruppi di altri autori indipendenti, web magazine, siti e podcast che si occupano del proprio genere, e così via. Ogni mercato è un mondo a parte da scoprire.
In certi mercati, come quello in lingua inglese, ci sono degli strumenti pubblicitari a pagamento basati sul direct e-mailing marketing alla portata delle tasche di un self-publisher (come Bookbub), che possono essere efficaci secondo il target del proprio libro. Niente del genere esiste in Italia (gli strumenti DEM sono carissimi e per niente specifici per il target dei lettori di ebook), per cui sono uno strumento in più da conoscere.
 
 
E se non conosciamo la lingua del mercato di destinazione?
Qui le cose si complicano. Non possiamo sperare in un colpo di fortuna, né piazzare il libro su Amazon KDP Select (laddove c’è Amazon) e metterlo gratis per cinque giorni sperando che questo basti per scatenare le vendite. Magari si è fortunati, magari il libro ha un tema così irresistibile che si scatena il passaparola e questo basta, ma nella maggior parte dei casi non sarà così. E non possiamo certo investire tanti soldi per tradurre un libro per poi affidarci alla dea bendata.
Come possiamo fare allora?
Abbiamo bisogno di un alleato, un altro autore nel mercato di destinazione, col quale riusciamo a comunicare bene (conosce la nostra lingua o conosciamo entrambi un’altra lingua, tipicamente l’inglese), che scriva nello stesso genere, che sia popolare (ciò significa che conosce bene il proprio mercato, non solo che ha molti fan) e che abbia almeno un libro pubblicato nella nostra lingua o intenda pubblicarlo e quindi abbia bisogno di noi nel mercato italiano. Con questo alleato possiamo iniziare un proficuo rapporto di collaborazione fatta di scambi di promozione, guest post, interviste, podcast e tutto quello che vi viene in mente.
Possiamo anche pensare di pubblicare qualcosa insieme. Per esempio, possiamo fargli scrivere la prefazione del nostro libro e ricambiare il favore nel suo. Far inserire alla fine di un suo libro un nostro breve racconto (e ancora ricambiare). Possiamo chiedergli di revisionare il nostro libro prima della pubblicazione e fare altrettanto col suo (così si può fare a meno di pagare un proofreader  e assicurarsi di avere un prodotto editoriale di alta qualità).
È essenziale che questa persona apprezzi i nostri libri e che noi apprezziamo i suoi, poiché verranno proposti ai rispettivi lettori che nessuno dei due vuole in alcun modo deludere.
 
Tutto ciò, come potete immaginare, porta via un sacco di tempo, ma solo all’inizio. Una volta che si riesce a innescare il meccanismo del passaparola e il proprio libro prende piede nel mercato straniero, si può ridurre il proprio impegno in questo senso e dedicarsi ad altro.
Se il mercato in questione è particolarmente ricco di lettori nel genere del nostro libro, si possono ottenere delle buone soddisfazioni. Inoltre non bisogna dimenticare che essere presenti in più luoghi possibili aumenta la probabilità di imbattersi di opportunità interessanti, di ricevere proposte, di iniziare nuove collaborazioni, in grado di stimolare la nostra creatività, migliorare la qualità dei nostri libri e la nostra immagine, e di guadagnare di più e soprattutto di divertirci nel portare avanti questo nostro mestiere.
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Nell’articolo precedente di questa serie, in cui riporto alcune riflessioni dopo la mia partecipazione come relatrice all’evento intitolato “Think Local, Act Global: How to Reach a Global and Successful Audience through Self-Publishing” presso lo stand di Kobo durante la Fiera Internazionale del Libro di Francoforte, ho affrontato in generale l’argomento dell’opportunità per un self-publisher di uscire dai propri confini linguistici e pubblicare i propri libri tradotti in un’altra lingua.
In questo articolo mi voglio soffermare sul mercato straniero più grande in assoluto: quello in lingua inglese.
 

Lo skyline di Francoforte. Nelle foto sotto: Camille Mofidi, European Manager di Kobo Writing Life, Matthias Matting, self-publisher tedesco, e io durante l'evento.
 
È chiaro che, quando un self-publisher italiano (o di un altro Paese di lingua non inglese) parla di pubblicare una versione tradotta del proprio libro, si riferisce al 99% a una sua edizione in lingua inglese. Il motivo è ovvio: è quello che contiene il maggior numero di potenziali lettori. Non mi riferisco solo a coloro che vivono in una nazione anglofona. E già qui si parlerebbe di un numero enorme, visto che proprio nelle nazioni anglofone è più diffusa la lettura digitale (e nel caso del self-publishing quando diciamo libro ovviamente ci riferiamo soprattutto all’ebook). Ma oltre a questi nativi di lingua inglese c’è di fatto tutto il resto del mondo, poiché le persone che sono in grado di leggere in questa lingua si trovano ovunque. In altre parole, avere il proprio libro in inglese significa darlo in pasto al mercato globale.
Alla possibilità di vendere di più aggiungerei che, trattandosi di un mercato più maturo, gli ebook vengono venduti a prezzi significativamente più elevati rispetto all’Italia, portando a un guadagno maggiore per copia.
 
È naturale, quindi, che il mercato in lingua inglese sia la prima ambizione di un autore che intenda far tradurre il proprio lavoro. Ma il fatto che si tratti del mercato con maggior numero di lettori significa anche che è quello in cui è più facile vendere il proprio libro?
 
Prima di dare una risposta a questa domanda bisogna fare delle considerazioni.
La prima e più ovvia è che, sebbene ci siano molti più lettori, è anche vero che ci sono molti più autori e libri, cioè c’è maggiore competizione. Si tratta di autori perlopiù madrelingua che mettono nel mercato pressoché tutto il proprio sforzo promozionale e possono, almeno in teoria, farlo molto meglio di qualcuno che sta all’estero, anche perché, non dimentichiamolo, non esiste solo la promozione su internet. E, per quanto riguarda i libri, invece, l’esistenza di un numero enormemente superiore di titoli ha come conseguenza la maggiore difficoltà di finire nelle classifiche di genere (parlo delle macroclassifiche, quelle più esposte allo sguardo di potenziali lettori), di essere recensiti e/o citati nei siti o magazine che contano, insomma, più in generale, di acquisire una certa popolarità, che in ultima analisi porta alle vendite.
 
Inoltre è necessario distinguere tra la capacità di vendere il proprio libro da nuovi arrivati e quella che si acquisisce, con relativi risultati, una volta che si è entrati a far parte del meccanismo editoriale del mercato.
 
Se si fa parte della prima categoria (nuovi arrivati), come nel caso di uno di noi che decida di pubblicare in inglese per la prima volta un proprio libro, la risposta alla domanda è: vedere nel mercato in lingua inglese è difficile come in qualsiasi altro mercato in cui non si sia mai pubblicato nulla.
Infatti, il punto della questione è che tutto ciò che noi abbiamo fatto e che sappiamo del nostro mercato (quello italiano) non conta affatto, o quasi. Stesso discorso vale per i risultati. Possiamo aver venduto decine di migliaia di copie in Italia, ma fuori dai nostri confini linguistici, ahimè, non siamo nessuno. Pensare di poter riprodurre all’estero la stessa catena di eventi che ci ha portato al successo è pura utopia, poiché gli elementi in gioco (inclusa la fortuna) sono completamente diversi.
Ciò che bisogna fare, invece, è iniziare di nuovo da capo, esattamente come abbiamo fatto in Italia. E affinché ci troviamo nella stessa situazione in cui ci siamo trovati quando abbiamo iniziato in Italia è necessario: conoscere le regole del mercato (come dicevo anche nel post precedente di questa serie), parlare inglese ed essere quindi in grado di interagire con la gente in inglese, di creare un blog in inglese e in generale di gestire la propria promozione all’interno di questo mercato globale.
 
Dici niente, direte voi, no? E questi sono solo i prerequisiti. Ciò significa che non è affatto detto che bastino per ottenere dei risultati.
 
È vero che nel mercato inglese esistono, però, degli strumenti di promozione a pagamento che nei mercati minori sono del tutto assenti. Questi possono davvero fare la differenza nella fase iniziale (e in quelle successive). Ma sono talmente tanti che bisogna essere in grado di comprendere quali siano adatti nello specifico al proprio prodotto editoriale, altrimenti si rischia di buttare via dei soldi senza ottenerne alcun beneficio.
 
Badate bene, tutto questo non significa che io intenda scoraggiarvi, ma solo mettere in evidenza che si tratta di una sfida. Sì, perché queste difficoltà riguardano i novellini del mercato inglese. Il discorso cambia radicalmente dal momento in cui ha luogo quello che io chiamo l’evento d’innesco.
 
Se avete una certa popolarità nel nostro mercato è quasi sempre perché è successo qualcosa, in genere fuori dal vostro controllo (chiamatelo colpo di fortuna o in qualche maniera più colorita), che vi ha portato in un istante alla ribalta. Può essere la citazione in un blog letterario, in un web magazine, in un podcast (nel mio caso è stato, infatti, l'approdo a FantaScientificast), il suggerimento di un opinion leader, il fatto che Amazon abbia deciso di inserire il vostro libro in una promozione, e potrei andare avanti così all’infinito. Magari alcuni di voi non sanno quale sia stato questo evento d’innesco, ma sicuramente c’è stato.
Sebbene la fortuna avrà giocato un ruolo essenziale, quasi sempre la fortuna è stata aiutata dai costanti sforzi fatti per promuoversi.
Ecco, anche nel mercato anglofono (e in qualsiasi altro mercato) all’inizio si deve lavorare tanto, apparentemente con poco risultato, per perseguire il verificarsi di questo evento, perché è da qui che cambia tutto.
 
E qui viene la differenza principale, se ci spostiamo nel mercato anglofono. In Italia, questo evento improvviso ci ha resi magari popolari, di certo non ricchi, però abbiamo iniziato a ricevere con piacere dei bonifici un po’ più consistenti.
Ma, se questo evento d’innesco avviene in un mercato globale come quello in lingua inglese, le proporzioni cambiano in maniera drastica. Se nel rispondere alla domanda posta nel titolo di questo post ci riferiamo alla situazione di un autore che ha già superato questo scoglio, la risposta non può che essere: diamine, sì!
Nel momento in cui si inizia ad acquisire una certa popolarità nel mercato inglese, i numeri di copie vendute possono, almeno in teoria, essere di uno o due (e più) ordini di grandezza maggiore rispetto a quello italiano. Non a caso il mercato anglofono è ricco di esempi di self-publisher che vivono della loro scrittura o che comunque ne traggono dei guadagni consistenti, che, uniti ad altre attività correlate, permettono loro di vivere da self-publisher. Si tratta di autori che nel tempo hanno pubblicato un sufficiente numero di titoli e continuano a raccogliere un numero tale di lettori affezionati da fornire loro dei guadagni costanti. E non serve affatto vendere milioni di copie per riuscirci, anche perché vivere di scrittura non significa diventare ricchi. D’altronde chi scrive per diventare ricco ha proprio sbagliato mestiere!
 
Morale della favola: vendere nel mercato inglese all’inizio non è facile, ma le prospettive di successo sul lungo termine sono così interessanti che valgono tutti gli sforzi (di tempo e di soldi) che siamo disposti a fare per raggiungerlo. Alla fine ciò che fa la differenza è quanto è buono il nostro prodotto editoriale e quanto crediamo in esso.
 
 
Se aspettavate di leggere in questo articolo una formula magica per far avverare quell’evento d’innesco di cui parlo, purtroppo rimarrete delusi, perché non esiste una formula magica. Chi vi dice il contrario mente. Ogni prodotto editoriale (e ogni autore) è una storia a sé. Ma gli autori che sono riusciti in questa impresa esistono, quindi non si tratta di uno scopo inarrivabile.
 
Io stessa sto cercando di metterlo in atto. Ho pubblicato due libri in inglese (i primi due della mia serie di fantascienza “Deserto rosso”), ma l’ho fatto sapendo che avrebbero venduto poco o nulla, in quanto non possedevo ancora una base di lettori. Ero una nuova arrivata e lo sono ancora. Ciò che faccio è portare avanti la mia strategia che include prima di tutto pubblicare dei libri di qualità. I primi due sono già usciti e ora sto lavorando al terzo, poi seguirà il quarto. Intanto sto iniziando a farmi conoscere sul mercato internazionale interagendo con altri autori, mantenendo aggiornato il mio blog inglese, partecipando a eventi internazionali (questo di Francoforte è stato il primo), entrando in contatto il più possibile con i miei lettori target (nello specifico appassionati di Marte e spazio; e in questo senso sto collaborando con l’associazione Mars Initiative), cercando di sfruttare i social network (per ora solo col profilo Twitter di Anna Persson che mi sta dando qualche piccola soddisfazione), regalando il libro a vari opinion leader (persone che lavorano nell’ambito della ricerca spaziale oppure nell’ambito della fantascienza; spesso sono le stesse persone), partecipando a dei podcast (come è successo con Mars Pirate Radio), provando qualche promozione a pagamento (che cerco di scegliere con giudizio) e così via. Tutto questo lo sto facendo, mentre mi appresto a pubblicare il mio settimo libro in italiano (il 30 novembre, “L’isola di Gaia”), continuo a portare avanti la promozione dei libri precedenti, partecipare ad eventi (il prossimo a dicembre all’Università dell’Insubria, a Varese) e svolgo tutte le attività di un editore, quale di fatto sono, dalle semplici pubbliche relazioni, alla programmazione del lavoro per il prossimo anno, a collaborazioni e negoziazioni più importanti, che avranno conseguenze spero positive nei mesi che verranno.
 
In tutto questo gran lavorare sto forse (e ripeto, forse) iniziando a individuare una strada, una serie di elementi che dovrebbero portarmi a raggiungimento di quell’evento. Gli ottimi risultati raggiunti da altri colleghi (non solo italiani) mi fanno ben sperare. Se ce l’hanno fatta loro, posso riuscirci anch’io. E anche voi.
Nel frattempo ciò che conta è dedicarsi al proprio progetto con passione e umiltà, e soprattutto non smettere mai di divertirsi nel portarlo avanti.
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Di Carla (del 30/10/2014 @ 10:30:43, in Scrittura & pubblicazione, linkato 2072 volte)

Fra 30 giorni esce “L’isola di Gaia”, la seconda parte del ciclo dell’Aurora, di cui la serie marziana di “Deserto rosso” è la prima parte.
Per l’occasione ho deciso di dare una rinfrescatina alla copertina della raccolta per allineare la grafica a quella del nuovo libro. Vi mostrerò la copertina de “L’isola di Gaia” intorno al 20 novembre (abbiate pazienza), nel frattempo eccovi la nuova versione di quella di “Deserto rosso”. Il cambio riguarda per ora solo l’edizione in ebook e sarà visibile nei retailer nei prossimi giorni.
 
Colgo l’occasione per informarvi che su Facebook è stato creato un gruppo dedicato al ciclo dell’Aurora. Lo trovate qui. Per ora non è attivo, ma potete già iscrivervi. Una volta pubblicato “L’isola di Gaia”, appena abbastanza persone l’avranno letto, inizieranno le discussioni per capire i legami tra queste due parti del ciclo e discutere di ciò che ci aspetta nei romanzi successivi: “Ophir”, “Sirius” e “Aurora”.
 
Ammetto di aver lavorato ininterrottamente da più di un anno a questa parte e così per le prossime due settimane sparirò un po’. Vado in vacanza. Per questo motivo quest’anno non partecipo al NaNoWriMo, ma questo non significa che non abbia intenzione di scrivere qualcosa di nuovo al mio ritorno (probabilmente una space opera).
In realtà vedrete comunque comparire dei post sul blog e su Facebook, dove avrà luogo il conto alla rovescia per l’uscita de “L’isola di Gaia”. Al mio ritorno il romanzo (la sua sesta stesura), che ora è in mano ai beta reader , subirà le ultime fasi di revisione prima della pubblicazione.
Vi informo che per almeno tre giorni in concomitanza con l’uscita il libro sarà disponibile a un prezzo promozionale. Rimanete sintonizzati!
 
Per non perdere le offerte, vi incoraggio a iscrivervi alla mia mailing list tramite la casella qui a fianco o sull’homepage del sito. Prometto di non scrivervi in media più di una volta al mese.
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Di Guest blogger (del 04/11/2014 @ 09:00:00, in Serie TV, linkato 3653 volte)

Con grande piacere ritrovo ancora una volta Francesco Zampa, autore della serie di gialli del Maresciallo Maggio, nel ruolo di ospite nel mio blog. Questa volta ci parlerà dell’acclamata serie TV americana “True Detectives”, fornendocene un’analisi accurata.
 
Chi mi conosce storcerà subito il naso, come a dire: “E te pareva... è fissato co’ ‘sti Americani...”. Ma non posso fare proprio a meno, una volta di più, di elogiare la fiction d’oltremanica dopo aver visto tutta d’un fiato la I Serie di “True Detectives”.
 
Non che gli americani non abbiano difetti, anzi, come in tutte le cose, si trovano dubbi e perplessità. Però, quando proprio non si parla di pelo nell’uovo, bisogna sempre considerare che si tratta del massimo, e un difetto sfuma quasi nella caratteristica se non nell’opinione personale. Serie A, dove tutti sono forti e anche l’ultimo, appunto, è sempre più del primo della serie B dove, purtroppo, noi militiamo da anni e per scelta più che per incapacità.
Ma andiamo a vedere più da vicino.
 
Già l’impatto visivo e musicale della sigla dimostra la grande cura e ci avvisa su cosa ci aspetta: il pezzo di apertura di The Handsome Family, Far From Any Road, è memorabile e ci cala subito nell’atmosfera irregolare e un po’ lugubre del profondo sud. Chi ha letto John Grisham si sente a casa. La sequenza onirica mostra molti luoghi comuni e caratteristiche dei protagonisti: volti contratti si alternano a ombre e predicatori, case di legno, immense raffinerie su paludi sconfinate.
E bisogna essere molto politicamente scorretti, anche se non fino in fondo, per mettere in scena due personaggi come i detective Rustin Spencer “Rust” Cohle (Matthew McConaughey) e Martin Eric “Marty” Hart (Woody Harrelson), l’uno il complemento dell’altro: quanto è irregolare e maledetto il primo, tanto è buono, familiare e rassicurante il secondo (ma solo per un po’). Un’altra cosa, questa molto difficile da realizzare da noi, dove non si può dire nulla che non sia più che conforme nella finzione: vietato dire la verità, ma normale urlare menzogne in nome della libertà di parola.
 
Trovo pressoché impossibile la sperimentazione di generi e personaggi, e molto difficile realizzare produzioni interessanti senza avere la possibilità di toccare, in maniera non simbolica, argomenti scottanti ma comuni come la pedofilia e la corruzione. Mentre in America un tentativo del genere, cioè rappresentare corrotti e corruzioni del Governo e delle massime istituzioni religiose, se riuscito, è osannato da pubblico e critica e considerato solo per quello che è, cioè un prodotto di fiction ispirato alle torpitudini umane, in definitiva un’operazione commerciale, un investimento, un’occasione lavorativa, da noi gli estemporanei, coraggiosi autori, rischiano invece la ghettizzazione e il taglio dei finanziamenti. È vero, in America le Lobbies sono potentissime e non lesinano mezzi per raggiungere lo scopo, ma riescono lo stesso a mettere un Presidente corrotto o fifone senza che nessuno gridi allo scandalo o peggio.
 
Ed ecco quindi la trama toccare alcuni tra i punti peggiori dell’umanità edulcorata della Louisiana degli ultimi vent’anni: appunto la pedofilia, la corruzione degli uomini di Stato nelle cariche più alte e rappresentative, nonché delitti efferati e impuniti.
Lo so, c’è il finale rassicurante, se non consolatorio: sia Rust che Marty riscattano le loro maledizioni mostrando una motivazione pura e disinteressata alla soluzione del caso anteponendolo alle loro vite stesse, trovando i colpevoli e riazzerando così le loro esistenze in modo da ricominciare ancora, affrancati dai loro pesanti fardelli. Un’ottica puritana e astutamente commerciale, probabilmente, ma che poco toglie quando la storia, e i mostruosi delitti con lei, sono tutti compiuti.
 
Alcune sequenze sono terrificanti, e altrettanto lo è il triste sprofondare di ciascuno dei due nelle nefaste conseguenze delle loro azioni. Rust è privo di vitalità, ossessionato dalla perdita prematura di moglie e figlia, ma anche Marty, oltre l’apparenza rassicurante della famiglia americana con moglie devota e due belle figlie in una bella casa, in realtà ha già perso tutto anche se non se ne rende subito conto, affondato nei suoi egoismi, e in un modo forse ancor peggiore, perché più colpevole, del traumatizzato compagno.
 
In questa atmosfera di rapporti umani falsi e falsificati persino tra le istituzioni dove le certezze non dovrebbero essere mai in dubbio, lo spettatore assorbe l’angoscia disperata che trasuda a mano a mano che i personaggi secondari e le vittime sfilano nelle varie puntate. Vittime autentiche, perché innocenti e indifese dalla cattiveria e dall’efferatezza.
Per fortuna che, alla fine, almeno ce la fanno!
 
Bella idea quella di cambiare i protagonisti a ogni serie (sono già annunciati quelli della prossima: Vince Vaughn e Colin Farrell), sempre alla ricerca di idee e proposte nuove. Se l’autore della serie, Nic Pizzolatto, ha fatto vedere tutta, o molta, della sua bella stoffa, i due stessi protagonisti non si sono dimostrati da meno dopo una carriera in cui hanno saputo interpretare ruoli atipici (ne scelgo uno per uno: Benvenuti a Zombieland e Killer Joe) riproponendosi come co-produttori.
 
Come sostengo anch’io e come, d’altra parte, dovrebbe dire qualsiasi scrittore indipendente: se non ci crediamo noi che siamo gli autori, chi dovrebbe farlo?

FRANCESCO ZAMPA (1964) è autore indipendente di romanzi gialli. Nelle sue storie ama affrontare argomenti importanti come la corruzione e la sovraesposizione dei mezzi di comunicazione.
Il protagonista delle sue storie è il maresciallo Franco Maggio che, a Viserba di Rimini, si trova a risolvere delitti di rilevanza internazionale affidandosi al suo intuito.
Nell’ultimo libro, “La Scelta”, la trama è intarsiata sullo sfondo autentico della deportazione di migliaia di carabinieri romani da parte dei Nazisti, il 7 ottobre 1943.
Visitate il suo sito: www.francescozampa.com
E il suo blog: www.ilmaresciallomaggio.blogspot.it
Trovate Francesco anche su Facebook: www.facebook.com/MarescialloMaggio
Infine date un’occhiata al suo profilo su GoodReads: www.goodreads.com/Zipporo
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Di Guest blogger (del 07/11/2014 @ 09:00:00, in Scrittura & pubblicazione, linkato 3680 volte)
Oggi abbiamo un nuovo ospite nel blog. Si tratta dell’autore Wirton Arvel, che in questo articolo ci racconterà di cantastorie di un passato lontano e di quelli del presente.
 
La festività di Halloween ci ha dato modo di scoprire come i moderni ebook possano ancora essere raccontati come avveniva una volta… dai cantastorie!
 

C'erano una volta, tanto tempo fa, i libri, le biblioteche e persino i cantastorie.
In quel tempo gli uomini percorrevano le strade del mondo inzaccherandosi le scarpe e attraversavano i cieli seduti in comode poltrone; mentre i cantastorie già allora erano quasi leggenda.
Si raccontava che se ne potessero ancora scorgere alcuni in qualche remota contrada del pianeta in cui le strade non avevano nome, se non vaghi appellativi che servivano anche come indicazioni per raggiungerle.
 
In quelle contrade dai vividi colori, che pareva fossero appena state dipinte dalla pioggia e dalla luce, si ergevano come ripari dalla solitudine del corpo e dello spirito, delle taverne al cui interno fra pinte di birra e patate al forno, si aggiravano ancora quelli che "tramandavano oralmente le antiche tradizioni" che in quella parte del mondo di verdi prati e di cieli dai riflessi d'argento, dove era rimasta più viva l'identità dell'antico popolo dei Celti, venivano chiamati "seanchai" (n.d.r. pronuncia 'scianaci'), ovvero "cantastorie".
 
C'erano una volta e ci sono ancora i libri, di bit e di carta, le biblioteche, di scaffali di legno e di cartelle elettroniche, e i cantastorie che si aggirano per le remote taverne d'Irlanda e nei mondi virtuali dello schermo accanto, come Second Life* e Kitely.
E in alcuni di questi mondi virtuali, come il piccolo arcipelago delle Imagination Islands di Second Life, i moderni cantastorie della Seanchai Library, “La Biblioteca dei Seanchai”, sono lì per dar vita a vecchie e nuove storie, arricchendo giorno dopo giorno le loro numerose biblioteche tematiche, di nuovi racconti registrati.
 
Assistere alle loro interpretazioni, che vengono eseguite in forma del tutto gratuita, in cui si può ascoltare, in diretta, la viva voce dei bardi della loro associazione interpretare un classico della letteratura o della tradizione popolare oppure un moderno racconto di qualche brillante autore, è un’esperienza molto coinvolgente.
Ogni volta vengono costruite ad hoc le ambientazioni virtuali in cui si svolgono le presentazioni dei libri e i numerosi spettatori che assistono tramite i loro avatar, contribuiscono con la loro partecipazione a creare un contesto molto realistico e accogliente.
 
Nel mese di ottobre si è svolto un vero e proprio festival, con un ricco calendario di eventi e presentazioni tenute dai diversi bardi nelle varie location virtuali e a volte anche in concomitanza e sinergia con presentazioni nel mondo reale.
Ed è stato un vero onore e privilegio per me farne parte, sia come spettatore, ma soprattutto come autore del racconto che è stato scelto per la serata più importante del mese di ottobre, quella che precede Halloween, festa per eccellenza della tradizione popolare irlandese perché ha ereditato e incorporato al suo interno alcune antiche tradizioni del capodanno celtico, noto anche come “Festa dell’Ultimo Raccolto” o “Samhain”.
 
 
Si tratta di un racconto disponibile anche in italiano con il titolo “Le scommesse di Jack” e in edizione bilingue con testo inglese a fronte, oltreché ovviamente in edizione in lingua inglese con il titolo “Jack’s Wagers”, che si ispira alla leggenda celtica di Jack O’ Lantern, che ha dato origine alla tradizione ormai diffusasi in tutto il mondo, di esporre delle zucche intagliate la sera del 31 ottobre.
 
Jack’s Wagers” in realtà si propone anche come un moderno racconto di formazione, che narra il percorso di vita di un uomo comune e la sua evoluzione personale e sociale, ma è raccontato con uno stile volutamente “arcaico” che tenta di ricreare con frasi lunghe e complesse, ricche di subordinate, la situazione in cui i dotti cantastorie di un tempo cercavano di affabulare gli ascoltatori con il loro modo di esprimersi, per poi riassumere e commentare a inizio e fine di ogni breve capitolo, i punti salienti per chi nel frattempo si era perso o distratto, con quella che, di fatto, è una seconda voce narrante che per certi versi ricorda quella del coro greco delle antiche tragedie elleniche, posto a rappresentante il punto di vista della collettività rispetto alla vicenda narrata.
 
Il racconto non si limita quindi a riscrivere le leggende celtiche cui si ispira, e può essere letto a diversi livelli, sia come fiaba per bambini che come racconto filosofico e motivazionale per i vari riferimenti alla “scommessa di Pascal” riguardo alla vita eterna, che fa da filo conduttore dell’intera narrazione.
 
 
Indubbiamente però è un racconto che si presta molto bene per essere letto e narrato a voce alta, e chi meglio di un seanchai, un cantastorie tradizionale irlandese, avrebbe potuto e potrebbe farlo? Sia per la capacità di riportare in vita le storie, sia per l’argomento narrato. Che poi lo abbia fatto il capo bardo dell’associazione della Seanchai Library, Shandon Loring, dopo aver trovato per caso il mio ebook nello store Amazon, beh questo è l’argomento di un’altra storia…
Wirton Arvel
 
* Second life è una delle più famose e diffuse piattaforme di realtà virtuale al cui interno sono state costruite intere città virtuali, e viene usata per tantissimi scopi, ludici (giochi, passatempo, socializzazione etc.), promozionali (esposizione auto, mobili, design etc.), commerciali (attività di ogni tipo, esiste una moneta locale con un cambio in dollari americani e alcuni residenti sono diventati grazie a Second Life milionari anche nel mondo reale) e anche per scopi educativi (università, ditte e associazioni tengono lezioni, workshop e conferenze virtuali al loro interno).
 

 
WIRTON ARVEL è principalmente uno scrittore di poesie, che cerca di promuovere la diffusione e l’amore per la poesia anche presso chi preferisce leggere solo testi in prosa.
A questo scopo ha pubblicato un libro di “poesie raccontate” intitolato “Vagabondando fra le stelle”; un esperimento letterario dove prosa e poesia si intrecciano come anima e corpo per dar vita a una storia come fosse un racconto e nel contempo per evocare emozioni nel modo in cui lo farebbero le poesie, riscuotendo un notevole successo fra i lettori.
Oltre all’attività di scrittore ha curato diverse edizioni bilingui con testo inglese a fronte, fra cui alcuni classici della letteratura: “Il Meraviglioso Mago di Oz” di L. Frank Baum, “Le Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll, “Cantico di Natale” di Charles Dickens, “Tre uomini in barca” di Jerome K. Jerome, “La Ballata del Vecchio Marinaio” di Samuel Taylor Coleridge.
Ha curato inoltre anche alcune antologie della poesia italiana e inglese fra cui “Aedi, Bardi e Poeti - Cantori, Trovatori e Vati (Antologia della Poesia: XII-XIV secolo [con poesie Occitane e Italiane])”, “101 poesie da leggere a Londra e New York...” (Antologia della poesia inglese, da Shakespeare ai primi del '900).
 
Link al racconto di Halloween liberamente ispirato alla leggenda di Jack O' Lantern e alla festa celtica di Samhain, citato in questo articolo: “Jack’s Wagers
Tutti i libri pubblicati sono reperibili nello store Amazon.
 
Potere trovare Wirton Arvel anche su: Twitter, Facebook, Google+ e Goodreads.
Il sito di Wirton Arvel: http://www.wirtonarvel.com/
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Di Guest blogger (del 13/11/2014 @ 09:00:00, in Scrittura & pubblicazione, linkato 4803 volte)

Questa serie di guest post si chiude con un'altra nuova ospite: l'autrice Vanessa Navicelli, che partendo dalla sua esperienza ci spiega cosa significa scrivere per i bambini.

“I due anni sono l’inizio della fine”.
Questa è una delle frasi di J. M. Barrie (il papà di Peter Pan) che mi capita di citare più spesso. Dev’essere perché l’ho sempre condivisa.
Fino ai due anni, l’incanto è totale. C’è un candore, una spontaneità assoluta, un tenerissimo stupore di fronte ad ogni singola cosa, un senso del “qui e ora, non esiste altro” che credo rappresentino la vera felicità. L’Illuminazione che manco il più saggio Buddha avrebbe così chiara.
È quel periodo della vita in cui si è se stessi come non succederà mai più. Totalmente privi del desiderio di emulazione, o del desiderio di piacere, di essere “simpatici”, ecc. Un bambino di quell’età può stare anche un’ora a fissarsi un piede e a giocarci, senza preoccuparsi se a te interessa o no. Se tu lo trovi divertente o no.
Fantastico.
Dai due anni in poi, si comincia (lentamente all’inizio, e poi, col passare degli anni, sempre più velocemente) a perdere quello stato di grazia. Fino ad arrivare all’età adulta, quando nella maggior parte di noi, di quel periodo e della sua magia, restano solo vaghe e saltuarie tracce.
Che spreco! Eppure va proprio così…
 
Sono anche convinta, però, che si può far molto per evitare che la magia che c’è in noi nei primi anni vada perduta. E la narrativa per bambini è senz’altro un mezzo.
Io ho iniziato scrivendo storie per adulti (e lo farò ancora), ma a un certo punto mi sono accorta che, paradossalmente, potevo arrivare più vicina, più diretta anche agli adulti scrivendo storie per bambini.
 
Gli adulti spesso leggono per o assieme ai bambini (se non lo fanno: male, malissimo! Dovrebbero :) ). E mentre lo fanno, senza accorgersene, hanno le difese abbassate, perché cercano di mettersi ad “altezza di bambino”. Ecco perché diventano più ricettivi.
 
Un bambino non impara ad amare la lettura da solo. Come per le altre cose, segue l’esempio di chi ha attorno (vi vede spesso felici con un libro in mano? Penserà che è una bella cosa, vorrà provarla!)
Leggete ai bambini quando sono piccoli, da subito. Non importa se non capiranno tutto alla lettera, non deve essere quello il vostro primo obiettivo! Prenderanno confidenza con “l’oggetto libro”, lo assoceranno all’affetto che sentiranno nella vostra voce, e il suono (il potere) delle parole inizierà a mettere radici nei loro pensieri.
Regalate libri a un bambino (e prima possibile), sì. Ma regalategli anche la vostra compagnia. Che sia un momento di condivisione. Vedrete che arriverà presto il tempo in cui vorrà leggere per conto suo (com’è giusto e bello che sia), e questi, assieme, saranno ricordi preziosi.
 
Quando scrivi per i bambini, ti assumi una responsabilità. Pensi a come farli divertire, a come tener viva la loro attenzione, a usare un linguaggio che sia semplice senza essere banale, ma cerchi anche di trovare il modo per fargli imparare qualcosa (che siano delle parole nuove, o argomenti particolari).
Ad esempio, si può aiutare un bambino ad acquistare consapevolezza di sé, ma in maniera sana, senza che per questo perda la spontaneità. E la creatività. E lo stupore (diosolosa che dono prezioso è, lo stupore!)
[Che il bambino acquisti col tempo consapevolezza è importante. Perché, per quanto i due anni siano meravigliosi, è chiaro che se a dieci anni fosse ancora lì a fissarsi un piede per delle ore… ecco, be’, sarebbe un po’ preoccupante! :) ]
Lasciate che creda in Babbo Natale, nelle fate, negli unicorni, nelle fiabe il più a lungo possibile.
(E anche quando inizierà a pensare che… ehm… non è tanto sicuro che esistano – ! –, lasciate che gli resti il dubbio, in sottofondo – un bel, gioioso dubbio.)
 
Stabilire una fascia d’età per i libri… sì, certo, si può fare (per il marketing serve). Ma la verità è che è tutto incredibilmente relativo: dipende da un bambino all’altro, dall’interesse che ha già dimostrato o meno per la lettura, da come glielo leggono (se glielo leggono) gli adulti che ha attorno (perché un libro può essere letto in maniera neutra, può essere raccontato con partecipazione, può essere interpretato, quasi recitato cambiando voce a seconda dei personaggi…).
Dipende.
 
Ho scritto storie anche per bambini di età prescolare, ma il primo libro che ho pubblicato è per bambini della scuola primaria (dai 6 anni), “Un sottomarino in paese” (‘A Submarine in the Village’ nella versione inglese).
Volevo scrivere una storia che mi permettesse di raccontare il valore della pace ai bambini e di ricordarlo agli adulti. Una fiaba illustrata mi è sembrato un ottimo modo per farlo.
Le fiabe hanno un’immediatezza che permette di spiegare in maniera semplice e divertente concetti che voluminosi testi intellettuali impiegherebbero interi capitoli per far comprendere!
Ecco (come già accennavo) uno dei tanti motivi per cui è bello scrivere per i bambini: sai che potresti essere la prima a fargli conoscere un certo argomento, sai che magari i genitori (o gli insegnanti) inizieranno a parlargliene prendendo come spunto quello che hai scritto tu.
E poi io considero davvero un privilegio poter contribuire alla conservazione del mondo magico delle fiabe e dell’infanzia.
Ricordarsi sempre: i bambini sono spugne. Assorbono tutto e senza filtri. Sta a noi adulti cercare di fare in modo che assorbano il Bello. Educarli al Bello dovrebbe essere una delle nostre prime preoccupazioni.
 
L’adulto che sarà domani dipende in gran parte dal bambino che è oggi.
E il bambino che è oggi è nelle nostre mani…
 

 
VANESSA NAVICELLI è nata in provincia di Piacenza, ma da anni vive a Pavia.
È cresciuta coi film neorealisti italiani, con le commedie e i musical americani, coi cartoni animati giapponesi, coi romanzi dell’Ottocento inglese e coi libri di Giovannino Guareschi. (Be’, sì… anche coi suoi genitori.) 
Crede nella gentilezza. E nell’umorismo. (Forse è umoristico credere nella gentilezza…)
È stata finalista del Premio Letterario “La Giara”, indetto dalla RAI nel 2012 (rappresentante e vincitrice per la regione Emilia Romagna).
Ha vinto la sezione “Scritture per Ragazzi” dello Scriba Festival di Carlo Lucarelli e vari premi con la Scuola Holden di Alessandro Baricco. Il Premio Cesare Pavese e il Premio Giovannino Guareschi.
Scrive romanzi per adulti e ragazzi; e storie per bambini.
Quando scrive, cerca di tenere presente quattro cose: la semplicità, l’empatia, l’umorismo, la voglia vera di raccontare una storia.
Da quest’anno (2014) inizia la sua avventura come autrice indipendente, con la fiaba illustrata “Un sottomarino in paese” (ebook e cartaceo, italiano e inglese).
 
Leggete la sua biografia completa: http://vanessanavicelli.com/chi-sono
 
Visitate il suo sito: www.vanessanavicelli.com
 
Potete trovare Vanessa Navicelli anche su: FacebookTwitter, Pinterest, Youtube e Google+.
 
 
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Poco prima di Natale arriva anche l’ultimo evento dell’anno cui partecipo. È inserito all’interno di una serie di conferenze denominata “Scienza e fantascienza” e organizzata dall’Università degli Studi dell’Insubria (Varese) e dal prof. Paolo Musso, nell’ambito dei corsi da lui tenuti di Filosofia della Scienza e Scienza e Fantascienza nei Media e nella Letteratura. Alle conferenze partecipano scrittori (come me), fumettisti e scienziati. Gli eventi sono patrocinati da FantaScientificast, SETI Italia, Sergio Bonelli Editore, UraniaMania e ComicArte.
 
 
Il primo evento, “Godzilla e i suoi fratelli: gli alieni nel cinema di fantascienza”, si è tenuto lo scorso 5 novembre e ha visto l’intervento di Antonio Serra, creatore di Nathan Never.
 
Il secondo evento, “La vita nel cosmo tra scienza e fantascienza”, avrebbe dovuto aver luogo il 14 novembre con l’astronomo Giovanni Bignami e la scrittrice Giovanna Bellon, ma è stato rimandato a data da destinarsi (verrà presto recuperato).
 
Altri cinque eventi si terranno tra dicembre e gennaio, e tra questi c’è “Come raccontare degli alieni credibili, autopubblicarsi e avere anche successo”, che mi vedrà protagonista mercoledì 17 dicembre nel padiglione Morselli, aula 10 TM, in via Rossi 9 a Varese, a partire dalle 14.30.
 
Durante questa conferenza parlerò di come ho immaginato la possibilità di una vita aliena a partire dalle mie conoscenze nel campo dell’astrobiologia, di come abbia inserito questa mia idea all’interno della serie di fantascienza “Deserto rosso”. Coglierò l’occasione per parlare di self-publishing e dalle strategie da me messe in atto per raggiungere gli appassionati di questo genere, quasi ignorato dall’editoria tradizionale, e portare la mia serie a un discreto successo.
 
Gli altri quattro eventi sono:
Immaginare l’inimmaginabile: gli alieni nei fumetti di fantascienza” con Patrizia Mandanici (Sergio Bonelli Editore, disegnatrice di Nathan Never), il 3 dicembre;
A caccia di civiltà extraterrestri: il programma SETI” con Stelio Montebugnoli (Responsabile del SETI Italia) e Claudio Maccone (Direttore Tecnico della International Academy of Astronautics), il 10 dicembre;
Una nuova cosmologia: le scoperte della missione Planck sull’origine dell’universo” con Marco Bersanelli (Università degli Studi di Milano, Responsabile scientifico satellite Planck), il 21 gennaio 2015;
Una nuova fisica: la scoperta del bosone di Higgs e le sue conseguenze” con Lucio Rossi (Responsabile del progetto Alta Luminosità di LHC, CERN, Ginevra), il 28 gennaio 2015.
 
Gli eventi sono gratuiti e aperti a tutti.
È possibile scaricare la locandina a questo link, mentre nel sito dell’Università degli Studi dell’Insubria (pagina Eventi) è possibile leggere le ultime novità sulle conferenze.
 
Se siete nei pressi di Varese, o contate di esserci, il 17 dicembre, vi aspetto per parlare di alieni!
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Di Carla (del 25/11/2014 @ 22:22:48, in Lettura, linkato 2303 volte)

 Finalmente Chase rivela un po’ di sé al lettore
 
Dopo i mini-racconti delle raccolte di “Cutting Right to the Chase” e l’intrigante novella “Into the Killer Sphere” finalmente arriva il primo vero romanzo che vede Chase Williams come protagonista. Il nostro ex-detective di Scotland Yard preferito si trova a indagare insieme all’amico ispettore Angelo Alunni su due omicidi in quel di Tursenia, che coinvolgono delle giovani promesse olimpiche. I due casi sono separati nel tempo e apparentemente indipendenti l’uno dall’altro, ma alcuni dettagli li collegano, dando luogo a un intricato mistero che metterà ancora una volta alla prova le doti investigative del nostro Chase.
In questo romanzo corposo, la Mattana coniuga il classico giallo britannico, quasi impossibile da risolvere, dove il lettore ha tutto davanti agli occhi ma non è in grado di collegare i fili, con una sottotrama accattivante che getta un po’ di luce sul passato del protagonista. Cosa è accaduto a Chase a Londra? Quale terribile fatto l’ha spinto a lasciare il suo lavoro nella Polizia Metropolitana di Londra per ritirarsi a vivere in un luogo quasi sperduto in Toscana?
Mentre l’investigazione va avanti, impareremo a conoscere meglio Chase e ad affezionarci a lui, e a soffrire un po’ insieme a lui. Il finale è assolutamente perfetto: appaga il lettore e allo stesso tempo lo lascia col desiderio di leggere altro.
La Mattana dimostra in questo romanzo la sua ottima capacità di gestire una trama complessa mantenendo il difficile equilibrio tra lo sviluppo della storia e l’introspezione dei personaggi, che prendono vita, escono dalle pagine del libro e diventano amici del lettore, tanto che questo si ritrova ad attendere con impazienza il momento di tornare a leggere il libro per passare un po’ di tempo con loro.
E, adesso che ho finito di leggerlo, non mi resta che attendere il prossimo della serie, sperando che l’attesa non sia troppo lunga.
 
Questo libro è in lingua inglese!

Leggi tutte le mie recensioni e vedi la mia libreria su:
aNobii:
http://www.anobii.com/anakina/books
Goodreads: http://www.goodreads.com/anakina
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E se tutta la tua vita, tutti i tuoi ricordi, tutto ciò che sei fosse solo un inganno?
 
Con questo breve slogan vi presento il mio nuovo romanzo di fantascienza, “L’isola di Gaia”, che con un piccolo anticipo rispetto alla data di uscita prestabilita approda nei maggiori retailer di ebook.
 
Questo romanzo, che è la seconda parte del ciclo dell’Aurora, è ambientato almeno un secolo nel futuro rispetto a noi e ben 35 anni dopo le vicende narrate nella serie di “Deserto rosso”.
La storia si apre in uno scenario quasi alieno, ma allo stesso tempo terrestre, l’Antartide, dove in un luogo chiamato Hope un gruppo di persone vive costantemente sottoposto a un inganno.
Ma le loro vite stanno per cambiare per sempre.

Allontanandosi dalla fantascienza hard della serie marziana e avvicinandosi al cyberpunk, questo romanzo può essere letto indipendentemente da “Deserto rosso”, poiché introduce il ciclo dell’Aurora da una prospettiva diversa, presentando nuovi personaggi e nuove vicende.
Ma chi ha letto “Deserto rosso” distinguerà tanti dettagli familiari e avrà il vantaggio di conoscere dei fatti di cui i protagonisti del romanzo sono del tutto all’oscuro. E, infine, ritroverà qualche vecchia conoscenza, sebbene solo in un breve cameo.
 
Nel giorno della sua uscita Tom’s Hardware Italy dedica un articolo a “L’isola di Gaia” (che potete leggere qui), in cui definisce la sua storia come “il futuro come non lo avete mai immaginato”.
 
Se volete conoscere anche voi questo futuro, scoprite “L’isola di Gaia”, disponibile in ebook su Amazon, GiuntiKobo, inMondadori, laFeltrinelliGoogle Play, iTunes, Nook (app Win8.1), Tolino (tramite l'ereader) e Smashwords a partire da 3,49 euro.
 
È disponibile inoltre in edizione cartacea a partire da 11,99 euro su Amazon, Giunti e inMondadori.
 
Ecco la descrizione del libro.
 
Nel ventiduesimo secolo le conseguenze di un improvviso evento catastrofico di portata globale avvenuto pochi anni prima ha alterato profondamente le priorità di nazioni e governi e ha dato una grossa spinta verso un maggiore sviluppo tecnologico, con un particolare interesse nei riguardi della conquista dello spazio.
Ma per quanto l’Agenzia Spaziale Internazionale sia in grado di costruire mezzi sempre più sofisticati per andare ben oltre i confini del sistema solare, ciò che impedisce veramente all’umanità di compiere lunghi viaggi verso altri mondi è la sua stessa natura fisica, perfezionata per vivere sulla Terra e inadatta ad affrontare per molti anni le condizioni estreme dello spazio profondo.

Gli scienziati inglesi Gabriel Asbury e sua moglie Elizabeth Caldwell hanno, però, trovato un modo per ovviare a questo problema: migliorare l’Uomo stesso.

Tra cambiamenti climatici, transumanesimo e tecnologie per l’esplorazione spaziale, visiterete l’isola di Hope e insieme ai protagonisti tenterete di svelare la verità che si cela dietro il suo mistero.
Ma attenti, perché tutto ciò che pensate di sapere potrebbe essere solo un inganno!
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In concomitanza con l’uscita de “L’isola di Gaia”, avvenuta lo scorso 28 novembre, su Tom’s Hardware è stata pubblicata una bellissima recensione del libro col titolo “L’isola di Gaia: il futuro come non lo avete mai immaginato”, in cui Elena Re Garbagnati, evitando con cura anticipazioni sulla trama, presenta alcune tematiche del romanzo.
 
 
Ringrazio ancora una volta Elena Re Garbagnati per il suo interesse nei confronti del libro, tanto da volerlo leggere in anteprima, e soprattutto per la tempestività con cui ha pubblicato la recensione.
 
E sempre nello stesso giorno ho avuto la fantastica sorpresa di vedere “Deserto rosso” citato nella guida ai regali di Natale suggeriti da Tom’s Hardware nella categoria libri fantasy, classici e di fantascienza, accanto a nomi come (solo per citarne alcuni) Adams, Asimov, Dick e Tolkien!
A questo proposito il mio ringraziamento va a Valerio Porcu, che nello stilare questa lista ha incredibilmente pensato di inserire la mia serie marziana.
 
Infine ringrazio tutte le persone che dopo aver letto questi articoli hanno poi acquistato uno o entrambi i miei libri. Spero che vi divertirete a viaggiare su Marte e in Antartide!
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