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 Giant's Causeway, Irlanda del Nord... di Carla
 

“Il fatto che le nostre specie sono nemiche non significa che anche tu e io dobbiamo esserlo.” Per caso

 

Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Carla (del 08/09/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2424 volte)

 Chi ha ucciso Edward Kitchener?
 
Il secondo libro della trilogia di Greg Mandel è per certi versi un vero e proprio giallo. Gli elementi ci sono tutti: un morto, un luogo isolato, un numero ristretto di possibili colpevoli, molti dei quali avrebbero avuto un buon motivo per ucciderlo, e apparentemente non è stato nessuno di loro. Per riuscire a capire chi è l’assassino, devi scegliere il meno probabile, ma non puoi in alcun modo immaginare cosa ci sia sotto. L’elemento fantascientifico è quello che fa la magia, lasciandoti a bocca aperta.
Come sempre nei libri di Hamilton i personaggi sono credibili e ben approfonditi, e persino simpatici. La sua prosa elegante ti coinvolge trasportandoti nella loro mente e mostrandoti la realtà attraverso i loro occhi.
Il romanzo però non regge il confronto col primo. Eliminata la sorpresa nello scoprire e comprendere a fondo le capacità di Mandel, fornitegli dalla sua ghiandola, l’autore ha dovuto creare una nuova storia slegata alla precedente, tanto che il romanzo starebbe in piedi da solo. Ciò è reso anche possibile dai numerosi riassunti sugli avvenimenti passati e sulla situazione storica e politica, che da una parte rallentano il libro e dall’altra annoiano il lettore che si era già sorbito tutte quelle spiegazioni in “Mindstar Rising”. Capisco la necessità di metterli, ma non quella di farli così lunghi.
Nonostante l’intricato caso trattato in questo romanzo sia completamente nuovo, ho trovato troppi elementi simili al libro precedente che mi hanno provocato un senso di déjà-vu. Ci sono troppe descrizioni. Nel primo libro erano essenziali, perché il lettore stava conoscendo un nuovo mondo. Nel secondo diventano pesanti. In generale, a esclusione dell’ultima parte, che ha un ottimo ritmo, il libro presenta un’azione molto lenta (succedono relativamente poche cose per un libro di 376 pagine scritte in caratteri microscopici) e nel contempo non riesce sempre a tenere il lettore interessato con elementi nuovi e originali.
L’ultimo capitolo, però, è molto carino e risolleva il mio giudizio sul libro.
 
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Di Carla (del 05/09/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2176 volte)

 Fantascienza hard d’altri tempi
 
So bene di trovarmi al cospetto di un classico della fantascienza scritto negli anni ’50 del secolo passato, ma sono ovviamente costretta a giudicarlo in base ai miei gusti di lettrice di questi tempi.
Si tratta di uno dei primi esempi di fantascienza hard, cioè che cerca di basarsi sulla scienza reale, ma, essendo un romanzo del 1951, la maggior parte della scienza è sorpassata. Quindi va presa così com’è.
La storia suona fredda e lineare, nonostante ci siano dei passaggi che sulla carta dovrebbero emozionare, sia riguardo alla sfera personale del protagonista sia riguardo agli eventi avventurosi e le scoperte di cui è testimone. Ciò fa sì che il romanzo appaia come un resoconto che non coinvolge durante la lettura.
La contemporanea presenza di questi due aspetti purtroppo non mi ha fatto apprezzare il libro.
Ho letto altri classici che raccontano un Marte totalmente diverso da ciò che poi si è rivelato essere, ma il modo in cui erano scritti li rendeva comunque godibili, poiché mi permettevano di emozionarmi insieme al protagonista, penare con lui. Si creava un forte legame lettore-protagonista che superava tutte le assurdità scientifiche e gli aspetti anacronistici della storia.
In questo libro non sono riuscita a creare questo legame. L’ho trovato semplicemente noioso e temo che non mi abbia lasciato nulla alla fine della lettura.
So bene che questo è un rischio che si corre leggendo i classici, poiché alcuni di essi sono lo specchio di un tipo di narrativa molto diversa da quella contemporanea e che di conseguenza non a tutti piace al giorno d’oggi. Sicuramente non a me.
Ho comunque apprezzato alcune suggestioni generate dall’ambientazione fantasiosa.
L’edizione che ho letto è anche il n. 1 di Urania e non so fino a che punto si discosti dal testo originale (so che c’è stato un certo rimaneggiamento durante la traduzione). Magari avrei apprezzato di più il libro nel complesso o almeno la prosa di Clarke nella versione originale.
 
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Di Carla (del 01/09/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3475 volte)

 Il primo Bosch non si scorda mai
 
Non avevo mai letto nulla di Connelly in passato e ammetto che sono stata attratta da questa serie, poiché è stata portata alla mia attenzione dall’esistenza di una trasposizione televisiva prodotta da Amazon Studios. A parte ciò non sapevo nulla del protagonista, Harry Bosch, né avevo letto la trama di questo primo romanzo. Ho solo deciso di prenderlo e leggerlo, per poi rimandare i giudizi a dopo.
Be’, è stato un colpo di fulmine.
Sono subito riuscita a creare un forte legame con questo personaggio così pieno di difetti da essere un perfetto anti-eroe. Harry beve troppo, fuma troppo, dorme poco, mangia poco, è indisciplinato, cosa che l’ha portato a venire esiliato nella Omicidi di Hollywood. Ma Harry è scaltro, testardo, dotato di un grande intuito, che in passato gli ha procurato notevole successo. Nonostante la sua vita sia diventata problematica, fa di tutto per portare a termine il proprio lavoro, in particolare, come accade in questo libro, se si rende conto che in qualche modo è finito pure lui coinvolto nel caso.
Infatti non ci troviamo di fronte a un giallo, ma a un crime thriller. Il grado di coinvolgimento del protagonista sia con la vittima che con uno dei responsabili della sua morte lo rende parte integrante della trama principale, facendo sì che il personaggio subisca una crescita lungo l’arco della storia.
È anche vero che la delusione cui incorre (non specifico a che proposito per evitare spoiler) potrebbe bloccare questo processo e fare in modo che il personaggio si ripeta tale e quale nei libri successivi, ma l’esistenza di una sottotrama complessa mi fa ben sperare.
Ho trovato molto interessante la ricostruzione storica relativa ai topi delle gallerie in Vietnam. Una cosa che apprezzo parecchio nei romanzi che leggo è la loro capacità di insegnarti qualcosa di inatteso e “La memoria del topo” ci è riuscito.
Inoltre è suggestivo leggere una storia ambientata in un periodo in cui la gente usava ancora il telefono fisso per comunicare, non c’erano i cellulari e l’accesso ai computer era difficile persino per un detective della polizia. Tutto ciò rende l’investigazione più complessa e avvincente.
L’introspezione del personaggio è magnifica. Non si può non amarlo e non volerne sapere di più.
La trama è superintricata, non scade mai nella banalità, costringendoti a leggere con estrema attenzione tutto il romanzo.
La struttura in lunghe parti (suddivise nei pochi giorni in cui si svolge la storia) ti spinge a leggere il più possibile e così il romanzo scorre via veloce, nonostante il numero consistente di pagine.
Personalmente poi l’ho trovato di grande ispirazione durante la scrittura di un mio libro caratterizzato da un mood simile e questa scoperta è stata per una la ciliegina sulla torta che ha reso la lettura ancora più soddisfacente.
Insomma, in generale posso dire che si tratta di un gran bel romanzo e senza dubbio leggerò anche i successivi.
 
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Di Carla (del 29/08/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3289 volte)

 Mai lasciarsi ipnotizzare!
 
Questo breve thriller paranormale è un’altra piccola perla dell’estesa produzione letteraria di Matheson. Pur essendo un’opera abbastanza breve, riesce a essere un libro completo, grazie alla capacità dell’autore di usare un ritmo veloce, che non si perde in troppe chiacchiere, ma riesce a sintetizzare in uno spazio ristretto una trama complessa.
Come sempre nei suoi libri non hai idea di cosa possa succedere dopo, poiché è difficile etichettarli e quindi risalire dal genere al tipo di trama. Il suo muoversi con disinvoltura tra il fantascientifico e la fantasia pura fa sì che il lettore non sappia cosa attendersi quando prende in mano un suo libro.
Nonostante il romanzo sia datato, la prosa suona contemporanea (anche grazie anche alla traduzione).
Il personaggio principale, Tom, che dopo essersi lasciato ipnotizzare inizia a vedere e sentire cose strane, è caratterizzato da grande ironia e un pizzico di follia, che lo rendono affascinante. Forse i protagonisti di molti dei suoi libri tendono ad assomigliarsi, ma ciò non li rende meno interessanti.
L’unico aspetto negativo che riesco a individuare è la scelta del titolo italiano, che vuole evidentemente ricordare una sua opera più famosa, “Io sono leggenda”. È una scelta di marketing davvero pessima, poiché i due libri appartengono a generi abbastanza diversi e potrebbero attirare lettori con gusti differenti.
 
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Di Carla (del 25/08/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2495 volte)

 Una realtà dura, struggente, imperdonabile
 
Questo romanzo mi ha catturato dalla prima pagina, grazie alla bella prosa, fantasiosa, evocativa e particolarmente ispirata dell’autrice, caratterizzata da un vocabolario ampio e un uso originale delle parole.
È facile immedesimarsi nei personaggi, anche quando nulla hanno in comune con chi legge, e nelle loro miserie, interiori ed esteriori. È impossibile non rimanerne colpiti e a volte a nauseati nel comprenderne le implicazioni.
Il colpo di scena finale non è del tutto inatteso, aleggiava lungo il libro, ma ti raggiunge quando ormai non ci pensi più, distratto da altro.
Il motivo per cui non riesco a dare più di quattro stelle a questo romanzo è che non ho apprezzato la scelta di mostrare gli eventi della storia prima dal punto di vista di un personaggio e poi da quello dell’altro (mi riferisco ai due protagonisti: Alice e Nico). Le porzioni delle scene completamente sovrapposte erano troppe. Ogni volta si tornava indietro, mentre io volevo sapere cosa sarebbe successo dopo. L’utilizzo di questa tecnica allunga il testo, ma non porta avanti l’azione. Mi ha indotto più volte a interrompere la lettura e sono stata tentata di abbandonare del tutto il libro.
Ho inoltre trovato molto difficile seguire i dialoghi in dialetto, che in alcuni casi erano per me totalmente incomprensibili.
 
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Di Carla (del 22/08/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2411 volte)

 Strano, ma divertente
 
La fantascienza classica è un universo variegato che riserva interessanti scoperte. Una di questa è senza dubbio “Memorie di una astronauta” (o “Memorie di un’astronauta donna”, secondo l’edizione) di Naomi Mitchison, uno strano e folle libro in cui una donna astronauta racconta le vicende di cui è protagonista in maniera discorsiva.
L’autrice mostra una fantasia esagerata nell’inventarsi i mondi e gli alieni più bizzarri e nell’intessere trame imprevedibili all’interno dei singoli episodi narrati. Il personaggio principale è Mary, un’esperta di comunicazioni che ha l’occasione di mettere in pratica le proprie conoscenze nei modi più disparati. Lo stile è colloquiale, dando l’impressione che Mary ti stia raccontando la sua vita, mentre vi fate quattro chiacchiere.
In linea generale il libro mi è piaciuto, altrimenti non gli avrei dato quattro stelle, ma ci sono alcuni aspetti che mi hanno impedito che aggiungessi la quinta.
Purtroppo si vede parecchio il passaggio del tempo (il romanzo è del 1962), soprattutto nel modo assurdo in cui viene immaginata vita sessuale del futuro. A quanto pare, viene ritenuto “moderno” o “futuristico” che le persone abbiano rapporti sessuali con l’unico scopro di procreare, ma non necessariamente per creare una relazione stabile (i figli li cresce qualcun altro), e che la parte di intrattenimento relativa al sesso sia passata di moda, poiché tutti sono impegnati a esplorare mondi e fare ricerca scientifica. Il sesso per le donne diventa un passatempo che serve a fare figli in grande numero (non si capisce come ciò possa essere accettabile, vista la sovrappopolazione) da vari padri. E basta. Al massimo dopo una certa età, quando vanno in pensione, decidono di prendere uno di questi padri come compagno definitivo.
Che cosa triste!
A questo aspetto che mi ha reso estremamente difficile la sospensione dell’incredulità, si aggiunge lo stile colloquiale, che non favorisce l’immedesimazione nella testa della protagonista.
È comunque una lettura interessante e gradevole, in particolare per chi ama immergersi nella fantascienza un po’ ingenua e “vintage”, e rendersi conto quanto questo genere letterario possa essere vario e come si sia evoluto in tutti questi anni.
 
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Di Carla (del 11/08/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2889 volte)

 Un altro inganno del maestro
 
Spesso Crichton si è divertito a scrivere i propri libri in modo che sembrassero delle storie vere di cui stesse facendo un puro resoconto. L’attenzione che pone nelle finte introduzioni o prefazioni è tale che alla prima lettura non ci si accorge che esse stesse sono l’inizio del romanzo.
È quello che accade anche in “Mangiatori di morte”, in cui l’autore finge di tradurre il manoscritto del protagonista, Ibn Fadlan. Il suo intento è perfettamente riuscito. Il testo sembra davvero scritto dal personaggio storico, che in realtà non è mai esistito, sia per lo stile sia per le parti mancanti, che vengono spiegate come se davvero il libro fosse frutto di un lavoro di ricostruzione. Si tratta in realtà di un’opera di finzione in parte ispirata alla storia di Beowulf.
Nonostante lo stile reso volutamente datato, la trama è avvincente e apre uno squarcio di conoscenza sulla civiltà dei normanni, vista da quella allora più civilizzata di un arabo proveniente da Baghdad. Dopo il tempo necessario a adattarsi è questo tipo di narrazione, a un certo punto riuscivo addirittura a vedere le scene formarsi davanti agli occhi, tale era l’interesse che suscitavano in me.
All’interno della storia l’autore riesce anche a inserire qualcosa di scientifico che la rende ancora più affascinante: l’incontro con un ominide (forse) ancora esistente a quei tempi.
Il finale troncato è una genialata e aggiunge ulteriore credibilità all’inganno di Crichton, che con questo romanzo mostra ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, di essere un grande narratore.
L’unico aspetto negativo di questo libro è che, avendolo letto, si è ridotto ulteriormente il numero delle opere che mi sono rimaste da leggere di questo autore che ci ha lasciato troppo presto.
 
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Di Carla (del 08/08/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2932 volte)

 Un’eredità maledetta
 
Sebbene si tratti dell’ennesima storia di un complotto nazista ambientato decenni dopo la fine del Nazismo, questo romanzo di Ludlum sa essere originale e intrigante. Il protagonista, Noel Holcroft, mi ha catturato da subito. È facile sentirsi legati a lui e preoccuparsi per lui nel rendersi conto di come si stia infilando nei guai. L’autore, infatti, mostra il dipanarsi della storia da vari punti di vista e il lettore è sempre un passo avanti rispetto ai personaggi, sia buoni che cattivi.
Anche in questo romanzo si ripropone lo schema vincente, già visto nella trilogia di Bourne, di un protagonista maschile fisicamente forte ma in difficoltà e di quello femminile che lo aiuta (e infine si innamorano).
Come unico aspetto negativo ho rilevato la presenza del solito cliché dei nazisti supermalvagi e folli, che compiono le peggiori nefandezze senza il minimo rimorso e che hanno dei seguaci disposti pure a uccidersi per la causa. Nello sviluppo di questo concetto sfugge quale sia la causa che perseguono, a parte la loro follia. Possibile che siano tutti folli? Ci potrà pure essere qualche folle, ma almeno qualcuno dovrebbe avere altre motivazioni, come la sopravvivenza (almeno) o un proprio tornaconto. Il lavaggio del cervello come unico motore delle azioni appiattisce irrimediabilmente i personaggi negativi, sminuendo di riflesso quelli positivi.
Per fortuna il romanzo termina con un finale aperto assolutamente imprevedibile che fa dimenticare tutti i cliché.
Altra nota positiva è la traduzione, sicuramente molto più curata e gradevole di quella dei libri su Bourne.
 
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Di Carla (del 05/08/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 2694 volte)

 Il ritorno del violagiorno
 
Avevo apprezzato parecchio l’originalità de “Il sistema Dayworld” e mi ero divertita a leggerlo. Questo suo seguito e secondo libro della trilogia non mi ha del tutto convinto, almeno non quanto il precedente.
Come sempre Farmer mostra di avere una fantasia galoppante e il suo world building è molto accurato. Pur essendo un seguito, a causa del cambio di ambientazione ha dovuto reinventare da capo i luoghi in cui si svolge la storia, proiettando il lettore in una Los Angeles distopica che va oltre ogni immaginazione.
Jeff Caird, infatti, lascia Manhattan e con una nuova identità, che si aggiunge alle sette precedenti, scappa sulla costa occidentale. Tutti lo cercano, poiché uno dei suoi alter ego custodisce un segreto che può ribaltare l’intero sistema.
La storia che riprende esattamente dal punto in cui è finito il primo libro necessita assolutamente della lettura di quest’ultimo per essere compresa a fondo. Devo dire che le serie in cui è obbligatoria la lettura in ordine dei romanzi sono le mie preferite, quindi si tratta senza dubbio di un aspetto positivo.
Il protagonista sa ancora una volta essere coinvolgente per la sua fallibilità e follia, e la trama è del tutto imprevedibile. Non hai la più pallida idea di cosa attenda i personaggi nella pagina successiva né riesci a immaginare un epilogo possibile all’intera storia.
Purtroppo, però, non posso dare il massimo dei voti a questo romanzo, perché ci sono alcuni aspetti che non mi sono piaciuti.
La trama è infarcita di intrighi negli intrighi, creando una complessità che definirei sterile. Inoltre, il distacco necessario dalla struttura del primo libro costringe l’autore a inventarne una nuova che non risulta altrettanto vincente.
Infine, si sente che si tratta del libro intermedio di una trilogia e quindi soffre il suo essere un racconto di transizione.
A questo punto devo procurarmi l’ultimo per sapere come va a finire!
 
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Di Carla (del 01/08/2016 @ 09:30:00, in Lettura, linkato 3244 volte)

 (Quasi) nessuno è come Bourne
 
Il secondo libro della trilogia originale di Jason Bourne si distacca parecchio da ciò che abbiamo visto nel primo. Una volta risolto il dilemma dell’identità del protagonista, Ludlum ci propone nuovi scenari, minacce e sfide per il nostro superagente segreto.
Per il lettore, il ritrovare con piacere i vecchi personaggi si mescola con la necessità di rimanere attento nella lettura per comprendere l’ingarbugliato intrigo che li vede protagonisti. Ludlum ci fa fare un tuffo nella Cina degli anni ’80 e nei meccanismi sociopolitici del tempo, di cui mostra una profonda conoscenza. Magari non li capiamo tutto, ma ne ricaviamo un quadro generale che appassiona e inquieta, e che senza dubbio fa la felicità di qualsiasi amante delle spy story (come me!).
A ciò si aggiunge il fascino intramontabile di Webb/Bourne, l’eroe danneggiato, sull’orlo della follia (parola che Ludlum usa molto spesso!), folle e fragile, non infallibile, che sa essere freddo, ma anche amare con profondità. Accanto a lui il personaggio di Marie (il mio preferito dopo lo stesso Bourne), come pure quello di Alex e Mo, sono ugualmente centrali nella storia e coinvolgenti. E sono soprattutto essenziali per richiamare il protagonista alla realtà, per saper mettere da parte il Bourne che c’è in lui e tornare a essere David Webb.
Unico aspetto per così dire negativo è la presenza di alcuni passaggi un po’ lenti e qualche inutile ripetizione di ciò che è accaduto nel primo libro.
L’edizione, purtroppo, non è affatto buona. La traduzione è talvolta letterale. Ho letto altri libri di Ludlum con una traduzione in grado di evidenziare la sua bella prosa. Questi di Bourne purtroppo avrebbero bisogno di una revisione, se non altro per eliminare i refusi. Dopo trent’anni sarebbe il caso di farne una, invece di limitarsi a modificare la copertina quando si pubblica una nuova edizione.
Una curiosità sulla scrittura di Ludlum: nei suoi libri non appare alcun tipo di linguaggio volgare, preferisce usare eufemismi e metafore, eppure, stranamente, non si risparmia con le bestemmie. Tutti i personaggi, dal primo all’ultimo, almeno una volta invocano Dio, Gesù o Cristo (o varianti), ma non dicono una sola parolaccia!

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