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 Luna... di Carla
 

"Devi scegliere, Anna: la tua scoperta o la Terra." Deserto rosso - Nemico invisibile

 

Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Carla (del 03/04/2014 @ 15:00:00, in Lettura, linkato 3015 volte)

 Tragico e insensato
 
Si tratta di fatto di una novella, più che di un romanzo. In Afghanistan una donna veglia al capezzale del marito in coma e inizia a parlare con lui, che non può sentirla, rivelandogli indicibili segreti. Molto particolare l’idea di raccontare la storia come se nella stanza ci fosse una macchina da presa che registra immagini e suoni. Non possiamo vedere cosa accade al suo esterno, al massimo possiamo sentire in lontananza i rumori. I temi trattati sono sicuramente controversi anche se purtroppo non ci stupiscono più. Lo stile dell’autore è indubbiamente bello, eppure questa storia non mi ha soddisfatto. La scelta di questo particolare punto di vista esterno toglie respiro alla narrazione, la rende troppo limitata. Mi sono chiesta cosa pensasse realmente la protagonista e avrei voluto vedere un po’ fuori da quella stanza.
Ma ciò che mi ha spiazzato e ha determinato il mio giudizio è il finale, che potrebbe essere definito, a scelta del lettore, privo di senso o poetico. Opto per la prima soluzione, poiché stiamo parlando di un libro di prosa non di poesia e ritengo che rifugiarsi nella bellezza della scrittura per evitare di dare plausibilità al finale del proprio libro sia solo una facile scorciatoia.
 
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Di Carla (del 10/04/2014 @ 15:00:00, in Lettura, linkato 4596 volte)

 Nessuno è come Jason Bourne
 
Partiamo dal presupposto che quello di Jason Bourne è uno dei miei personaggi cinematografici preferiti. Dopo aver visto tutti i film finora usciti di questa serie, ho pensato che fosse arrivato il momento di iniziare a leggere i libri di Robert Ludlum, anche perché dato il divario cronologico tra questi e le pellicole immaginavo che fossero ben diversi. E infatti è così. A parte alcuni punti salienti della trama, ci troviamo di fronte a storie completamente diverse frutto del panorama sociopolitico in cui sono ambientate.
Avvicinarsi a un libro degli anni ’70 (del 1979, per l’esattezza) non è sempre facile, poiché subito si notano alcuni aspetti antiquati del linguaggio e anche delle ambientazioni che si discostano a ciò cui siamo abituati, soprattutto per persone come me che all’epoca erano molto piccole e non hanno ricordi di prima mano. Ci sono però libri, come questo, che sono senza tempo. Anche se il modo di narrare indubbiamente cambia nei decenni, certi autori sono già avanti rispetto ai propri contemporanei. Uno di questo è il compianto Ludlum, che con questo suo primo libro della serie mi ha letteralmente catturato. Il personaggio di Bourne che soffre di amnesia e teme di essere una pessima persona ha fatto subito breccia nel mio cuore. Che volete farci? Ludlum è così bravo a immergerci nelle sue paure e nei suoi dubbi che non si può non amare questa sua “creatura”. Fragile e letale, spietato e tenero, Bourne ci catapulta in una lunga avventura tra Svizzera, Francia e Stati Uniti, in cui la differenza tra i buoni e i cattivi si fa sottile, facendo precipitare il personaggio in un baratro sempre più profondo. A ogni istante temiamo per lui, sia per ciò che può capitargli, sia per ciò che potrebbe scoprire riguardo al suo passato.
È un romanzo bello lungo che si legge in un fiato, di quelli che aspetti per tutta la giornata l’opportunità di riprendere in mano.
Unica nota un po’ stonata, anche se alla fine ti abitui, è il linguaggio spesso obsoleto della traduzione, altrettanto datata. Il continuo chiamarsi a vicenda con “caro” e “cara” di Jason e Marie è poco credibile. A tratti anche qualche altro passaggio risente del passare del tempo.
A questo aggiungerei una certa quantità di refusi che, trattandosi di una traduzione vecchia di decenni, non possono essere in alcun modo giustificati. Danno piuttosto l’impressione che come sempre si sia ripreso un vecchio testo e dato in pasto alla stampa senza preoccuparsi di passare attraverso un correttore di bozze.
 
 
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Di Carla (del 17/04/2014 @ 19:07:22, in Lettura, linkato 2381 volte)


 Oltre l'apparenza

Deliziosa novella tra il giallo italiano e la commedia, impreziosita da un titolo accattivante. L'aspetto investigativo lascia molto spazio a quello più leggero delle caratterizzazione dei personaggi e della loro ironia. Situazioni di tutti i giorni raccontate con uno stile gradevole, le stesse situazioni in cui si può celare un delitto tanto tremendo quanto ordinario.
Forse non è difficile scoprire l'identità dell'assassino. I sospettati non sono tanti e, più per esclusione che per via delle prove che saltano fuori solo all'ultimo momento, si arriva a capire chi è il colpevole, ma il bello del libro è come questa semplice storia è stata confezionata, lasciandoti alla fine della lettura con il sorriso sulle labbra.

L'ebook purtroppo non è più disponibile per l'acquisto, ma potete trovare altri libri di Teresa Angelico su Amazon.it (e Amazon.com).

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Di Carla (del 29/04/2014 @ 15:00:00, in Lettura, linkato 2616 volte)

 Nazismo ed esoterismo
 
Novella molto particolare che miscela avventura con Nazismo esoterico. Quest’ultimo non è certo un tema nuovo, ma è sicuramente originale il modo in cui l’autore mescola storia e mitologia creando una storia ricca di avventura negli scenari mozzafiato della foresta amazzonica, dove personaggi tutt’altro che positivi (ex-SS e fascisti), alcuni dei quali affatto simpatici, sono impegnati in una ricerca misteriosa dai risvolti cruenti e horror.
Girola è bravo a costruire una trama complessa e ben documentata in un testo relativamente breve che si presta a una sessione unica di lettura. La lunghezza ridotta è uno degli aspetti vincenti di questo libro, che ne permettono la fruizione in breve tempo e con notevole soddisfazione anche a chi, come me, non ama le tematiche trattate e difficilmente avrebbe letto un lungo romanzo che vertesse su di esse. Nonostante ciò è stata una lettura molto piacevole che mi sento di consigliare caldamente, anche solo per provare qualcosa di diverso.
 
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Di Carla (del 01/05/2014 @ 15:00:00, in Lettura, linkato 2440 volte)

 Deliziosa novella paranormale
 
Cody è un mutaforma che vive in una dimensione parallela chiamata “The Realms” dove accanto agli esseri umani si trovano creature paranormali di ogni tipo. È finito laggiù dopo essere morto nel mondo reale ed è per sempre condannato ad avere l’aspetto di un adolescente, tranne quando muta in lupo. La sua non-vita subisce un drastico cambiamento quando conosce l’umana Simone e se ne innamora, ma lei non conosce il suo segreto.
Graziosa storia d’amore platonico rivolta a pubblico giovane ma godibile per i lettori di tutte le età che non hanno smesso di sognare. Theresa Snyder ha un’incredibile capacità di parlare al cuore del lettore e coinvolgerlo in qualsiasi storia scriva, indipendentemente dal genere.
Non mi capita spesso di leggere storie paranormali, ma da sempre sono attratta dal genere gotico e vederlo presentato in questa veste soft mi ha particolarmente divertito.

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Di Carla (del 14/05/2014 @ 15:00:00, in Lettura, linkato 3098 volte)

 Affascinante, coinvolgente, amaro
 
Ammetto di essere affascinata dai libri che narrano di storie lontane da me, non solo dal punto di vista geografico, ma soprattutto da quello culturale. Questo romanzo di Tahmina Anam che racconta il Bangladesh degli anni ’80 (con qualche piccolo scorcio dei ’70) è uno di quei libri che finisce per attrarmi già dalla copertina e dalla promessa di una storia “esotica” che questa suggerisce. Solo durante la lettura ho scoperto che si trattava del secondo libro di una trilogia, ma si può apprezzare tranquillamente senza aver letto il precedente.
Come sempre, quando affronto tali storie, provo dei sentimenti contrastanti. C’è la tendenza a voler trovare al loro interno dei riferimenti che in qualche modo richiamino ciò che conosco. In questo senso mi sono subito immedesimata nel personaggio della protagonista, Maya, una donna moderna, vicina alla nostra idea occidentale di donna, nonostante venga raccontata in un Paese e in un tempo relativamente lontano (trent’anni sono tanti). Accanto a lei ci sono piccoli dettagli, come sua madre che guarda “Dallas” alla TV, esattamente come facevo io a quei tempi da bambina.
Il resto è per gran parte diverso, quasi alieno, a tratti inquietante. Il fratello diventato da ateo a fanatico religioso, dopo la guerra, chiusosi ostinatamente nel suo mondo arretrato, trascinandoci dentro suo figlio Zaid, fa arrabbiare. Il suo modo di essere sordo di fronte ai suoi cari sconvolge e incuriosisce, poiché porta a chiedersi perché sia diventato così e a voler trovare insieme alla protagonista ancora in lui un barlume dell’uomo che era stato prima. Il desiderio mai soddisfatto di comprendere cosa passi nella sua testa ci accompagna per gran parte del libro.
E poi ci sono le vicende personali e sentimentali di Maya che rappresentano alla fine l’unico aspetto confortante della storia una volta giunti alla sua conclusione.
Il tutto ci viene mostrato con una prosa evocativa e intensa, unita a un gioco di flashback che come le tessere di un puzzle ricostruiscono la storia di Maya e Soheil, sullo sfondo di un Paese lontano, difficile da comprendere e immaginare, in una realtà impietosa dove non c’è posto per un lieto fine, ma solo per la speranza.
Nonostante abbia letto questo libro con grande piacere, nonostante mi sia lasciata trasportare con estrema facilità dalle sue parole, e nonostante abbia deciso di dargli il massimo dei voti, di certo non leggerò quello precedente né il seguito. L’autrice è talmente brava nel farci vivere le sue storie che preferisco non andare avanti, poiché non riesco proprio a sopportare quel serpeggiante senso di amarezza che è rimasto in me nel leggerle.
 
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Di Carla (del 28/05/2014 @ 06:26:51, in Lettura, linkato 3029 volte)

 Stava per osare, ma poi non ce l’ha fatta neanche stavolta
 
Ho letto quasi tutti i libri di Nick Hornby. Lo trovo per certi versi geniale. È capace di prendere dei personaggi (quasi) normali in ambientazioni comuni e tirarne fuori delle storie che non avresti ma in alcun modo pensato. La sua è una fantasia che si muove fuori dagli schemi. Le situazioni che racconta sono inusuali ma plausibili. I suoi personaggi sono vivi nella nostra mente. E tutti ci fanno ridere, talvolta fino alle lacrime, per le cose fanno o che dicono.
Anche in questo “Juliet, Naked” (Tutta un'altra musica) Hornby tira fuori il meglio di sé. Racconta la storia di una rockstar dimenticata e della compagna di uno dei suoi pochi inossidabili fan (che rasenta l’ossessione). Due personaggi lontanissimi, non solo geograficamente, che grazie a internet entrano in contatto.
Il personaggio dell’ex rocker Tucker è così ben costruito, con tanto di pagina di Wikipedia, che ti viene quasi il dubbio che sia esistito davvero un musicista famoso con quel nome negli anni ’80. Nonostante l’assurdità oggettiva della storia, dovuta a un eccesso di eventi e personaggi inusuali, la sospensione dell’incredulità è totale.
Eppure anche questo romanzo di Hornby, come quasi tutti, sembra perdersi nel finale. Dopo aver ecceduto senza farsi tanti scrupoli per tutto il libro, non riesce a osare nel chiuderlo. Diversamente da altri romanzi in cui è caduto in una conclusione buonista, dove i personaggi tornano alla normalità, dopo la follia della storia, qui l’autore si lascia andare a un finale aperto. Questo di per sé non sarebbe affatto male. Io adoro i finali aperti, il problema di questo è che però Hornby non prova neppure a dare una vera indicazione della direzione verso cui, verosimilmente, la situazione si evolverà. Eccetto forse ancora una volta la conclusione scontata, da nulla di fatto. E mi sorge di nuovo il dubbio che si ripresenta ogni volta: non sarà forse che l’autore non sapeva proprio come finirla questa storia?
 

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Di Carla (del 04/06/2014 @ 23:16:37, in Lettura, linkato 3685 volte)
Più riguardo a Next


 Fantasia che potrebbe già essere realtà

È sempre più difficile recensire un libro di Michael Crichton, un po’ perché si rischia di ripetere sempre le stesse cose, un po’ perché ogni libro letto è uno in meno da leggere di questo compianto autore, nonostante continuino a uscire da chissà dove dei romanzi postumi.
“Next” è l’ultimo dei suoi romanzi pubblicato quando era ancora in vita e in esso si ritrova il tono di denuncia della sua opera precedente, “Stato di paura”. Al centro di tutto c’è la tematica scientifica dell’ingegneria genetica e di ciò che questa potrebbe portare in futuro, o anche solo già domani. Intorno a questo tema si muove un coro di personaggi, ognuno con la sua storia, un sottile filo conduttore li unisce, quello di una scienza in grado di modificare la natura a proprio uso e consumo. Accanto a tecnologie realmente esistenti Crichton pone altre che potrebbero esistere presto, o magari vengono già usate a nostra insaputa. Il confine tra le due è talmente difficile da discernere che nel leggere di oranghi parlanti o di tartarughe con loghi pubblicitari ci viene il dubbio che stia davvero accadendo, ci chiediamo cosa di tutto ciò sia veramente realizzabile con le attuali biotecnologie.
Se state cercando una lettura di puro intrattenimento, questo non è il libro per voi. Non lo è neppure se siete in cerca di grandi personaggi in cui immedesimarvi.
“Next” si legge per speculare sul futuro della scienza, e della legislazione a essa correlata, per imparare nuove nozioni e immaginare scenari affatto impossibili. Lo si chiude, alla fine, con la soddisfazione di esserne stati arricchiti e nel contempo con un senso di inquietudine, che nasce dal timore che ciò che abbiamo letto possa diventare reale e noi non potremmo far nulla per impedirlo.
 
 
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Di Carla (del 02/07/2014 @ 01:09:19, in Lettura, linkato 4754 volte)

 Quando la natura toglie il respiro
 
Un bel thriller pescato per caso dalla mia collezione di ebook. La storia è ambientata in una cittadina dell’Oklahoma che viene periodicamente colpita dai tornado. Dopo uno di essi particolarmente forte, lo sceriffo trova un’intera famiglia morta nella sua casa, all’apparenza uccisa dai detriti lanciati della forti raffiche di vento. Ma qualcosa non quadra.
E così che inizia una storia che parla di un impavido serial killer che uccide durante i tornado, sfruttando la forza della natura per non lasciare traccia.
Il romanzo è una sorta di incrocio tra un classico crime thriller e un techno-thriller alla Crichton (non a caso mi viene in mente “Twister”). Infatti alla suspense, gli omicidi e le indagini, si unisce una dettagliata spiegazione scientifica dei fenomeni meteorologici e del modo in cui vengono studiati, che mi ha reso la lettura del libro particolarmente interessante.
Unico neo è una certa prevedibilità riguardo all’identità dell’assassino. In realtà la Blanchard avrebbe anche giocato bene le sue carte, ma il suo compitino è troppo perfetto. Un esperto lettore di thriller non ha difficoltà a individuare l’unico personaggio che rientra nel profilo del serial killer, che rimane un po’ in disparte e sul quale non si hanno mai sospetti. Insomma ci si arriva per esclusione.
Per quanto mi riguarda, poi, non mi sono sentita eccessivamente coinvolta dai personaggi, ma ciò potrebbe essere dovuto a motivi miei di gradimento personale e non a un difetto del romanzo.
Le scene finali sono davvero emozionanti e qui l’autrice si fa perdonare. A un certo punto, quando tutte le carte sono scoperte, i protagonisti si trovano ad affrontare il più grande nemico che possano avere: la natura. E, per quanto mi aspettassi che tutto sarebbe andato bene, devo ammettere che mi pareva quasi di sentire il vento fischiarmi nelle orecchie.
 
 
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Di Carla (del 09/07/2014 @ 10:24:03, in Lettura, linkato 2618 volte)

 Affascinante ma deludente
 
Sono sempre molto attratta da libri ambientati in luoghi lontani e i cui protagonisti vivono culture profondamente diverse dalla mia. Sono storie che aprono la mente, che ci insegnano a vedere il diverso e a rispettarlo, per quanto ci appaia estraneo e contrario al nostro modo di vedere, a ciò che noi consideriamo giusto. E, da donna, mi piacciono le storie di questo tipo raccontate dal punto di vista di una donna, che spesso mi portano a notare che, sebbene nelle differenze, esistono comunque dei punti in comune, che sono universali.
Con queste aspettative mi sono cimentata nella lettura di “An Unproductive Woman”. Dal titolo si può immaginare di cosa parli. È la storia di una donna che non riesce ad avere figli, ma è allo stesso tempo molto più complessa di così.
È ambientata in Senegal, in un contesto musulmano, con una figura di donna intesa come madre di figli e in situazioni di poligamia in cui spesso il marito è molto più vecchio delle sue mogli.
È già un argomento difficile da trattare per una donna occidentale, ma ha un suo fascino. È interessante apprendere il modo di pensare di queste donne per le quali è normale sposare un uomo ben più grande di loro, per le quali la presenza di altre mogli è qualcosa che può accadere, sebbene non vadano matte per l’idea, ma tendono comunque ad adattarvisi. È interessante vedere questo tipo di dinamiche familiari e tutti i problemi di gelosie, discussioni e litigi che vi si possono osservare.
C’è da specificare che non siamo di fronte a situazioni che implicano abusi. Le donne raccontate in questo romanzo sono donne libere di fare ciò che vogliono. Gli unici limiti che hanno sono quelli dettati dalla loro stessa mentalità.
Il libro è scritto molto bene, lo stile evocativo dell’autrice ti porta dentro la testa di queste donne e dei loro uomini.
Eppure non ne sono stata soddisfatta.
La trama abbastanza complessa aveva degli spunti interessanti. Adam dopo aver vissuto un lungo periodo in America dove aveva una moglie e un figlio maschio, torna in Senegal per “dovere”, perché la sua famiglia, che non sa nulla di questa moglie e questo figlio, vuole che lui prenda moglie nel suo Paese.
E lui lo fa. Per poi passare il resto della sua vita a pentirsi di aver perso quel figlio maschio. Sì, avete letto bene, il figlio maschio, non perché ha abbandonato la sua famiglia.
Il motivo del suo pentimento è soltanto che la sua nuova giovane moglie, Asabe, sembra non essere in grado di dargli alcun figlio, tanto meno maschio. In caso contrario appare evidente che mai si sarebbe pentito.
Mentre Adam si affanna a trovare una moglie capace di ciò, una serie di sfortune, morti, nascite di figlie femmine, malattie e così via gli impediscono di raggiungere questo sogno. Qui l’ironia della sorte, o il karma, o il suo stesso Dio lo stanno punendo per il suo comportamento. E questo è forse l’aspetto più equilibrato della storia.
Dal canto suo Asabe, che non sa nulla del suo passato, continua ad amarlo e subire quel suo desiderio che lei non può esaudire. Mentre il figlio perduto da adulto scopre che il padre lo cercava.
Tutto ciò ha le potenzialità di un grande dramma e, invece, si sgonfia in un insulso buonismo davvero difficile da mandare giù.
Non c’è vero pentimento laddove ci dovrebbe essere, e c’è perdono laddove pare del tutto impossibile che ci sia.
Onestamente non so se la storia possa essere realistica. Da occidentale non lo sembra, ma cercando di aprire la mente ad altre culture le concedo il beneficio del dubbio e dico che forse la sospensione dell’incredulità potrebbe aver retto.
Ma ciò non impedisce l’esistenza di due aspetti veramente deludenti.
Il primo è il tentativo di presentare una situazione controversa per poi farla piegare al conformismo dell’ambiente in cui si sviluppa. In tutto questo dov’è la crescita dei personaggi? Non c’è. Sono tutti statici, fermi sulle loro convinzioni o, peggio, invece finiscono per regredire. La riconciliazione è di una prevedibilità disarmante.
Nella vita reale sono convinta che succeda così, la gente per quieto vivere lascia correre, perdona, va avanti. Ma questa è finzione. Se nella finzione il conflitto non porta a una crescita e a una risoluzione inattesa, i fatti sono due: non funziona lasciando il lettore perplesso o semplicemente lo annoia poiché non offre nulla di nuovo.
L’altro aspetto che proprio non riesco ad accettare è questa immagine della donna che come unici pensieri ha fare figli, avere cura di loro, del marito, i loro sentimenti, i pettegolezzi, le gelosie... ecc... solo e unicamente queste cose. Nonostante il romanzo entri nel dettaglio in tutti questi aspetti, raccontandoci anche la quotidianità di queste donne, mai una volta che in loro riesca a trasparire un benché minimo interesse per un qualsiasi altro argomento. A parte forse Asabe che vediamo qualche volta curare il giardino (ma pare più che altro un aspetto di contorno), possibile che non abbiano altri interessi nella vita? E, badate bene, non parliamo di una famiglia che vive in condizioni di indigenza in cui le donne non si possono permettere “frivolezze” (ovviamente non sono veramente frivolezze, visto che gli interessi di una persona ne definiscono la sua essenza), tutt’altro. Adam è un imprenditore. Le sue mogli hanno tutto quello di cui hanno bisogno. Capisco che tradizionalmente si occupino di faccende “da donne”, okay, ma oltre a questo il nulla. O sono donne di una pochezza di spirito pazzesca (tutte?) o, come penso, l’autrice ha deciso di volerci mostrare dei personaggi la cui continua preoccupazione è quella di ottenere l’attenzione di un uomo codardo ed egoista. Sembra quasi che la sua sia una provocazione nei confronti del mondo occidentale in cui lei vive.
Niente mi convincerà che una cosa del genere possa essere realistica. E purtroppo, benché io possa apprezzare il suo intento, ne sono rimasta delusa, poiché, in poche parole, non me l’ha data a bere.
 
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