Di Carla (del 09/09/2024 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 122 volte)
La trilogia “Deutschland” (le cui tre stagioni si intitolano rispettivamente “Deutschland 83”, “Deutschland 86” e “Deutschland 89”) è una serie Sky Original che racconta la fase finale della DDR, la Germania dell’Est, fino alla caduta del Muro di Berlino.
Si tratta di una serie spionistica in cui la finzione si va a innestare nella storia vera.
Il protagonista è il giovane Martin Rauch (interpretato dal bravissimo Jonas Nay), diventato, suo malgrado, spia della HVA (un ramo della Stasi) e che nel tempo diventerà molto bravo nel suo lavoro.
Nella prima stagione viene costretto a infiltrarsi nell’Ovest, dove si ritrova coinvolto in una serie di situazioni rocambolesche e tripli giochi carpiati, ma in un modo o nell’altro finisce per cavarsela. La sua storia continua tre anni dopo in Africa, dove, se possibile, riesce a complicarsi l’esistenza ancora di più. Quindi arriva il 1989, che segna il capitolo finale del suo paese, che porterà alla riunificazione della Germania. E lui è lì, quando cade il Muro.
La ricostruzione storica è molto accurata nelle ambientazioni, nei costumi e persino nelle musiche. La sigla della serie è “Major Tom (Coming Home)” di Peter Schilling, che, se siete abbastanza grandi, riconoscerete subito.
L’argomento può sembrare serio e drammatico, e ovviamente lo è, ma il taglio spesso ironico con cui è stata sviluppata questa serie, a partire dai personaggi fino alle situazioni estreme in cui si vengono a trovare, le conferisce una marcia in più che ti costringe a stare incollato allo schermo, tenendoti in tensione e scaricando tale tensione di tanto in tanto con una bella risata.
Oltre a divertire, la visione di questa serie è anche una buona occasione per rispolverare o imparare qualcosa sulla storia recente, ma anche per riflettere sui parallelismi con il presente, poiché il tempo passa ed eventi sempre diversi hanno luogo, eppure certi meccanismi tendono inesorabilmente a ripetersi.
Ho visto questa serie nel corso degli anni e ciò ha fatto sì che qualche dettaglio che collega le stagioni mi sia inevitabilmente sfuggito, anche perché è caratterizzata da numerose storie intrecciate che coinvolgono tanti personaggi diversi (e un sacco di nomi!). Per questo motivo vi consiglio di vederla tutta di seguito.
La trilogia di “Deutschland 83”, “Deutschland 86” e “Deutschland 89” è disponibile on demand su Sky e Now.
Di Carla (del 26/08/2024 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 201 volte)
“Then You Run” è una serie Sky Original del 2023 di produzione britannico-tedesca, disponibile al momento in Italia (su Sky e Now) solo in versione originale con i sottotitoli attivabili in italiano o in inglese.
Sembrerebbe una miniserie, poiché ha 8 episodi ed è tratta da un romanzo (“You” di Zoran Drvenkar).
La protagonista, Tara, orfana di madre, a seguito della morte della nonna deve trasferirsi a Rotterdam per vivere col padre. Tre sue amiche e compagne di scuola (sono teenager) partono per fare una breve vacanza nei Paesi Bassi, ospiti a casa sua, ma la situazione rapidamente precipita. Al loro arrivo, Tara non risponde al telefono e, quando finalmente raggiungono la sua villa, fanno una macabra scoperta.
Braccate da una banda di spacciatori, le quattro ragazze sono costrette a fuggire da Rotterdam in Germania e poi in Norvegia.
A peggiorare le cose, durante la loro fuga sono coinvolte nella morte di una persona molto vicina a un serial killer.
Si tratta di una via di mezzo tra un thriller on the road e una commedia nera.
Le protagoniste si ritrovano nelle situazioni più assurde e, talvolta, veramente ridicole e, mentre i cadaveri si accumulano, ne escono sempre più incattivite e anestetizzate alla violenza.
Una volta che si affronta la visione avendo ben chiaro di che tipo di storia si tratta, ci si diverte di fronte ai continui colpi di scena del tutto imprevisti.
L’estremizzazione della violenza, del linguaggio e della cattiveria dei personaggi, tale che bisogna essere almeno un po’ cattivi se non si vuole morire male e che chi uccide gli innocenti può tranquillamente farla franca, ne fanno un’opera decisamente europea e che non avremmo mai potuto trovare tra i prodotti americani.
Che dire? Mi sono divertita a guardarla e sono rimasta inchiodata fino all’ultimo minuto davanti allo schermo, poiché non avevo la minima idea di cosa sarebbe accaduto nel minuto successivo.
Di Carla (del 02/08/2024 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 252 volte)
“Riviera” è una serie Sky Original di produzione britannica ideata da Neil Jordan e interpretata da Julia Stiles nel ruolo della protagonista Georgina Clios.
La serie è costituita da tre stagioni (28 puntate in tutto) che sono andate in onda dal 2017 al 2020 ed è ora conclusa.
Adoro questa serie, non tanto per la trama, ma piuttosto per l’ambientazione e soprattutto per il personaggio della Stiles: imperturbabile, incasinata, ma sempre col giusto abbinamento di scarpe e accessori, e i capelli in ordine.
Questa terza stagione si stacca delle due precedenti, lasciando indietro i filone narrativo della famiglia Clios. Georgina si riprende il cognome da nubile, Ryland, e inizia una nuova vita, prima come insegnante e poi, insieme al personaggio di Gabriel Hirsch, nel recupero di opere d’arte rubate.
Mentre Georgina e Gabriel (interpretato da Rupert Graves, che probabilmente ricorderete in “Sherlock”) si trovano a Venezia per recuperare un dipinto perduto e qui finiscono invischiati in uno strano intrigo internazionale, che li porterà di nuovo in Costa Azzurra e poi addirittura in Argentina (dove spunta nel ruolo del sindaco di Buenos Aires addirittura l’attore di telenovelas, come “La donna del mistero”, Gabriel Corrado).
La storia con due protagonisti, lei quella seria (a tratti gelida) e lui ironico come solo un britannico sa essere, funziona alla grande e ci permette di chiudere un occhio su una trama a tratti stiracchiata, ma di certo più interessante e meglio articolata di quella della seconda stagione.
Ogni puntata è ricca di colpi di scena fino a quella finale, che spariglia ancora di più le carte tra i buoni e i cattivi, anche perché in “Riviera” nessun personaggio appartiene solo a una delle due categorie, e questo è un altro motivo per cui mi sono divertita tanto guardare questa serie.
Da vedere.
Se non avete visto le due stagioni precedenti, è il caso di recuperarle, anche per capire il ruolo di alcuni personaggi e ovviamente per comprendere le motivazioni della protagonista.
Di Carla (del 27/07/2024 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 289 volte)
“The Race - Corsa mortale” è una serie britannica Sky Original del 2019.
È ambientata in un futuro distopico, in cui un virus realizzato in laboratorio (non spiego a che scopo, per non spoilerare) ha come effetto collaterale quello di trasformare le persone in creature primitive che temono la luce e si nutrono di altri esseri umani, in pratica una via di mezzo tra vampiri e zombie, che riporta alla mente le creature di “Io sono leggenda” di Richard Matheson e dell’omonimo film.
Visto che non si riesce a contenerli, gli esseri umani si barricano nelle loro case durante le ore notturne (da qui il titolo in lingua originale “Curfew”, coprifuoco).
In questo contesto viene organizzata una corsa clandestina, che in una sola notte attraversa da sud a nord tutta l’isola britannica. I vincitori potranno trasferirsi in un’isola incontaminata.
Il bello di questa serie non è tanto la storia in sé (che involontariamente ha richiami addirittura col recente passato, visto che si parla di coprifuoco a causa di un virus!), ma i personaggi. Attraverso flashback sapientemente mescolati agli eventi che si susseguono durante una sola notte, conosciamo a fondo i personaggi e scopriamo da dove proviene il virus e come se ne è perso il controllo. Il tutto è condito di humour nero britannico, un bel po’ di gente che muore male e disavventure varie on the road.
Pare che sia finita con un’unica stagione, anche se ci sarebbero i presupposti per andare avanti e magari risolvere il problema del virus.
In ogni caso, ve la consiglio. All’inizio può sembrare un po’ strana, ma fidatevi: man mano che imparate a conoscere i personaggi, non può che appassionarvi.
Di Carla (del 13/05/2024 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 386 volte)
Questa serie Sky Original include tre stagioni andate in onda tra il 2021 e il 2023 (fino all’inizio del 2024) e disponibili on demand su Sky e NOW.
La storia è ambientata in un contesto contemporaneo. Nella prima stagione, a causa di un’espulsione di massa coronale di notevole entità, una tempesta solare si abbatte sull’Europa, mettendo in ginocchio il trasporto aereo e la distribuzione di energia. Il primo ministro britannico deve fare fronte alle conseguenze di questo evento attraverso un’unità anticrisi denominata COBRA.
La serie non parla dell’aspetto catastrofico della vicenda (e questa è la cosa migliore!), ma si concentra sul modo in cui la politica (soprattutto), la stampa e l’opinione pubblica affrontano la crisi. Parla di decisioni difficili, di personaggi che cercano di approfittare della situazione a proprio beneficio e di altri che arrivano a mettere a rischio la vita per portare a termine il proprio lavoro.
Centrali nella trama sono i personaggi del primo ministro (conservatore), interpretato da un Robert Carlyle in grande spolvero, del suo capo di gabinetto, interpretato dalla bravissima Victoria Hamilton, e del capo della segreteria per le emergenze civili, interpretato dal fenomenale Richard Dormer (che avevo già apprezzato tantissimo in “Fortitude”, dove era il capo della polizia).
Mentre il prolungato black-out porta tutta una serie di problemi e proteste in una delle regioni del Regno Unito (quella che il primo ministro ha dovuto, suo malgrado, sacrificare, poiché mancavano i pezzi di ricambio per far ripartire tutte le centrali elettriche, e quindi ha dovuto fare una scelta), i protagonisti si trovano ad affrontare gravi vicissitudini personali e familiari.
La tensione sale, puntata dopo puntata, fino a raggiungere il culmine nell’ultima (sono sei in tutto), in cui la storia si risolve con alcuni apprezzabili colpi di teatro.
Ammetto che in alcuni punti ho letteralmente esultato.
Ho visto la serie in lingua originale e, se capite l’inglese parlato (potete anche mettere i sottotitoli), consiglio anche a voi di farlo, poiché il doppiaggio non permette di apprezzare numerose sfumature, come le differenze sociali e di origine territoriale dei vari personaggi.
In generale, ritengo che la storia sia molto ben scritta, anche e soprattutto a livello di dialoghi.
Questa prima stagione potrebbe essere quasi definita una miniserie autoconclusiva, visto che include solo sei puntate e la storia in qualche modo si chiude. Però successivamente sono state prodotte altre due stagioni: “Cobra - Cyberwar” e “Cobra - Rebellion”.
Nella seconda, come potete intuire dal titolo, la crisi che colpisce il Regno Unito è dovuta a un attacco al sistema informatico britannico. Nella terza, invece, la crisi è legata a un disastro ambientale.
La prima stagione mi è piaciuta così tanto, che ne avrei voluto di più. Allo stesso tempo, temevo che la scelta di prolungare la storia in una seconda e poi addirittura una terza stagione avrebbe provocato una inevitabile caduta nella ripetitività e nell’allungamento di brodo. Anche perché significava che ci sarebbe stata almeno un’altra grossa crisi, il che onestamente mi sembrava un po’ eccessivo nello stesso universo narrativo e con gli stessi personaggi.
Effettivamente questo rischio non è stato del tutto evitato e bisogna fare un piccolo sforzo per accettare che capitino tutte al povero primo ministro Sutherland! Ma, una volta messo da parte questo problema, devo dire che anche la seconda e a terza stagione sono molto godibili e mi trovo più o meno a confermare l’opinione che ho espresso per la prima.
Non dico altro per evitare inutili spoiler.
Magari, se volete vedere questa serie, potete approfittare del fatto che tutte e tre le stagioni sono disponibili per guardarla tutta dall’inizio alla fine. In questo modo non perderete i collegamenti tra di esse o non li dimenticherete.
Insomma, non rischiate di fare come ho fatto io, che non ero sicura di aver visto la seconda stagione e l’ho rivista tutta perché comunque non mi ricordavo più quasi nulla.
Di Carla (del 06/02/2024 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 500 volte)
Premetto che non mi interessano i videogiochi. L’ultima volta che ci ho giocato è stata nel 1998 su un pc con Windows 95. Quindi non conosco quello da cui è tratta questa serie. Ve ne parlo da spettatrice amante della fantascienza.
Si tratta di una serie di fantascienza militare/space opera, ambientata in un futuro lontano, piena di belle astronavi, pianeti dalle caratteristiche più disparate e una specie aliena nemica con cui l’umanità è in guerra. E uno degli strumenti di guerra più potenti di cui gli umani dispongono è costituito dagli Spartan, dei guerrieri umani potenziati e privati di emozioni. Tra questi c’è il protagonista, John-117, conosciuto col nome di battaglia Master Chief.
Non vi dico altro della trama, perché credo sia meglio scoprirla passo per passo nell’arco delle nove puntate della serie. Mi limito a chiarire, piuttosto, che mi riferisco solo alla prima stagione. Nel vederla, infatti, ci si rende subito conto che tutti i filoni narrativi iniziati non hanno abbastanza spazio per essere conclusi. Sembra quasi tutta una grande introduzione al resto delle stagioni. In ogni caso, ci sono degli aspetti che vengono chiariti. Inoltre, ho trovato il finale con colpo di scena (quasi un cliffhanger) molto soddisfacente. Con una struttura narrativa così complessa, c’era il rischio che certi filoni venissero chiusi in maniera troppo frettolosa, ma così, tutto sommato, non è stato.
La trama contiene tutta una serie di elementi che mi sono particolarmente congeniali.
Uno di questi è senza dubbio il fatto di avere un protagonista che non conosce affatto la propria identità e la rivelazione di quest’ultima è centrale all’interno della serie.
Un altro elemento interessante è l’uso dell’intelligenza artificiale (Cortana), che nasce come strumento per controllare, ma che a un certo punto si fa delle domande su quanto sia giusto o meno seguire gli ordini che riceve. Qui l’IA, che all’inizio ha una connotazione inquietante e apparentemente negativa, poi si rivela un personaggio positivo.
Poi c’è la presenza di un personaggio profondamente ambiguo (ancora più dell’IA) nelle mani dei supercattivi (gli alieni), che ha un’evoluzione particolare. Peccato che debba cadere vittima del solito spietato karma delle produzioni americane, in cui il pentimento non basta mai per redimersi.
Ma gli alieni non sono gli unici cattivi. Sono appunto solo i supercattivi, cioè quelli che sono cattivi e basta, senza ulteriori approfondimenti. Anche tra gli umani c’è qualche personaggio decisamente negativo, come la dottoressa Halsey, che è a capo del programma Spartan. Però nel suo caso vengono messe alla luce delle motivazioni che, per quanto eccessive, hanno una logica intrinseca che fornisce al personaggio un certo spessore.
Infine, gli effetti speciali sono per gran parte veramente notevoli. Gli alieni mi hanno ricordato diverse creature viste nella saga di Star Wars. Forse solo l’ambientazione dello scontro nell’ultima puntata è un po’ povera.
L’unica cosa che mi ha lasciato perplessa è la collocazione del dispositivo che sopprime le emozioni degli Spartan: nella parte bassa della schiena. Mah!
Nel complesso mi sono divertiva a vedere questa serie. La storia è intrigante e ben sviluppata. E alla fine della visione rimane la curiosità di poter al più presto tuffarsi nella seconda stagione.
“Halo” è disponibile su Paramount+ e quindi anche per chi ha il pacchetto cinema di Sky.
Dall’8 febbraio 2024 si potrà vedere anche la seconda stagione.
Di Carla (del 14/12/2023 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 489 volte)
Questa miniserie della BBCdel 2019 (diretta da Craig Viveiros, prodotta da Mammoth Screen), ambientata nel periodo edoardiano, è l’ennesimo adattamento nell’omonimo romanzo di Herbert George Wells (pubblicato nel 1898) ed è costituita da tre puntate di circa un’ora.
È considerata una delle trasposizioni più fedeli al libro sia per via dell’ambientazione storica (nonostante sia ambientata qualche anno più tardi, nel 1905), che mette ancora più in evidenza l’impotenza dell’umanità nel confronto con un’invasione aliena, sia per la stessa narrazione degli eventi.
Ciò che si va ad aggiungere alla trama originale è la storia personale dei due protagonisti, Amy e George, che vivono insieme nonostante il fatto che non siano sposati e che lui non riesca a ottenere il divorzio dalla moglie. Questi sostituiscono solo in parte il narratore del libro e la moglie, spostando però l’attenzione sul personaggio femminile, che nel testo era del tutto marginale. Sono interpretati da Eleanor Tomlinson (già vista in Poldark nel ruolo di Demelza e ne I Misteri di Pemberley) e Rafe Spall (figlio di Timothy Spall; visto in Prometheus, Jurassic World – Il regno distrutto e Men in Black International).
Inoltre, alla narrazione principale si intreccia quella nel futuro in cui vediamo Amy e il figlio vagare nel mondo devastato dopo l’invasione “fallita” dei tripodi.
Pur non avendo letto il libro, ho subito percepito l’impronta wellsiana nella storia, a iniziare dal personaggio di Ogilvy, lo scienziato presente anche nel romanzo e qui interpretato dal grande Robert Carlyle, e continuando col tentativo di un approccio scientifico, per quanto limitato dalle conoscenze del tempo, nei confronti delle conseguenze dell’invasione, sebbene quest’ultima parte post-apocalittica dal punto di vista della protagonista femminile sia stata aggiunta alla storia.
Nel leggere varie recensioni in giro, le critiche principali riguardano un certo effetto deprimente della storia, la sua lentezza in alcuni tratti, la poca caratterizzazione dei personaggi dovuta al tempo limitato della narrazione (che forse, allora, non è tanto lenta) e addirittura l’interpretazione dei protagonisti. Qualcuno ha parlato di occasione persa.
Be’, non mi trovo affatto d’accordo. Personalmente ho apprezzato moltissimo questa miniserie, sia dal punto di vista visivo che da quello dell’interpretazione e del ritmo della narrazione.
Ho visto questa serie in lingua originale e, come sempre in queste circostanze, ciò mi ha portato a concentrarmi completamente sulla storia senza la minima distrazione. Inoltre, nell’affrontarla, sapevo già che il finale sarebbe stato triste. Un po’ si intuiva da subito per via dei flash-forward della protagonista con il figlio in quell’ambientazione a dir poco infernale e un po’ mi era stato riferito proprio in questi termini.
Di fronte a tutto ciò io, però, mi sono soltanto divertita.
A me la Tomlinson piace tanto (sono una fan di Poldark) e ho apprezzato la sua interpretazione. E mi è piaciuto anche il modo in cui ha interagito con Spall e anche col personaggio di Ogilvy e di Frederick (Rupert Graves), il fratello del co-protagonista.
La storia tra i due protagonisti, che sfidano le convenzioni dell’epoca, si affianca perfettamente alle problematiche politiche, che ci vengono mostrate all’inizio della miniserie (con gli attriti tra l’Impero Britannico e la Russia), nel mettere in evidenza come tanti aspetti considerati importanti passino non solo in secondo piano, ma vengano del tutto spazzati via dall’incontro e lo scontro con una specie proveniente da Marte che ha intenzione di eliminare la nostra civiltà e impossessarsi del nostro pianeta.
Ovviamente poi l’inserimento delle vicende dei due protagonisti offre un ulteriore elemento di conflitto apprezzabile dal pubblico contemporaneo e ne aumenta il coinvolgimento.
Per quanto riguarda il resto, ho trovato molto efficace sia la ricostruzione storica che gli effetti speciali. Vedere gli immensi tripodi muoversi per la Londra di inizio novecento è stato fantastico, proprio perché del tutto inusuale ed eppure estremamente realistico, e sottolinea ancora di più il senso della fragilità umana nei confronti di un avversario troppo più grande e tecnologicamente avanzato per essere anche solo affrontato. In qualche modo irride le mire espansionistiche dell’Impero Britannico, che si sente invincibile di fronte a qualsiasi nemico e che invece è costretto a ridimensionarsi.
Mi è piaciuta in particolare la parte in cui Ogilvy, insieme ai protagonisti, si mette a studiare quello che crede essere un meteorite e poi ciò che accade quando questo si sveglia, il guscio si apre e si vede al suo interno una sfera in grado di imprimere su di sé un’immagine riflessa. Per non parlare poi di ciò che accade dopo.
Il senso di impotenza dei personaggi viene trasmesso in maniera efficace allo spettatore, come pure la paura nei confronti dei terrificanti alieni, in particolare nell’ultima puntata, quando si trovano braccati da questi ultimi (di cui finalmente vediamo l’aspetto) e la storia assume sfumature da horror.
Qui l’elemento drammatico raggiunge l’apice e l’inevitabile sacrificio ha un effetto molto forte a causa proprio del coinvolgimento che crea nello spettatore.
La parte ambientata nel futuro post-apocalittico, con cui poi si chiude la serie, ha effettivamente un che di deprimente. Io, in particolare, non amo le storie post-apocalittiche per questo motivo. Anche dal punto di vista visivo sembra quasi voler opprimere. Ma tutto viene salvato dal finale dolceamaro, che fa nascere nella protagonista, e nello spettatore, la speranza.
Chiudo con una curiosità. Sebbene questa versione sia in molte parti fedele al romanzo, ne esiste un’altra sotto forma di film che invece pare lo sia del tutto. È stata prodotta nel 2005 sulla scia della concomitante uscita del film di Spielberg interpretato da Tom Cruise e Dakota Fanning.
Numerosi sono stati gli altri adattamenti di quest’opera, che vanno dal primo famosissimo radiofonico di Orson Welles (1938), passando per musical e videogiochi, fino ad arrivare ai fumetti (incluso Topolino), oltre ovviamente ai film e alle serie TV.
Di Carla (del 24/11/2023 @ 10:30:00, in Serie TV, linkato 448 volte)
Mi è capitato in passato di parlare della serie TV “Westworld– Dove tutto è concesso” sia su FantascientifiCast che qui sul mio blog (vi invito a visitare i rispettivi link per approfondire). L’episodio del podcast e l’articolo erano però incentrati solo sulla prima stagione, poiché era l’unica ad essere stata realizzata fino a quel momento.
A essa sono seguite ben altre tre stagioni.
Se non avete visto la seconda e la terza stagione, non andate avanti nella lettura, poiché potreste trovare alcuni spoiler. Sulla quarta, invece, mi limito a fare alcune considerazioni, ma che hanno veramente senso solo per chi sa di cosa sto parlando. Insomma, questo articolo è principalmente rivolto a chi ha visto tutta la serie.
La seconda stagione rappresentava una vera e propria continuazione della prima, poiché la storia si svolgeva ancora all’interno del parco. A suo tempo trovai il suo finale entusiasmante, perché mi avrebbe soddisfatto anche se non avessero rinnovato la serie per altre stagioni. Ciò che desideravo era che la storia continuasse al di fuori del parco, nel mondo reale del futuro. Un finale aperto del genere, con la fuga di Dolores (o meglio della sua intelligenza artificiale), era almeno una promessa di questa continuazione.
Uno dei motivi per cui amo i finali aperti nelle storie in cui rimangono molti aspetti irrisolti è che posso sempre immaginare per conto mio ciò che accadrà dopo.
Ma poi è arrivata davvero la terza stagione ed è stata ancora meglio del previsto.
Ciò che ho apprezzato è proprio il modo in cui rappresenta un’estremizzazione della nostra realtà, in cui tutto ciò che facciamo potrebbe essere influenzato dai dati (informazioni, pubblicità, ecc…) che ci vengono mostrati in base alle nostre abitudini di navigazione e a ciò con cui interagiamo quando siamo sulla rete. Se a gestire ciò cui siamo esposti continuamente non fosse un algoritmo il cui scopo finale è solo indurci ad acquistare dei prodotti, ma una super-intelligenza artificiale, la sua capacità di condizionare la nostra visione della realtà per spingerci a diventare ciò che vuole (o che qualcun altro ha deciso) non sembra affatto qualcosa di impossibile.
Devo ammettere che durante la visione della terza stagione ho guardato più volte con sospetto il banner dei cookie che mi appare ogni volta che visito un sito per la prima volta!
Per il mio gusto personale, fino a quel punto il mio apprezzamento di Westworld era andato in crescendo, perciò temevo ciò che avrei trovato nella quarta stagione. Dopo aver finito di vederla, però, il mio primo commento è stato: wow!
Devo dire che mi sono goduta ogni minuto di tutti gli episodi e posso confermare che si tratta della mia serie di fantascienza preferita dopoBattlestar Galactica.
È praticamente impossibile entrare nel dettaglio senza spoilerare, perciò mi limiterò a qualche considerazione sparsa.
Dopo il finale della stagione tre, che in parte pareva prendere spunto dall’idea di base del film “Futureworld” (il sequel del film originale “Westworld” di Crichton), non sapevo cosa attendermi da questa quarta. Di certo non mi aspettavo di trovarmi di fronte a un vero e proprio ribaltamento dei ruoli tra umani e androidi. In realtà, il tema del condizionamento del libero arbitrio da parte di un’intelligenza artificiale (metafora degli algoritmi attuali che già influenzano la nostra vita), che è a me caro (e che potete trovare in alcuni miei libri), avrebbe dovuto mettermi in guardia. L’evoluzione che si ha nella quarta stagione, in fondo, ne sembra la conseguenza quasi naturale, in termini di logica di sviluppo di una storia. Solo che viene portata così oltre rispetto alle premesse iniziali da lasciare lo spettatore a bocca aperta.
A tutto ciò si aggiungono i numerosi elementi inseriti nella trama che mi riportavano alla mente elementi simili da me usati nei miei libri (non posso dirvi di cosa si tratta, perché sarebbe uno spoiler enorme!), sebbene in un contesto completamente diverso. Rivedere le mie fantasie mostrate in maniera simile da una serie di fantascienza di questo livello è stato davvero entusiasmante. È una sorta di convergenza creativa che mi ha fatto sentire in perfetta sintonia con questa opera di finzione. A momenti è stato come se la TV leggesse la mia mente e mi mostrasse la storia che desideravo vedere. Pazzesco.
Tutta questa esaltazione, però, non mi ha impedito di rilevare alcuni aspetti critici.
Prima di tutto, mi sono posta delle domande che non hanno trovato risposta.
Nel mondo è rimasta una sola città? Oppure ce ne sono anche altre e sono tutte fatte allo stesso modo? Da ciò che si vede nella serie, la prima opzione sembra quella corretta, ma nulla viene spiegato, il che è senza dubbio una mancanza.
Se è questa la situazione, mi sembra un po’ eccessiva, anche se sono trascorsi 23 anni.
E, parlando di eccessi, il precipitare degli eventi nell’ultima puntata mi è parso un tantino affrettato.
Onestamente, non amo i contesti apocalittici, perché di questo si tratta, e in particolare mi ha dato fastidio che in un certo senso la storia, che, una volta uscita dal parco, si era aperta a mille possibilità, adesso si sia richiusa tremendamente in se stessa.
Questi aspetti però non scalfiscono la bontà di tutto il resto della serie, che affronta temi attualissimi, che letteralmente ci circondano, e lo fa reinventandoli in un futuro distopico attraverso un intreccio complicatissimo (altro aspetto che mi è particolarmente congeniale). Insomma, ci obbliga a pensare a più livelli, sia per ritrovare in essa la nostra realtà odierna che per mettere insieme la miriade di tasselli che ci vengono mostrati in ordine non cronologico, in modo da riuscire a venirne a capo. La sua visione è una vera e propria sfida.
Inoltre, c’è da considerare che questa storia non è finita.
Il finale della stagione, in realtà, non è un finale. Gli autori l’hanno lasciato volutamente aperto nella speranza di un rinnovo per un’ultima stagione. Purtroppo però è arrivata qualche mese dopo la conferma che la serie è stata cancellata.
È un peccato, perché sarei stata proprio curiosa di vedere cosa ne avrebbero tirato fuori, poiché davvero, dopo i tragici accadimenti dell’ultima puntata, si erano infilati in un bel casino. Certo, avevano la possibilità di portare la storia dove volevano, visto che avevano praticamente fatto tabula rasa di tutto il resto, ma il rischio di uscirne con un epilogo inadeguato era altissimo.
In tutta onestà, se l’avessero rinnovata, non avrei mai voluto trovarmi nei panni degli ideatori e degli sceneggiatori.
Chissà, magari un giorno qualche casa di produzione ne acquisirà i diritti per portare a termine la storia. Oppure mi piacerebbe che ne pubblicassero il finale sotto forma di romanzo, così potrei immaginarlo nella mia testa con maggiore libertà e, nel caso non mi piacesse, far finta che non sia mai esistito.
O forse è meglio lasciarla così, come qualcosa che sarebbe potuto essere perfetto. Grazie all’assenza di un vero finale, niente potrà smentire tale impressione.
Di certo c’è una cosa che spero più di tutte, vale a dire che non ne facciano mai un reboot!
Di Carla (del 20/06/2020 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 2798 volte)
Ultimamente mi sto interessando alla produzione europea in ambito di serie TV, così quando lo scorso autunno ho scoperto che su Rai 4 trasmettevano una serie francese di fantascienza addirittura ambientata su Marte, mi ci sono subito fiondata. Ammetto che non avevo grandissime aspettative, poiché era evidente che si trattava di una produzione con un budget contenuto, e, invece, mi sono dovuta ricredere.
“Missions” (il cui titolo può essere pronunciato sia in francese che in inglese) è una serie francese creata da Ami Cohen, Henri Debeurme e Julien Lacombe e prodotta da Empreinte Digitale nel 2017. Finora comprende due stagioni, ma è stata già commissionata una terza, che è in fase di pre-produzione. Ogni stagione è costituita da 10 puntate di circa 20 minuti l’una.
La serie racconta della missione dell’ESA Ulysses 1, la prima con equipaggio umano su Marte. Mentre la nave sta arrivando sul pianeta rosso, l’equipaggio viene informato che una missione della NASA, Zillion 1, in cui è stata usata la propulsione nucleare, è arrivata prima, ma non si hanno più notizie degli astronauti, quindi Ulysses 1 è diventata una missione di soccorso. Nel frattempo sta arrivando una terza missione, Zillion 2.
Un aspetto particolare è che entrambe le missioni sono finanziate da dei privati. Quella dell’ESA da William Meyer (miliardario svizzero), che fa anche parte dell’equipaggio. Quella della NASA, da Ivan Goldstein (miliardario americano) ed è portata avanti dalla sua azienda chiamata, appunto, Zillion.
Non ho potuto fare a meno di vedere in questi due personaggi una sorta di lato “buono” e “cattivo” delle figure pubbliche contemporanee del settore aerospaziale privato. Il personaggio di Meyer, in particolare, con la smania di andare di persona sul pianeta rosso mi ha subito fatto venire in mente Elon Musk.
La serie, inoltre, si apre sulla vicenda del cosmonauta russo Vladamir Komarov, morto durante la missione Soyuz 1 nel 1967. Si tratta di una scelta originale, che permette al pubblico di sapere qualcosa di più di questo compianto eroe spaziale.
Non posso dire troppo sulla trama, che è caratterizzata da continui colpi di scena sviluppati in base alla serialità. In ogni puntata di 20 minuti la trama va avanti apparentemente lenta, per poi accelerare verso la fine e lasciarci con un punto di svolta.
Per fortuna, venivano trasmesse da Rai 4 (poi rese disponibili su Rai Play) tre puntate alla volta!
La storia include un insieme elementi già visti nella fantascienza marziana e non, ma la particolarità sta nel modo in cui sono amalgamati.
Tra gli aspetti originali c’è il personaggio di Komarov, o meglio del qualcosa che sembra lui, che ha un ruolo importante all’interno della trama. E a questo proposito una serie di flashback ci permettono di conoscere di più sul vero Komarov, anche se poi risulta marginale nell’economia della storia. È però interessante e aggiunge un tocco europeo alla narrazione.
Tutta la serie è ricca di flashback, che forniscono informazioni sui personaggi. Nella seconda stagione, in particolare, servono per spiegare cosa è accaduto nei cinque anni passati dopo la fine della prima.
Questo alternarsi dei diversi piani temporali permette di scoprire la storia poco alla volta, fornendo impensati colpi di scena.
Si tratta di una scelta narrativa che amo particolarmente, poiché è in grado di spiazzare il fruitore, mostrandogli certe informazioni solo nel momento in cui queste possono ottenere il massimo effetto.
La prima stagione è costata appena 1,5 milioni di euro ed è stata girata in soli 27 giorni. E, nonostante ciò, il risultato è davvero lodevole. Ma è nella seconda che, a fronte di un aumento di budget fino a 2 milioni (quindi non certo stellare), si osserva l’aprirsi della storia a nuove possibilità, che sono accompagnate da effetti visivi più incisivi e dall’utilizzo di un maggior numero di ambientazioni, che la rendono ancora più realistica.
C’è un elemento fortemente mistico nella storia, sebbene gli si dia un’impronta scientifica o ci si provi. Qui ho trovato somiglianze inquietanti con “Deserto rosso”, anche se più nella forma che nella sostanza. Ci sono menti collegate, un elemento biologico, l’intelligenza artificiale che si ribella, una protagonista che esce di nascosto dalla base e poi si fa male (e poi la salvano), gente che muore all’improvviso in incidenti o in circostanze misteriose, gente che perde la testa e uccide, storie sentimentali tra i protagonisti. Ma c’è anche altro che invece non ha nulla a che vedere con la mia serie marziana, per esempio, dei portali che mi ricordano Stargate e altre supertecnologie di origine sconosciuta (almeno finora).
Nonostante il budget ridotto, la qualità visiva è molto buona. Ci sono delle semplificazioni sia scientifiche sia per quanto riguarda alcuni aspetti tecnici (come le tute, che evidentemente non sono pressurizzate), ma ciò non influenza negativamente il risultato, poiché siamo totalmente presi dalle vicende dei personaggi, che i dettagli hanno ben poca importanza. La regia, la fotografia e il montaggio sono molto ben riusciti, e la musica mai ingombrante sottolinea la storia in maniera efficace. Il tutto è caratterizzato da un certo senso di realtà. Si ha l’impressione di avere a che fare con un futuro reale molto prossimo.
Ho letto sui social network e in articoli su altri blog e magazine delle opinioni negative sui dialoghi, ma non sono d’accordo. Siamo troppo abituati ai prodotti anglosassoni e questo è, invece, un prodotto francese. E lo si vede anche dai dialoghi. Anzi, l’ottimo lavoro di adattamento e doppiaggio riesce a sfumare eventuali eccessi “teatrali” e rende anche questo aspetto adeguato a tutto il resto.
Forse l’auto-doppiaggio di Giorgia Sinicorni tende a spiccare un po’ nell’insieme delle voci, ma è qualcosa di inevitabile, visto che fare la doppiatrice non è il suo lavoro e allo stesso tempo i doppiatori italiani sono talmente bravi che farebbero sfigurare chiunque. In ogni caso, questo piccolo dettaglio tende a sparire nella seconda stagione, un po’ perché c’è stato sicuramente un miglioramento nella performance della Sinicorni e un po’ perché noi spettatori ci siamo abituati alla sua voce, grazie anche al fatto che il personaggio ha un ruolo più ampio nella storia. E, diciamocelo, trattandosi dell’unico personaggio italiano nella serie, ha senso che “suoni” diverso dagli altri.
Comunque, per apprezzare l’interpretazione della Sinicorni, consiglio di vedere il suo showreel, in cui sono riportati due spezzoni di scene tratte da questa serie: una in francese e una in inglese.
Sebbene quella di “Missions” sia una storia in cui l’aspetto che va oltre la scienza ha un ruolo di una certa importanza, mi sono ritrovata a paragonarla alla porzione drama del docudrama “Marte” di National Geographic. La direzione che prende è completamente diversa, perché diversi sono gli scopi, ma come qualità generale, facendo le dovute proporzioni a livello di budget, credo che “Missions” non abbia nulla da invidiare alla serie americana.
Inoltre, credo che assomigli molto (e magari ne è anche stata influenzata) a “Defying Gravity”, serie americana del 2009, cancellata dopo la prima stagione, in cui si mescolano gli stessi elementi (relazioni tra i personaggi, un mistero che va oltre la scienza, l’esplorazione spaziale nel prossimo futuro) e le stesse tecniche (i flashback), ma ovviamente con ben altro budget. Ammetto, anche, che mi fu di ispirazione nel momento in cui ideai “Deserto rosso”. Si tratta in un certo senso della stessa tipologia di fantascienza, che, partendo da elementi spiccatamente hard, li mescola a qualcosa di più soft non ben definito, in grado di stimolare la fantasia dello spettatore.
In conclusione, ho apprezzato molto lo sforzo immaginifico di questa serie, supportato da un’ottima sceneggiatura, con un ritmo incalzante e capace di far nascere di continuo nuove domande. Se avessi avuto a disposizione tutte le due stagioni dall’inizio, le avrei viste nel giro di due o tre giorni, tanta era la curiosità alla fine di ogni episodio.
In ogni caso, tutto questo, insieme a un buon cast e a una componente visiva molto ben curata, a mio parere, fa di “Missions” una scommessa vinta nell’ambito della fantascienza europea.
Di Carla (del 06/09/2016 @ 09:30:00, in Serie TV, linkato 6070 volte)
La trasmissione su Fox Italia di questa serie canadese venne anticipata da una grande pubblicità che puntava sul fatto che si trattasse di una prima mondiale. “The Listener” in realtà venne trasmesso in Italia e in altri paesi qualche giorno dopo la sua prima canadese (3 marzo 2009), ma alcuni mesi prima di quella statunitense.
Non so come, visto che in generale non vado matta per le serie che abbiano a che fare con il paranormale, ma mi ritrovai comunque a guardarla dalla prima puntata fino all’ultima nel 2014.
La serie aveva come protagonista un paramedico, Toby Logan (interpretato da Craig Olejnik), dotato di capacità telepatiche. Toby riusciva a leggere il pensiero, che si trattasse di suoni, immagini o parole, e a causa di questo talento si ritrovava coinvolto, suo malgrado, nella risoluzione di casi di omicidio.
La prima stagione lo vedeva interagire con una detective, Charlie Marks (interpretata da Lisa Marcos; la prima a sinistra nell’ultima foto), ma ciò avveniva in maniera quasi fortuita, poiché Toby durante il suo servizio in ambulanza si trovava spesso a intervenire dove era avvenuto un crimine e a leggere la mente delle vittime, prima che morissero, o di altre persone coinvolte. Parallelamente ai singoli casi c’era una sottotrama relativa al passato di Toby e all’origine di questa sua capacità.
Devo dire che la serie non era eccezionale, ma si lasciava guardare con piacere, complice l’ambientazione di Toronto, sicuramente meno inflazionata di altre, e la presenza di un buon cast di attori poco conosciuti. Il fatto di essere una serie canadese la rendeva distintamente diversa da quelle americane nel modo in cui venivano trattati alcuni temi, presentando meno cliché e più elementi originali. L’aspetto drammatico era poi stemperato dalla presenza di un personaggio ironico: Osman Bey (interpretato da Ennis Esmer), detto Oz, vale a dire il collega di Toby. La sottotrama, infine, era intrigante e spingeva alla visione della puntata successiva.
Dopo la prima stagione (vedi il cast nella foto accanto) la serie subì una rivoluzione, poiché vennero sostituiti gli sceneggiatori e il suo stesso creatore, Michael Amo, smise di lavorarci.
Invece di trovarsi lui per caso coinvolto nei crimini, Toby veniva ogni volta chiamato da una sergente della IIB (una speciale unità investigativa), Michelle McClunsky (interpretata da Lauren Lee Smith, che avevo già visto nella stagione nove di “CSI” e successivamente ha avuto un ruolo importante nella miniserie di fantascienza “Ascension”), tanto che a partire dalla terza smise di fare il paramedico e iniziò a lavorare nel team come consulente. Solo in pochi (anche se il loro numero tendeva ad aumentare) sapevano di questa sua capacità e ufficialmente era considerato un esperto delle microespressioni facciali in grado di capire se una persona fosse sincera o meno.
A causa di ciò la sottotrama sparì completamente lasciando spazio a un andamento episodico della serie che diventò quasi di natura procedurale. “The Listener” perse in originalità, ma acquistò in ritmo e azione. L’intenzione era probabilmente quella di attirare un pubblico più ampio e parve funzionare, poiché si andò avanti fino alla sua conclusione programmata con la quinta stagione.
Negli USA la serie non andò particolarmente bene, mentre in Italia è stata addirittura la seconda serie più guardata di sempre di Fox.
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