Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
     Il viaggio del lettore
Avendo avuto l’opportunità di leggere in anteprima questo nuovo libro di marketing per autori indipendenti di David Gaughran (ho ricevuto una cosiddetta ARC, una copia fornita in anticipo ad alcuni lettori), ho pensato di cogliere l’occasione per scriverne una recensione un po’ diversa dal solito, che, oltre a parlare del libro, potesse includere alcune mie riflessioni su come il self-publishing si è evoluto nel mercato anglofono e come tale evoluzione, per la sua stessa natura, non può al momento interessare quello italiano.
Prima di tutto, anche questo libro conferma ciò che penso dell’autore. A differenza di altri che pubblicano libri sul self-publishing, Gaughran riduce al minimo gli aspetti autoreferenziali, portando anche esempi concreti di altri autori e cercando di prendere in considerazione le problematiche di un autore qualsiasi. Ovviamente si basa sulla propria esperienza, ma non necessariamente come autore. Infatti, più avanti nel libro scopriamo che lavora come consulente per un altro autore (con caratteristiche completamente diverse dalle sue, poiché scrive fantascienza e pubblica in esclusiva su Amazon), inoltre è costantemente interessato a ricevere feedback da altri, poiché avere sempre del contenuto interessante da proporre nella newsletter fa parte della sua strategia.
Un’altra sua caratteristica è che i suoi libri non sono un elenco schematico di fatti più o meno noti intervallati da tentativi di motivare gli altri autori, in cui abbondano elenchi, schemi e figure che ne aumentano la lunghezza, e ripetizioni sia nello stesso libro che in altri simili. I suoi libri sono solo testuali e sono scritti in una prosa discorsiva che li rende davvero “avvincenti”, senza dare l’impressione che ti stia prendendo per i fondelli. Riesce a sviluppare gli argomenti in un modo che non sembra affatto schematico (ma ovviamente dietro c’è un outlining ben preciso), come se ti stesse facendo un discorso a braccio. È sintetico, arriva dritto al punto e dice chiaramente come stanno le cose (anche quando si tratta di cose non piacevoli). Per questo motivo i suoi libri sono corti, ma non certo perché ci siano poche informazioni.
Per via di questa sua peculiarità nello scrivere, forse il modo migliore per fruire di questo suo libro è prendere nota dei passaggi interessanti durante la lettura o magari mettere un segnalibro sul Kindle per poi tornarci in seguito. Così il lettore si crea il suo schema personale che elenca solo quegli aspetti che gli sono utili, invece di doversi adattare allo schema e agli elenchi puntati di altri.
Ma veniamo al contenuto. Partiamo proprio dal titolo del libro: da sconosciuti a superfan. Il libro parla proprio di questo: in che modo uno sconosciuto arriva a un libro, decide di comprarlo, lo legge (fino alla fine, cosa tutt’altro che scontata) e magari ne compra un altro e/o decide di iscriversi a una mailing list e/o parla agli altri del libro, in pratica diventa un superfan. Il cuore del libro non è spiegare come fare in modo che ciò accada, ma proprio spiegare come accade, vale a dire quale è il viaggio del lettore e in quale parte del viaggio dei nostri potenziali lettori c’è un problema tale da interromperlo. Il problema, secondo Gaughran, non è la discoverability, poiché chiunque può “comprare traffico” (indirizzare della pubblicità) verso la pagina del prodotto di un libro (si concentra soprattutto su Amazon), bensì inviarci il traffico giusto, cioè scegliere il target giusto, fargli trovare la giusta accoglienza, il libro giusto che abbia voglia non solo di acquistare, ma anche di iniziare a leggere, finire di leggere (il 40% dei lettori abbandona un libro iniziato) e indurlo a fare delle cose dopo la lettura.
In realtà, se ci pensiamo bene, dice tutta una serie di cose che già sappiamo, ma lo fa in una maniera tale da farcele guardare da una nuova prospettiva e dare a tutte queste un senso logico.
Dopo aver descritto il viaggio del lettore, fa un analisi dei sintomi che permettono a noi autori di capire in quali fasi di questo viaggio stiamo sbagliando.
Stiamo scegliendo un target sbagliato per la pubblicità? Ci sono dei problemi nella descrizione, nella copertina, nel prezzo? C’è qualche problema dentro il libro? O nelle sezioni poste all’inizio o alla fine?
Infine cerca di spiegarci come risolvere questi problemi. Questa ovviamente è la parte più corta, poiché lui è costretto a parlare in generale e, invece, ogni libro è un caso a sé, ma riesce comunque a fornire dei consigli utili.
Il più importante è quello di muoversi al contrario nel sistemare i problemi che possono bloccare il viaggio del lettore: cioè partire dal migliorare il libro, poi spostarsi alla pagina del prodotto e infine sistemare le pubblicità che usiamo per mandare potenziali lettori verso il libro.
La questione di base è che dà per scontato che siamo in grado e disposti a spendere di continuo delle cifre sostanziose in pubblicità, poiché in caso contrario non arriveremo mai a nulla. Questa è anche la triste verità dell’attuale situazione. Possiamo scordarci i casi eclatanti come John Locke (ve lo ricordate?) o più recentemente Andy Weir (che adesso è pubblicato da un grosso editore), che sono riusciti a vendere tantissimo solo scrivendo tanti libri a 99 cent (nel primo caso) o sfruttando i contatti creati sul proprio blog (nel secondo caso). Questi due, e altri simili, hanno raggiunto subito il successo, perché sono stati tra i primi a fare qualcosa che nessuno aveva mai fatto prima. Sono stati pionieri in un nuovo mercato e si sono trovati così nelle condizioni di sfruttare al massimo, e quasi del tutto casualmente, le opportunità offerte dall’ algoritmo di Amazon,che suggerisce nuovi libri da acquistare ai suoi clienti. Adesso per arrivare in alto bisogna spendere tanto e continuare a farlo. Se lo fai male, vai in perdita. Se ti fermi, le vendite crollano.
Mi rendo perfettamente conto che Gaughran ha ragione, ma anche che questa nella maggior parte dei nostri casi non è una via percorribile (poiché per esempio qui in Italia come privati non possiamo dedurre quelle spese né possiamo pensare di aprire una casa editrice solo per i nostri libri, quindi anche ottimizzando al meglio le pubblicità è già un’utopia andare in pari; per non parlare del fatto che magari queste spese non ce le possiamo proprio permettere) o semplicemente non esistono i mezzi per seguirla (nel mercato italiano l’unico strumento pubblicitario utile in questo senso è Facebook, che però è troppo generico e poco efficiente nel profilare i lettori). Quindi ciò che è riportato nel libro è utile quasi esclusivamente per i mercati anglosassoni.
Nello specifico Gaughran fa molto affidamento sull’uso alle pubblicità di Bookbub (da non confondere con i featured deals), che danno dei risultati molto migliori rispetto alle pubblicità di Facebook e a quelle di Amazon.
Queste ultime sono disponibili solo sul mercato USA (ovviamente solo su Amazon), e sono anche le più scadenti in quanto a risultati. E infatti ne accenna appena.
Quelle su Facebook sono le uniche applicabili a qualsiasi mercato, incluso quello italiano, ed è un peccato che non vengano approfondite in questo libro. Ma il punto è che l’autore non lo fa proprio perché le considera poco efficaci. Le pubblicità di Bookbub invece possono essere usate per raggiungere qualsiasi lettore in USA, UK, Canada, Australia e anche in India. Inoltre si possono creare manualmente dei link a qualsiasi retailer o sito in generale, scegliendo la combinazione paese-link che si preferisce.
A proposito dei suggerimenti che dà, ci sono due aspetti che ho trovato interessanti.
Il primo riguarda i libri non presenti in Kindle Unlimited (KU). Secondo Gaughran, gli autori di questi libri non devono fissarsi con Amazon, poiché non hanno nessuna possibilità di scalare le classifiche. Ciò che conta è che alla fine della fiera, sommando tutte le sorgenti di guadagno, arrivino a una cifra totale interessante. A questo scopo possono utilizzare le pubblicità di Bookbub indirizzandole a mercati più piccoli, in cui c’è meno concorrenza e soprattutto ci sono poche offerte scontate (a differenza di quanto accade su Amazon), come, per esempio, Kobo o Apple in Australia.
Il secondo riguarda Amazon e i libri in KU (vi ricordo che per farne parte bisogna pubblicare in esclusiva su Amazon), che di fatto guadagnano bene non direttamente tramite la pubblicità, ma attraverso l’ondata di pagine lette che appaiono dopo circa una settimana. In pratica, secondo lui, chi è su KU deve essere molto aggressivo con la pubblicità (spendere ancora più soldi), ma farlo per soli cinque giorni e poi raccogliere i frutti per il resto del mese. Quindi riprendere da capo il mese successivo, senza mai fermarsi.
A questo proposito c’è una mezza contraddizione quando dice che questo sistema si può applicare in parte anche con i libri non su KU, perché tanto guadagneranno sempre di più da Amazon. Solo che questi ultimi non hanno le pagine lette, quindi c’è il forte rischio di andare in perdita.
Di fatto l’argomento non viene approfondito e per i non-KU resta solo: il consiglio di fare pubblicità sugli altri store e quello di usare la mailing list, inviando spesso materiale utile agli iscritti. Questo è ciò che fa lui, ma diventa un po’ difficile se pubblichi narrativa. Che devo scrivere ai lettori? Quando dovrei trovare il tempo per farlo? Ma, soprattutto, siamo sicuri che a loro freghi qualcosa?
Inoltre, se un lettore è già nella tua mailing list, vuol dire che ha portato a termine il suo viaggio, quindi in realtà questo consiglio non è una soluzione al problema di partenza.
Insomma, l’idea che mi sono fatta è questa.
Se hai i libri su KU, spendi un sacco sulla pubblicità e usa i suoi suggerimenti per migliorare il viaggio del lettore.
Se non hai i libri su KU, è un casino, a meno che non scrivi non-fiction per un pubblico di lettori in cerca di informazioni, come fa Gaughran. In realtà è autore anche di diversi libri narrativa, ma il fatto che si sia rimesso a pubblicare non-fiction e che adesso faccia il consulente per un altro autore mette in evidenza come sia difficile avere risultati sufficienti esclusivamente con la narrativa, se allo stesso tempo non si propone un certo tipo di prodotto (una serie in determinati generi) e non si è su KU.
In ogni caso il mio giudizio è molto positivo (da qui le cinque stelle), perché comunque Gaughran è onesto, non promette formule magiche e dice chiaramente che c’è tanto lavoro da fare e che non è affatto così facile farlo. Inoltre il libro parla effettivamente di ciò che è promesso nel titolo, né più né meno. E infine è ben fatto, sotto ogni punto di vista, e scritto molto bene. La sua utilità per migliorare le vendite di un libro è limitata all’autore che pubblica sul mercato anglosassone (e preferibilmente in esclusiva su Amazon), però è sicuramente uno strumento molto interessante per comprendere le modalità con cui un lettore sconosciuto diventa un fan e individuare i punti deboli presenti nei nostri prodotti editoriali che mettono a rischio il suo viaggio.
Purtroppo la discoverability resta per noi italiani ancora il problema più grosso, poiché comprare traffico non è così semplice, ma dalla nostra abbiamo il fatto che il mercato dell’editoria digitale in Italia è ancora abbastanza piccolo da permetterci di usare vie alternative per far scoprire il nostro libro. È più facile uscire dall’invisibilità. Un piccolo mercato, però, significa anche che il ritorno dal punto di vista economico tende a essere altrettanto limitato.
Allo stesso tempo c’è da considerare che il fenomeno di KU anche in Italia ha completamente cannibalizzato le classifiche e gli algoritmi di Amazon, escludendone di conseguenza i titoli che non sono venduti solo su questo store. Questi non hanno quasi più alcuna possibilità di raggiungere i vertici delle classifiche di popolarità (che sono più importanti di quelle dei libri più venduti) dei generi più popolari e affollati, né di beneficiare, se non per brevissimi periodi, dell’algoritmo che suggerisce i libri ai lettori e che, negli anni passati, ha determinato numerosi casi clamorosi di successo di cui gli stessi autori non erano in grado di individuare le cause.
     Un’Islanda umida, sporca e cattiva
L’agente Erlendur della polizia di Reykjavík sta investigando sull’omicidio di un camionista. Sembra un banale caso di tentativo di rapina andato male, ma le indagini lo portano lontano, nel passato della vittima.
L’immagine che l’autore dà dell’Islanda è inquietante e cupa. In un autunno buio e piovoso Erlendur e i suoi colleghi raccolgono prove, interrogano e scavano, talvolta letteralmente, fino a far emergere una storia di stupri, suicidi e malattie mortali.
La stessa cupezza è presente anche nella sottotrama che coinvolge la figlia di Erlendur, Eva Lind, e quella di una ragazza che inspiegabilmente sparisce subito dopo il matrimonio. Qui abbiamo a che fare con droga e abusi.
Immerso in questa ambientazione tutt’altro che allegra, il lettore viene rapito dalla storia e cerca di seguire i ragionamenti del protagonista nel tentare di cavarne piede con un caso estremamente intricato, di quelli che nella realtà, se mai venissero risolti, impiegherebbero mesi se non anni di indagini. Qui l’autore è bravo a centellinare le informazioni e, quando il lettore crede di avere capito qualcosa, a distrarlo con un colpo di scena. E, nonostante la grande quantità di dettagli e i tanti nomi non semplicissimi da ricordare, si riesce comunque a seguire agevolmente la storia fino alla sua conclusione.
Ecco, se devo trovare qualcosa di negativo in questo libro è proprio il finale, sia quello del caso che il breve epilogo. Il primo è forse un po’ troppo drammatico (non spiego perché, per evitare lo spoiler). Il secondo, nel modo in cui viene mostrato, è un po’ troppo affrettato. Sembra quasi di leggere le frasi scritte alla fine di un film in cui si racconta cosa è accaduto successivamente ai personaggi, seguite dalla classica brevissima scena dopo i titoli di coda.
Leggi tutte le mie recensioni e vedi la mia libreria su: aNobii: http://www.anobii.com/anakina/booksGoodreads: http://www.goodreads.com/anakina
Ecco una lista di articoli, citazioni e interviste relativi a “Oltre il limite”.
L’elenco verrà aggiornato man mano che nuovi articoli verranno pubblicati.
Intervista a Rita Carla Francesca Monticelli su Shadowriter – L’ombra dello scrittore, 3 aprile 18
Recensione di Oltre il limite su LibriCity Group, 28 luglio 2017
Il mentore, Sindrome e Oltre il limite di Rita Carla Francesca Monticelli su Tregua Libresca, 6 luglio 2017
Intervista a Rita Carla Francesca Monticelli su LibriCity Group, 8 maggio 2017
Venerdì sera, per la rassegna “Carbonia scrive”, verrà presentata la trilogia del detective Eric Shaw di Rita Carla Francesca Monticelli su La Provincia del Sulcis Iglesiente, 25 maggio 2017
Guida al mestiere del Self Publisher (Intervista a Rita Carla Francesca Monticelli) su Cronache Letterarie, 27 febbraio 2017
Segnalazioni sui blog
Leggo Quando Voglio:
Bookish Girls:
Disponibile gratis per gli abbonati di Scribd.
Disponibile anche in formato cartaceo a 13,99 euro su Amazon e Giunti.
    Danzando nel vuoto
La trama di questo libro di certo non manca di originalità, visto che tenta di narrare di danza, cosa già di per sé difficile, ma soprattutto di farlo in un contesto fantascientifico. Il romanzo racconta la storia di Shara, una ballerina di talento che non potrà mai diventare famosa per via delle sue peculiarità fisiche (non ha un corpo minuto e slanciato) e che quindi si inventa un nuovo tipo di danza in assenza di gravità: una danza stellare.
E per certi versi il tentativo riesce anche abbastanza bene. Nelle scene in cui la voce narrante, il cameraman (ed ex-ballerino) Charlie, descrive le coreografie di Shara, per esempio, si ha quasi l’impressione di vederla danzare attraverso le riprese da lui filmate. La prosa dell’autore (anzi, degli autori) è qui evocativa e coinvolgente. Lo stesso fatto di prendere in mano un libro di fantascienza e ritrovarsi a leggere di danza è strano, ma in senso buono. Finché l’aspetto fantascientifico rimane in secondo piano, anzi, la lettura è piacevole e rimane viva la curiosità di sapere come andrà a finire.
I problemi nascono quando la fantascienza si rifà sotto e manda in frantumi tutta la poesia.
Purtroppo il romanzo risente non poco dell’essere scritto oltre quaranta anni fa. Non è solo un problema di anacronismi tecnologici, che come sempre sono inevitabili in libri che cercano di raccontare il futuro. A essi si aggiungono, infatti, numerose imprecisioni scientifiche. Alcune sono probabilmente dovute al fatto che a quei tempi si avevano poche conoscenze sugli effetti sul corpo umano dell’esposizione alla microgravità per lunghi periodi, ma per altre non ci si può appellare a un tale tipo di scusa, perché riguardano concetti abbastanza semplici di fisica. Non so se questi ultimi errori siano dovuti a licenze artistiche da parte degli autori o se siano frutto di una scarsa ricerca. Il problema è che su alcune di queste imprecisioni si basano dei punti di svolta essenziali della trama, che di conseguenza finisce per perdere di credibilità.
Si tratta comunque di una lettura piacevole che nel complesso ho deciso di giudicare positivamente proprio in virtù della sua originalità. Stardance (copertina rigida o flessibile) su Amazon.it.
    Abuso e follia
“Scomparsi” vuole essere un romanzo di genere, nello specifico un thriller psicologico, ma allo stesso tempo affronta il tema dell’abuso sulle donne, che lo incasellerebbe all’interno della cosiddetta narrativa non di genere o letteraria. Il risultato di questa unione non è del tutto felice. Il lettore non sa esattamente cosa attendersi e per certi versi vede deluse le proprie aspettative, e per altri rimane piacevolmente sorpreso. Il rischio però è quello di perderlo ben prima della fine del libro.
Ammetto che all’inizio della lettura di questo libro sono andata molto veloce. Ciò avviene quando trovo la storia lenta e me ne voglio liberare. Per circa metà delle pagine in pratica non succede nulla. La protagonista riversa addosso al lettore il proprio delirio, in prima persona al presente. Visto il contesto (due persone sono scomparse), il suo comportamento non ha il minimo senso. Ogni mio tentativo di sospendere la mia incredulità viene messo a dura prova, pagina dopo pagina.
Ora, in un libro di narrativa non di genere può capitare che non accada nulla, anche in tutto il libro, ma non in un thriller. Da qui deriva il mio disorientamento.
Il fatto che la quarta di copertina anticipi il primo flebile colpo di scena, che avviene a circa un terzo del libro, di certo non aiuta.
Quando finalmente, nella seconda parte, le cose iniziano a muoversi, la lettura si fa più interessante e saltano fuori alcune idee e cambi di direzione inattesi. Grazie a questi ho deciso di dare comunque quattro stelle. Restano però una serie di problemi.
Oltre l’inizio lentissimo e improbabile, ho trovato insopportabile (oltre che sciatto) l’uso del punto di vista in prima persona per tre personaggi diversi. Crea inutilmente confusione. E poi c’è il finale che, invece di raggiungere il culmine, a un certo punto si sgonfia. Neppure l’ultimo elemento che dovrebbe fungere da colpo di scena definitivo riesce a risollevarlo, poiché si tratta di una decisione
difficilmente realizzabile da parte di uno dei personaggi.
In poche parole, “Scomparsi” ha il pregio di raccontare una storia potenzialmente in grado di stupire e coinvolgere dal punto di vista emotivo, ma non riesce del tutto a farlo per via del ritmo molto lento e dell’inverosimiglianza che caratterizzano buona parte degli eventi narrati.
Scomparsi (Kindle, brossura, copertina rigida) su Amazon.it.
     Anche in Islanda la gente uccide
A metà strada tra il crime thriller e il giallo, questo romanzo di Michael Ridpath è il primo della sua serie ambientata in Islanda e che vede come protagonista il detective Magnus Jonson (o, meglio, Ragnarsson).
Minacciato di morte dal capo di una gang contro cui deve testimoniare, Magnus, un detective della Omicidi di Boston, viene inviato in Islanda, paese di cui è originario, per collaborare per un breve periodo con la polizia locale e nel contempo stare al sicuro fino al processo. Viene così coinvolto nelle indagini sull’omicidio di un professore universitario che pare aver fatto un’importante scoperta relativa a una saga islandese perduta che avrebbe ispirato Tolkien nella stesura de “Il signore degli anelli”.
In una Islanda in cui la leggenda e la realtà, ben evocata dalla splendida prosa dell’autore, si confondono, ci viene raccontata una storia fatta di indagini, interrogatori e deduzioni, che occupano gran parte del libro, rendendolo perlopiù un giallo. A ciò si aggiunge la vicenda personale di Magnus, che rimane però abbastanza marginale.
Devo dire che individuare l’assassino non è stato eccessivamente difficile. Come al solito in questi libri, più l’interesse si concentra su un personaggio, più diventa chiaro che non è l’assassino, per cui andando per esclusione si arriva alla soluzione prima del protagonista.
A dire la verità mentre leggevo questo libro poco mi importava di scoprire chi avesse ucciso il professore. Ero troppo concentrata nell’ammirare l’Islanda evocata dall’autore, tra vulcani, cascate, laghi e fattorie, e nell’apprezzare la sua capacità di inserire in maniera credibile “Il signore degli anelli” in quei contesti. Credo che l’idea di partenza di voler immaginare un legame tra questo famoso libro e una fantomatica saga perduta sia di per sé geniale e valga la lettura del romanzo.
Ho apprezzato poi tantissimo il lavoro di ricerca dell’autore. Il fatto stesso che non sia islandese (è britannico) l’ha spinto a chiarire tanti piccoli aspetti che un autore del posto avrebbe dato per scontati e ciò ha reso il libro ancora più interessante per chi come me è incuriosito dalla cosiddetta terra del fuoco e del ghiaccio.
Nel complesso ho trovato questo romanzo una lettura coinvolgente e ricca di informazioni, una di quelle che, oltre a divertirti, ti insegnano qualcosa.
    Storia complessa e godibile con un inizio un po’ lento
Questa novella è il primo libro di una serie di thriller che ha come protagonista Frank Bowen. Per quanto si tratti di uno scritto breve che viene offerto gratuitamente per invogliare alla lettura dei successivi, è del tutto autoconclusivo e funziona bene anche come libro singolo. Inoltre il testo è molto ben curato. Non ho notato refusi né errori di altro tipo (se ce ne sono, devono essere proprio pochi).
La storia si svolge negli anni 90 nel periodo precedente alla restituzione di Hong Kong alla Cina, mentre l’attenzione dei media è concentrata sulla guerra in Iraq. L’ambientazione internazionale abbastanza varia e ben descritta e i dettagli degli intrighi e delle procedure che coinvolgono le varie agenzie di intelligence sono segno di un notevole sforzo di ricerca che quasi stupisce, trattandosi di un testo così breve.
La trama non è eccessivamente originale e ci sono alcuni aspetti abbastanza prevedibili, tra cui il finale, ma è dotata di alcuni colpi di scena inattesi, che mantengono vivo l’interesse, e delle scene d’azione ben descritte.
Alcune parti sono forse un po’ lente. L’inizio in particolare è sotto tono e non ti fa venire la voglia di andare avanti. Se non fosse stato un libro così corto, probabilmente mi sarei subito fermata. Sono però contenta di non averlo fatto.
Infine ammetto di aver avuto qualche difficoltà nel ricordarmi i vari personaggi, forse perché sono tanti e vengono tratteggiati in maniera molto rapida. Secondo me, in questo libro c’era materiale per scrivere qualcosa di molto più lungo che avrebbe permesso di sviluppare meglio i personaggi secondari, rendendoli più interessanti e memorabili. Ciò avrebbe giovato alla storia nel suo complesso.
È stata comunque una buona lettura che mi sento di consigliare.

    Un interessante presente e futuro alternativo
Nel 1959, quando questo libro venne pubblicato per la prima volta, non eravamo ancora andati sulla Luna (ci saremmo andati ben dieci anni dopo) e la conquista dello spazio era vista come una normale estensione della cosiddetta guerra fredda. Questo scenario tutt’altro che ottimistico fa da sfondo alla storia di una famiglia di astronauti che si dipana per duecento anni. Il pessimismo di Wyndham, che avevo già visto nel suo romanzo post-apocalittico “Il giorno dei trifidi”, contrasta con l’ottimismo di molti altri autori della fantascienza ormai definita classica che immaginavano gli essere umani viaggiare nello spazio a distanza di pochi decenni e che, se fossero ancora vivi, sarebbero delusi di sapere che non siamo ancora neppure arrivati di persona su Marte. Al contrario, in “Uomini e stelle” la conquista dello spazio procede lentamente, molto più che nella realtà, ed è legata a doppio filo a eventi di natura bellica. Con salti di cinquant’anni, l’autore ci racconta quattro avventure spaziali di uomini appartenenti alla famiglia Troon (inglesi, come l’autore), cui si aggiunge quella in aviazione del nonno del primo di questi astronauti. Attraverso le loro storie ci viene illustrato un futuro grigio che per noi è, fortunatamente, alternativo, in cui l’astronautica è lo strumento di una guerra distruttiva che porta a stravolgere gli equilibri politici del nostro pianeta. Ogni storia reca con sé un atmosfera cupa e si risolve in un finale deprimente, fatta eccezione per l’ultima, che termina con una nota positiva. L’esercizio speculativo di Wyndham sembra quasi un monito agli uomini del suo tempo. È come se l’autore avesse sublimato i suoi peggiori timori all’interno di questo romanzo nel tentativo di trovare, alla fine del tunnel, una luce di speranza. Per riuscire ad apprezzarlo oggi, soprattutto alla luce delle attuali conoscenze scientifiche che evidenziano l’ingenuità della scienza narrata nel romanzo, bisogna provare a mettersi nei panni dell’autore, che a poco più di un decennio dall’inizio della guerra fredda teme per il futuro del mondo e prova a immaginare cosa succederebbe, se i suoi peggiori timori si realizzassero. Leggere questo romanzo in un certo senso mi ha fatto sentire bene, poiché i presupposti su cui si basa non esistono più e il suo sviluppo drammatico al giorno d’oggi sembra addirittura assurdo, ma allo stesso tempo mi ha indotto a riflettere su come la percezione del mondo e del futuro possa cambiare drasticamente col passare dei decenni.
Uomini e stelle (copertina rigida) su Amazon.it.
Leggi tutte le mie recensioni e vedi la mia libreria su: aNobii: http://www.anobii.com/anakina/booksGoodreads: http://www.goodreads.com/anakina
    Ben strutturato, ma non memorabile. Traduzione scadente
Nel recensire questo libro mi trovo a dover fare una distinzione tra la mia opinione sul libro in sé e quella sull’edizione che ho letto, vale a dire quella italiana cartacea della Newton Compton. Dico subito che nel voto non ho considerato l’edizione, poiché avrebbe rischiato di dimezzarlo.
“Artemis” è un technothriller con una componente scientifica ben curata, come d’altronde mi attendevo da Weir. Se volessi fare un paragone con i libri di altri autori, il primo nome che mi viene in mente è Crichton (scusami, maestro!), per il fatto che tutta la storia è asservita all’intenzione di parlare al lettore di scienza. La somiglianza però finisce qui.
I libri di Crichton, infatti, tendevano a girare intorno a un grande tema scientifico, magari con risvolti morali, senza preoccuparsi di descrivere per forza delle tecnologie reali o plausibili (a volte bastava soltanto che lo sembrassero), ma soprattutto avevano un tono drammatico e spesso di denuncia. I libri di Weir, invece, fanno ridere, letteralmente. I suoi protagonisti non si prendono troppo sul serio e hanno sempre la battuta pronta, talvolta rivolta al lettore, anche in situazioni di vita o di morte (di altri o propria). È evidente che l’autore si diverte a metterli nei guai per poi trovare un modo da nerd per tirarceli fuori. Unendo questi due aspetti, abbiamo a che fare con dei novelli MacGyver che utilizzano le proprie conoscenze e i pochi mezzi a disposizione per risolvere situazioni disperate. In questo senso “Artemis” assomiglia molto a “The Martian”.
Ci sono, però, delle grosse differenze. “Artemis” per certi versi è scritto meglio, nel senso che ha una struttura meglio studiata e caratterizzata da un ritmo della narrazione ben cadenzato che funziona alla perfezione. “The Martian”, invece, essendo nato da episodi pubblicati sul blog dell’autore, presenta gli effetti di questa serialità indisciplinata che a volte stranisce il lettore. Però proprio questo suo non essere strutturato nel modo “giusto” lo rende imprevedibile e di conseguenza più godibile.
In “Artemis”, al contrario, per quanto ci troviamo di fronte a colpi di scena imprevedibili, questi lo sono solo nella sostanza (cioè non sappiamo cosa succederà), ma non nella tempistica, poiché sono talmente inseriti nel punto giusto della storia che in qualche modo li vediamo arrivare (cioè sappiamo che stanno per accadere).
A ciò si aggiunge qualche cliché a destra e a manca e un’antieroina che alla fine si trasforma in eroina travolgendo il lettore con una scontata ondata di buonismo, la cui conseguenza è una certa dose di delusione.
Al di là di tutto questo a rendere sostanzialmente “Artemis” più debole di “The Martian” è lo spessore della trama. Nel confronto tra la storia di una giovane criminale che finisce nel mirino di criminali peggiori di lei nella prima città sulla Luna e quella di un astronauta lasciato per errore su Marte (un pianeta deserto e letale), la prima ne esce con le ossa rotte.
Nonostante ciò, “Artemis” è una lettura gradevole e divertente, con una protagonista simpatica e con tanti spunti scientifici stuzzicanti. È fatto in modo tale da piacere a più persone possibili, ma di conseguenza non per essere amato alla follia.
Discorso a parte è quello dell’edizione italiana. A parte frasi qua e là poco convincenti e qualche concetto ripetuto nella stessa frase, probabile frutto di un errore durante l’editing della traduzione (che evidentemente non è poi stata riletta da nessuno), la cosa che mi ha dato in assoluto più sui nervi è ritrovarmi per almeno una decina di volte al posto della parola corretta “silicio” (in inglese “silicon”) il falso amico “silicone” (in inglese, “silicone” con la “e”). È un errore clamoroso e imbarazzante per un libro di fantascienza pubblicato nel 2017 da un grosso editore, che mette in evidenza come lo stesso editore (la Newton Compton) abbia come minimo dato il lavoro alla persona sbagliata (non ce l’ho con la traduttrice in sé, che sicuramente è stata costretta a fare un lavoro veloce e mal pagato in un ambito che non era il suo) e non l’abbia evidentemente affiancata con un editor che avesse una minima conoscenza scientifica. Ma bastava anche solo un pizzico di buon senso.
Io posso anche capire quando un traduttore cade in un falso amico (legge una “e” che non c’è), se si tratta di un caso isolato e in cui manca il contesto necessario per comprendere esattamente il significato. Il problema qui è che gran parte della storia di questo libro ruota intorno all’industria del vetro, inoltre il termine viene utilizzato almeno una decina di volte e in ognuna di esse non manca affatto il contesto. Si dice, per esempio, che ce n’è in grande quantità sulla Luna. Vi pare normale che sulla Luna, cioè un’enorme roccia nello spazio, si trovi normalmente una grande quantità di un polimero sintetico? Che ci fa lì? Ce l’hanno messo gli alieni? In un punto, poi, lo si definisce un elemento (vi sfido a trovarlo nella tavola periodica). Infine si dice che sia la base della produzione del vetro.
Ora, magari non tutti sanno che il silicio è l’elemento chimico numero 14 della tavola periodica e magari non sanno o non si ricordano che è da esso che si produce il vetro, ma è possibile che nessuna delle persone che hanno lavorato alla traduzione abbia mai sentito parlare del silicone? Non lo credo possibile. È più probabile che questo errore sia dovuto a trascuratezza. Erano convinti che “silicon” volesse dire “silicone” e, nonostante qualcosa evidentemente non tornasse (il buon senso deve aver tentato di far sentire la propria voce), sono andati dritti per la loro strada, perché, a quanto pare, controllare un termine sul dizionario era troppo faticoso, perché in fondo era “solo” un prodotto editoriale di massa (grave errore, visto che parliamo di fantascienza), perché avevano troppo lavoro da fare e forse perché a loro non importava più di tanto che tutto fosse corretto.
Ho saputo che l’errore è poi stato corretto nell’edizione digitale, ma ciò non riduce minimamente la sua gravità, considerando che tra l’altro quella cartacea costa molto di più. E lì ci rimarrà finché non finiranno tutte le copie già stampate (speriamo che provvedano a eliminarlo nelle ristampe).
Alla luce di ciò mi chiedo quante altre frasi siano state interpretate in maniera errata durante la traduzione e successiva correzione. In altre parole: che libro ho letto?
Infine mi chiedo: questo libro nell’edizione originale ha davvero un linguaggio tanto più pulito rispetto a “The Martian” (che ho letto in versione originale e che è tempestato da innumerevoli varianti e usi diversi della parola “fuck” a partire proprio dalla frase di apertura)?
A questo proposito qualche dubbio mi rimane.
Come di consuetudine, alla fine di dicembre mi ritrovo a tirare le somme dell’anno appena trascorso e a pormi degli obiettivi per quello futuro.
Negli anni passati è stato relativamente semplice scrivere questo articolo, poiché molti dei progetti che avrei intrapreso dipendevano da fattori sotto il mio completo controllo. Già dall’anno scorso, però, ho dovuto limitare in parte i miei propositi, in quanto non sapevo se alcune cose che erano in ballo sarebbero andate in porto e quindi non ero in grado di programmare niente di specifico dopo il mese di maggio. Adesso per il 2018 sarà ancora più complicato per via del trascinarsi di alcune faccende in sospeso, una delle quali si è conclusa proprio all’inizio di dicembre, e quindi in questi prossimi mesi forse riuscirò a capire un po’ meglio in che direzione incanalare i miei sforzi. Vi sono però dei punti fermi: alcuni propositi su cui ho le idee chiare.
- ho completato la stesura di “ Oltre il limite” (il libro finale della trilogia del detective Eric Shaw), ho fatto l’editing del libro e l’ho pubblicato il 21 maggio;
- mi sono fermata per circa un mese dopo il completamento della prima stesura di questo libro, ma non posso proprio dire di aver ricaricato del tutto le batterie, perché sono stata abbastanza presa da questioni familiari e persino di salute (mi è venuta l’allergia agli acari);
- ho cercato di impegnarmi per promuovere la trilogia del detective Eric Shaw tramite eventi offline, iniziando con una presentazione in piena regola a Carbonia a pochi giorni dall’uscita dell’ultimo libro. È stato un evento molto divertente e con un’ottima affluenza di pubblico. Purtroppo non ne sono seguiti degli altri, anche se ho ricevuto diverse proposte, poiché per motivi organizzativi e/o per mancanza di tempo da parte mia non si è riusciti ancora a concretizzarle. Ma confido che si riuscirà in futuro;
- ho dedicato un po’ di tempo a FantascientifiCast, anche se solo nella prima parte dell’anno. Nella seconda non è stato possibile semplicemente perché non ho seguito nessuna nuova serie di fantascienza in TV e ho visto davvero pochi film di questo genere al cinema. Anche nell’ambito della lettura ho avuto a che fare perlopiù con libri di fantascienza vecchi di decenni. Per fortuna nel 2018 uscirà la seconda serie di “Westworld” e del docudrama “Marte”, quindi potreste tornare ad ascoltarmi (Omar Serafini permettendo!);
- ho letto circa 52 libri (dico circa, perché sto scrivendo questo articolo con un certo anticipo, ma confido di raggiungere quella quota entro il 31 dicembre);
- fino a settembre sono riuscita a programmare in anticipo i post per questo blog (e anche per quello in inglese), poi ho effettivamente lasciato perdere (tranne che per questo post), perché al momento non è una delle mie priorità. Ho una serie di articoli in corso (quella su Marte) e diverse recensioni di libri che ho letto da scrivere, ma oltre a questo ho intenzione di scrivere sul blog solo quando sento di avere qualcosa di interessante da dire, senza sforzarmi a farlo per dovere;
- credo di essere riuscita a organizzare un po’ meglio il mio tempo lavorativo. La scorsa estate me la sono goduta abbastanza, grazie anche al clima particolarmente stabile che l’ha caratterizzata. Ho anche fatto un bel viaggio (una crociera in Danimarca e Norvegia). Nei mesi autunnali sono riuscita a dedicarmi ad alcune cose che mi interessavano (ve ne parlo più avanti) e a riprendere un certo ritmo di lavoro, dopo una lunga pausa dalla scrittura di cui avevo veramente bisogno;
- infine ho fatto un bilancio dei miei primi cinque anni da self-publisher. Si tratta ovviamente di un bilancio positivo, ma allo stesso tempo è accompagnato dalla consapevolezza che in questo lasso di tempo tante cose sono cambiate nel mercato editoriale e ciò richiede lo sviluppo di nuovi approcci.
Cosa non sono riuscita a fare?
Purtroppo nel 2017 non è stato possibile ripetere l’esperienza del corso a Varese, ma sapevo già che c’era il rischio di saltare almeno un anno. Speriamo di riuscirci nel 2018.
Inoltre non ho scritto tanto, ma questa è stata una mia scelta. Ho ripreso a scrivere, molto lentamente, a novembre, con la consapevolezza che da gennaio dovrò aumentare il ritmo.
Cos’altro ho fatto o mi è successo nel 2017?
Tanto per iniziare ho trovato una agente per gestire i diritti di traduzione di alcuni dei miei libri, in particolare della trilogia del detective Eric Shaw. Sono arrivata a questa persona dopo quasi un anno e mezzo di ricerche, in cui ho avuto modo di discutere con altri agenti di una possibile collaborazione senza riuscire a trovare il giusto accordo. Mettermi a lavorare con lei mi ha portato via del tempo, necessario per preparare il materiale di cui aveva bisogno. Tra l’altro questa persona non parla italiano e non ha quindi modo di leggere alcuni dei libri che sta rappresentando, almeno finché non saranno tradotti in inglese. Ciò mi ha costretto a scrivere per lei delle sinossi molto particolareggiate. E considerate che io odio scrivere riassunti in italiano, figuratevi in inglese!
Siamo ancora all’inizio del nostro rapporto e non mi faccio grandi illusioni a proposito, ma esso comunque rappresenta un primo passo verso il mio cercare nuove vie per raggiungere più lettori in mercati linguistici in cui non potrei mai arrivare in altro modo.
Il secondo evento importante, che è anche il più recente (avvenuto in maniera definitiva solo all’inizio di dicembre), è stato la restituzione dei diritti di traduzione in inglese de “Il mentore” (primo libro della trilogia del detective Shaw) da parte di Amazon Publishing. Ve ne ho parlato qualche tempo fa.
Ciò mi ha posto improvvisamente di fronte a nuove scelte e potenziali opportunità.
Nei mesi scorsi, nell’attesa che ciò avvenisse, ho deciso di riprendere a studiare in maniera specifica alcuni aspetti della lingua inglese. Ho iniziato a studiare questa lingua da bambina e la uso per lavoro e nella vita privata in maniera costante da una ventina d’anni (da quando ho accesso a internet). Inoltre ho già tradotto altri miei libri in inglese (la serie di “Deserto rosso” e “Affinità d’intenti”). Ma adesso con la restituzione dei diritti de “Il mentore” e con la collaborazione con una agente britannica ho necessità di fare un ulteriore salto di qualità.
E poi, diciamo la verità, tutto ciò mi diverte parecchio, poiché implica esercitarmi con un lingua straniera (cosa che amo, tanto che se potessi non farei altro tutto il giorno!), oltre che leggere libri, guardare film e serie TV con la scusa che mi serve per migliorare le mie capacità di scrittura e quelle di ascolto.
Così, dopo qualche mese di solo studio (chiamiamolo così), sono tornata a tradurre in inglese: ho iniziato una nuova traduzione de “Il mentore”.
Nel 2017 inoltre ho seguito ben nove MOOCs, vale a dire corsi online aperti su larga scala (Mass Open Online Courses), grazie ai quali ho imparato diverse cose che mi saranno più o meno direttamente utili per il mio lavoro. Alcuni sono stati una forma di ricerca per progetti letterari futuri, altri sono serviti per migliorare il mio inglese, altri per ampliare le mie conoscenze nell’ambito della narrativa e della scrittura in generale, infine altri per aggiungerne di nuove alla mia preparazione scientifica. Tra questi senza dubbio il più interessante (e lungo: otto settimane) è stato “ Moons”, un corso sulle lune del Sistema Solare organizzato su FutureLearn da The Open University.
Non paga di tutto ciò, mi sono iscritta già ad altri cinque corsi per il 2018 e tendo a pensare che se ne aggiungeranno degli altri.
Anche se quest’anno non ho scritto molto, non significa che non abbia creato nuove storie. Ho infatti scritto appunti, abbozzi di outline e talvolta outline complete per nove futuri progetti letterari. Tra questi c’è anche un breve prequel (una novella) della trilogia del detective Shaw, di cui ho già una outline completa, anche se non so ancora se/quando scriverò il libro. È solo una questione di decidersi a scriverlo.
Oltre a questi nove progetti, c’è poi quello di “Sirius. In caduta libera”, di cui però vi parlerò nei propositi per il nuovo anno.
Tra le nuove esperienze del 2017 c’è poi Wattpad. In realtà ho un account sul sito già da un paio di anni e in passato ci tenevo soltanto un’anteprima di due libri in inglese. Da ottobre scorso ho iniziato a interessarmi al pubblico italiano e, per curiosità, ho iniziato a pubblicare a puntate la mia vecchia fan fiction “ La morte è soltanto il principio” (la pubblicazione è stata completata poco prima di Natale). È stato un modo anche per revisionarla per l’ennesima volta e vedere se potevo sfruttarla per trovare qualche altro lettore.
Non credo che userei mai Wattpad per scrivere un progetto in corso a puntate, ma potrebbe essere uno strumento interessante per fare qualche esperimento promozionale.
Infine, ma non meno importante, ho iniziato a scrivere “Self-publishing lab: Il mestiere dell’autoeditore”, un libro basato sul corso di self-publishing che ho tenuto all’Università degli Studi dell’Insubria nel 2016.
Insomma, alla fine non si può dire che nel 2017 mi sia girata i pollici, vero?
 E adesso eccovi i miei propositi per il 2018:
1) scrivere e pubblicare “Sirius. In caduta libera”, la quarta parte del ciclo dell’Aurora. Inizierò a scriverlo subito dopo il periodo natalizio e ho intenzione di pubblicarlo, come previsto, il 30 novembre. A proposito di questo libro vi parlerò più diffusamente più avanti, quando sarò a buon punto con la stesura. Per adesso vi dico solo che è ambientato circa cinque anni prima de “L’isola di Gaia”, che ha come voce narrante principale il personaggio di Hassan Qabbani e che la storia si svolge per gran parte nell’ orbita terrestre;
2) finire di tradurre in inglese “Il mentore” entro i primi mesi dell’anno (incluso il processo di editing e proofreading). Questo progetto è prioritario, poiché vorrei al più presto averlo a disposizione della sua versione definitiva per valutare le varie opportunità di ripubblicazione e concomitante promozione della trilogia sul mercato inglese. A tal proposito, vorrei anche riuscire a portarmi avanti con la traduzione dei due successivi (magari completare quella del secondo), ma su di essi non mi pongo al momento delle scadenze;
3) completare la prima stesura di “Self-publishing lab: Il mestiere dell’autoeditore”. Il massimo sarebbe riuscire ad arrivare, se non alla pubblicazione, almeno alla sua stesura definitiva, ma anche qui non metto delle scadenze. Si tratta del primo libro di non-fiction che scrivo e richiede da parte mia un’attenzione diversa nei riguardi sia del contenuto che, soprattutto, della confezionamento. Quando l’avrò completato, programmerò i dettagli della sua pubblicazione e promozione;
4) leggere libri più lunghi. Negli anni passati ho stabilito che avrei letto in media un libro alla settimana. Mi rendo conto che questo proposito non fa per me, poiché mi costringe a leggere numerosi libri brevi o non particolarmente lunghi pur di raggiungere l’obiettivo. Non credo che abbia senso. Come lettrice il mio romanzo ideale ha almeno 400 pagine, ma se ne ha il doppio o anche di più, ed è un bel libro, diventa addirittura perfetto, poiché per forza di cose racconta delle storie più complesse. E io amo le storie complesse. Perciò ho deciso di non pormi un minimo di libri all’anno, bensì un minimo di lunghezza (per esempio, 400 pagine in media) per circa l’80% dei libri che leggerò nel 2018. Inoltre tra questi almeno un terzo sarà costituito da romanzi in inglese britannico, poiché si tratta della variante in cui sto traducendo i miei libri.
Questo è tutto: solo quattro propositi, ma tutti importanti e sotto il mio pieno controllo, salvo cause di forza maggiore.
Che ne pensate?
Ovviamente ho altri progetti, ma preferisco parlarvene quando avrò deciso a quale dare la priorità.
Come di consueto, voglio concludere questo articolo ringraziando tutti i miei cari, i miei amici, i miei collaboratori e i miei lettori. Con voi, grazie a voi e anche per voi affronto questo lavoro con determinazione e passione. E i miei risultati sono anche un po’ vostri.
Grazie di cuore.
Auguro a tutti voi un 2018 pieno di soddisfazioni e, se si va, sarei felice di conoscere i vostri propositi nei commenti a questo articolo o sui vari social network in cui lo condividerò. Buona fine e buon inizio!
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