Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

    Il giovane Lecter
Comprato e letto in pochi giorni, prima di vederne la versione cinematografica, quest'ultima (finora) opera di Harris conferma il mio estremo apprezzamento nei confronti di questo autore. In questo romanzo si fa un balzo indietro nel tempo a scoprire ciò che ha generato il famigerato cannibale. Già nel precedente "Hannibal" l'autore aveva accennato al passato di Lecter, qui invece ci porta a vederlo con i nostri occhi. In un ambientazione carica di malvagità e orrori, il piccolo Hannibal si trasforma nel giovane mostro vendicatore, dal quale prenderà forma uno dei personaggi più belli e carismatici della letteratura moderna. Una lettura essenziale per chi, come me, subisce il fascino di questo personaggio. Un'opera che ti cattura e non ti lascia andare, finché non ne avrai letto l'ultima parola.
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    In assoluto il mio libro preferito
In questo libro Thomas Harris a mio parere raggiunge davvero il suo apice, facendoci entrare dentro la testa di Hannibal Lecter, nel suo palazzo della memoria, mostrandoci un personaggio che in fondo, se paragonato a tutti gli altri, non è neppure il più cattivo, bensì l'eroe di una storia dove i buoni, quelli veri, non esistono.
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    Adrenalina
Ho letto questo libro per curiosità solo dopo che il film vinse l'Oscar nel 1992. Avevo il libro da un paio d'anni, ma non mi ero mai avventurata nella lettura e, a dire la verità, non ero molto interessata neppure al film. Il fatto che un thriller vincesse un Oscar come miglior film era decisamente insolito e mi ha portato a pensare che si trattasse di una storia eccezionale. Ricordo ancora quanto mi batteva forte il cuore mentre leggevo la scena clou a casa dell'assassino, di notte seduta sul mio letto. Non credo che nessun altro libro sia mai riuscito a coinvolgermi a tal punto da perdere il contatto con la realtà.
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    La prima apparizione di un mito
Ho letto questo libro tra l'aver visto "Manhunter - frammenti di un omicidio" e "Red Dragon" (il film). In tutti e tre i casi la storia mi ha appassionato tantissimo. Sarà perché è davvero una bella storia? Anche se qui Lecter ha un ruolo marginale, inizia comunque a trasparire il suo carisma, che lo renderà, a mio parere, uno dei personaggi letterari meglio riusciti in assoluto e indubbiamente il mio preferito.
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   Opera prima di un grande
Ho iniziato a leggere questo libro nell'estate del 2001, ma poi dopo l'11 settembre non ce l'ho fatta ad andare avanti e l'ho messo da parte. Harris è così bravo a farti entrare nella mente dei personaggi, in questo caso dei terroristi, che davvero è difficile non farsi coinvolgere. L'ho ripreso anni dopo e l'ho finito in un baleno. Sebbene scritto un bel po' di anni fa (1975) già in questo libro ci sono tutti gli elementi che caratterizzano le opere di questo autore e sono stata colpita da quella che chiamo la sindrome Harris (perché nessun altro autore mi fa questo effetto, che invece si è manifestato con tutti i suoi libri): cioè quella strana sindrome per cui sei così preso dal libro che sei costretto a portartelo dietro e leggere anche solo una paginetta nei tempi morti pur di andare avanti e sapere cosa succede dopo. Fantastico.
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    Ramses prima di essere faraone
È sempre difficile scrivere un commento su di un'opera di Jacq senza essere ripetitivi. L'autore affronta le storie immortali dei grandi personaggi dell'antico Egitto con un approccio molto simile e allo stesso tempo sempre vincente. Questo romanzo, primo di una serie di cinque, ci racconta l'adolescenza del giovane Ramses II, forse il più famoso faraone egiziano, mescolando sapientemente fatti storici e personaggi mitologici, entrambi in genere ben noti al lettore, con la finzione della trama da lui creata. Usando un linguaggio degno del protagonista della sua opera, unisce argomenti vari, quali intrighi di corte, amore, religione, azione, suspense e magia, che come sempre è descritta come qualcosa di reale, allo stesso modo in cui era sentita nella civiltà egizia, dove essa rappresentava un tutt'uno con religione e scienza. Il risultato è un'opera in cui il lettore si trova così pienamente a suo agio, tanto che non stupisce affatto che si tratti di uno dei maggiori bestseller degli anni '90, che è stato in grado di avvicinare sempre più persone alla conoscenza e lo studio dell'antico Egitto. E questo è solo il primo capitolo di una lunga storia.
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   Bioetica e Star Trek, e poi?
Pur non avendo letto in precedenza alcun romanzo di Sawyer, mi sono avvicinata a questo libro con grande interesse, un po' perché ha scritto "Flashforward", da cui è stata tratta una serie tv che mi è piaciuta particolarmente, e un po' perché in questi mesi ho seguito assiduamente il suo profilo Facebook e mi sono documentata su di lui nel suo sito e nel suo blog. L'immagine che ne ho avuto è stata quella di un professionista della fantascienza, che nelle sue opere tratta argomenti che non possono che suscitare l'interesse di un lettore del genere in questione. Mi sono anche illusa di trovare una trama bella complessa che stimolasse al massimo la mia attenzione, diventendomi. La trama di per sé si presentava bene e lo stile è quello che ti spinge a continuare a girare pagina per vedere cosa succede dopo. Ma dopo le prime 100 pagine mi sono resa conto che c'era qualcosa che non mi tornava. All'inizio avevo dato colpa all'edizione, che di pecche ne ha parecchie, e soprattutto alla traduzione, talvolta esageratamente fedele all'originale tanto da dare luogo ad espressioni che di italiano hanno ben poco. Retrotraducendo mentalmente certe frasi, già dalle prime pagine, però mi rendevo conto che probabilmente le stesse frasi nella lingua originale parevano sicuramente meno strane e probabilmente funzionavano. C'è da dire a questo proposito che l'inglese si presta di per sé ad un linguaggio più immediato di quanto non faccia l'italiano. Con questo intendo che un'espressione scarna e immediata può funzionare benissimo nell'inglese scritto, mentre non si può sempre dire altrettanto dell'italiano. In ogni caso si trattava di problemi minori. Uno stile semplice e di rapida lettura è sicuramente adatto ad un romanzo di fantascienza, in cui altri aspetti fanno la parte del leone. Il problema sorge quando questi aspetti iniziano a venire meno. La narrazione è semplice e a tratti accattivamente, l'argomento di sicuro stimola l'immaginazione (il poter ringiovanire e in pratica rivivere da capo la vita da adulto), l'aspetto sentimentale della storia come pure quello (pseudo?) etico probabilmente può attrarre molti lettori, soprattutto quelli che cercano un tipo di romanzo in cui quello (fanta)scientifico non sia necessariamente l'argomento centrale e magari normalmente leggono tutt'altro. Ma se chi si avvicina a quest'opera è un lettore che legge i romanzi di fantascienza, perché parlano essenzialmente di finzione scientifica, allora c'è il rischio che storca un po' il naso. I motivi sono tanti e provo ad elencarli man mano che mi vengono in mente. I più palesi sono l'eccessiva ingombranza di due argomenti nel testo, che tendono a lasciare ben poco spazio ad altro. Il primo è l'etica o la bioetica. L'autore, soprattutto nella parte centrale, spezza continuamente la già lenta azione, lanciandosi, tramite il dialogo dei protagonisti, in disquisizioni di etica un po' troppo pretenziosa per un romanzo di questo genere. Più di una volta sono stata colta da un certo senso di noia e dal desiderio di passare oltre per tornare all'azione vera e propria. Tutto questo perché se voglio leggere un testo che tratti di bioetica (ammesso che la cosa mi interessi e così non è) non acquisto di certo un romanzo di Urania. Il mio fastidio mi pare quindi assolutamente giustificato. L'impressione che traggo dalla lettura è quella di un'opera abilmente costruita, buonista e in numerose parti sfacciatamente politically correct. In alcuni casi addirittura tali parti sono aggiunte, magari successivamente, tra parentesi, cosa che è un probabile segno di un intervento editoriale per rendere il prodotto appetibile per un pubblico più vasto, sebbene l'argomento di partenza fosse di per sé potenzialmente controverso. Il secondo elemento super-ingombrante è Star Trek. Abbiamo capito che l'autore è fan della saga, questo non significa che debba essere citata di continuo lungo tutto il testo, anche perché non tutti conoscono Star Trek a menadito e possono apprezzare certe cose, sebbene si tratti di fan del genere fantascientifico. Probabilmente i trekker si saranno divertiti nel ritrovare tutte queste citazioni. Io dopo un po' mi sono stufata. Al di là di questi due aspetti, che, volendo, si possono ignorare (con un po' di sforzo), il problema di fondo è che praticamente non c'è altro. La trama è staticissima. Quasi tutta la storia si svolge a casa dei protagonisti. Nessuno dei mille possibili intrecci che potevano scaturire della premessa del libro (cioè il ringiovanimento del protagonista maschile) è stato sviluppato. Il protagonista maschile, Don, che passa dagli 87 ai 25 anni, praticamente non fa nulla oltre che citare Star Trek o altri film/serie fantascientifiche e giocare a Scarabeo. E ovviamente "fottere come un riccio", citando dal libro (stendiamo un velo pietoso sull'uso di un linguaggio così volgare posto candidamente accanto alla pretesa di affrontare seriamente certi temi etici). Questo personaggio pare praticamente non avere alcun altro interesse e non si sa bene come passi il tempo. Il punto è che il personaggio in sé, per quanto sia quello principalmente seguito dalla storia, appare privo si spessore, insieme a quello della moglie, Sarah, con cui è completamente interscambiabile. I due protagonisti sembrano pensare allo stesso modo, come se non fossero distinti. Gli altri personaggi sono appena delineati e quello (Leonore) che viene appena un poco più approfondito finisce per ricadere nello stesso personaggio base Don/Sarah. L'unico che si stacca da questa tendenza è il robot, che a mio parere è il personaggio migliore. Non pare forzato e progettato al tavolino come gli altri, ma spontaneo e realistico. È più umano degli umani, che per un robot forse non è il massimo. E, diciamocelo, è pure il più simpatico. Nel frattempo la storia si sposta sempre più dalla fantascienza (il messaggio alieno passa in secondo piano) al romanzo sentimentale, degno del peggiore degli harmony. L'azione è lentissima: accade poco o nulla. I pochi avvenimenti iniziano a diventare sempre più fastidiosamente prevedibili e il finale teoricamente lacrimevole è talmente surreale che non riesce neppure in questo intento. Certamente il libro si lascia leggere senza troppe difficoltà (a parte i due ingombri sopra citati), alla fine, però, hai come l'impressione che l'autore abbia semplicemente fatto bene il suo compitino e niente più di questo.
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 Scoraggiante
Era la prima volta che mi cimentavo nella lettura di un'opera di Coe. Ho subito apprezzato il suo stile disinvolto, la sua ironia e soprattutto il modo in cui racconta la storia, rivolgendosi al lettore in terza persona e portandolo a vedere la vicenda esattamente dal suo stesso punto di vista. Quest'ultimo ha un'aria un po' distaccata e ironica e porta il lettore ad avere il medesimo approccio. Il problema di questo libro però è un altro. Sono assolutamente certa che Coe si sia divertito tantissimo a scriverlo. Si vede da quello che scrive. Ma ciò implica che chi la legge riesca altrettando a divertirsi? Direi di no. La storia è a dir poco impalpabile. Il titolo italiano "Una donna per caso" sarebbe potuto tranquillamente essere "Una sfigata qualsiasi", poiché proprio di questo il libro tratta. Racconta di una donna qualunque, assolutamente mediocre e banale, che si lascia trasportare dagli eventi senza avere alcuna forza di dare una minima impronta alla propria vita. Insomma parla di persone delle quali il mondo è pieno e che personalmente non hanno affatto il mio apprezzamento, poiché evidentemente prive di fantasia, sogni e soprattutto pigre, incapaci di far la benché minima mossa per usare degnamente la propria vita. Persone che sopravvivono invece di vivere. Era proprio necessario scrivere una storia su una di loro? Durante la lettura ho sperato che in qualche modo prima o poi la protagonista si riscattasse. Alla fine del penultimo capitolo c'era stato anche un colpo di scena positivo (anche se sempre casuale), ma è morto lì, è rimasto senza conseguenze, e l'ultimo capitolo raggiunge il massimo livello di depressione dell'intera opera. Si tratta a mio parere di una storia scoraggiante, sia per chi si rispecchia in una persona del genere, confermando la sua teoria che non può fare nulla per migliorare la propria vita, ma anche per chi tutti i giorni lotta per evitare di cadere in quell'apatia e costruisce con fatica una vita piena e interessante.
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   Interessante compendio
Ho trovato questo piccolo volume, che intende descrivere in maniera lineare la storia dell'antico Egitto, abbastanza ben fatto. È stato molto utile per rivedere in breve tempo e in modo sintetico tutta una serie di nozioni già in mio possesso, che hanno così avuto modo di essere inserite in un contesto cronologico. Penso che un libricino del genere (magari non necessariamente questo) sia indispensabile per un egittofilo, che voglia sempre avere a portata di mano delle informazioni di ordine generale. Certamente scrivere un'opera di questo tipo di così piccole dimensioni non deve essere stato facilissimo, in quanto ha portato l'autrice ad adottare alcune teorie piuttosto che altre su fatti e avvenimenti sui quali non esiste alcuna certezza, ma solo un insieme di tesi, nessuna delle quali è particolarmente esaustiva. È normale quindi che leggendo un compendio del genere ci si possa trovare di fronte ad affermazioni che sono in discordanza con conoscenze preesistenti. Personalmente preferisco l'approccio di egittologi che mettono tutto in discussione, come Jacq, piuttosto che di quelli che danno troppe cose per assodate. In ogni caso la lettura di questo saggio non mi è dispiaciuta. La sua brevità non deve però far pensare che sia un'opera adatta al curioso, che voglia in poche pagine imparare i punti salienti sulla storia degli egizi. La sintesi utilizzata dall'autrice presuppone che il lettore abbia già notevoli conoscenze sul campo, in caso contrario numerosi passaggi possono risultare difficili da comprendere e i tanti nomi così "strani" possono dare luogo a confusione. D'altro canto, se ad affrontare la lettura è un egittofilo, può essere un'utile strumento per rinfrescare e riordinare le proprie conoscenze. Ho, piuttosto, delle riserve sull'edizione. Ho notato qualche refuso, dovuto probabilmente ad una cattiva correzione delle bozze, e almeno un grave errore di traduzione (almeno spero che sia tale). Quest'ultimo mi ha dato particolarmente fastidio, poiché la sua presenza finisce per svalutare l'opera. In un paragrafo in cui si parla di calendari e misurazione del tempo, la parola "giorni" viene usata al posto di "anni" stravolgendo il significato di una frase essenziale per comprendere poi dei passaggi successivi. Il risultato è un paragrafo confuso, che crea più dubbi che certezze su di un argomento di fondamentale importanza per comprendere la datazione dei reperti dell'antico Egitto. A ciò si aggiunge il dubbio che in altre parti del libro ci siano errori analoghi, non rilevati, che abbiano potuto portare il lettore a conclusioni sbagliate. E questo, a mio parere, è un davvero un gran peccato.
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