Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
     Il primo Bosch non si scorda mai
Non avevo mai letto nulla di Connelly in passato e ammetto che sono stata attratta da questa serie, poiché è stata portata alla mia attenzione dall’esistenza di una trasposizione televisiva prodotta da Amazon Studios. A parte ciò non sapevo nulla del protagonista, Harry Bosch, né avevo letto la trama di questo primo romanzo. Ho solo deciso di prenderlo e leggerlo, per poi rimandare i giudizi a dopo.
Be’, è stato un colpo di fulmine.
Sono subito riuscita a creare un forte legame con questo personaggio così pieno di difetti da essere un perfetto anti-eroe. Harry beve troppo, fuma troppo, dorme poco, mangia poco, è indisciplinato, cosa che l’ha portato a venire esiliato nella Omicidi di Hollywood. Ma Harry è scaltro, testardo, dotato di un grande intuito, che in passato gli ha procurato notevole successo. Nonostante la sua vita sia diventata problematica, fa di tutto per portare a termine il proprio lavoro, in particolare, come accade in questo libro, se si rende conto che in qualche modo è finito pure lui coinvolto nel caso.
Infatti non ci troviamo di fronte a un giallo, ma a un crime thriller. Il grado di coinvolgimento del protagonista sia con la vittima che con uno dei responsabili della sua morte lo rende parte integrante della trama principale, facendo sì che il personaggio subisca una crescita lungo l’arco della storia.
È anche vero che la delusione cui incorre (non specifico a che proposito per evitare spoiler) potrebbe bloccare questo processo e fare in modo che il personaggio si ripeta tale e quale nei libri successivi, ma l’esistenza di una sottotrama complessa mi fa ben sperare.
Ho trovato molto interessante la ricostruzione storica relativa ai topi delle gallerie in Vietnam. Una cosa che apprezzo parecchio nei romanzi che leggo è la loro capacità di insegnarti qualcosa di inatteso e “La memoria del topo” ci è riuscito.
Inoltre è suggestivo leggere una storia ambientata in un periodo in cui la gente usava ancora il telefono fisso per comunicare, non c’erano i cellulari e l’accesso ai computer era difficile persino per un detective della polizia. Tutto ciò rende l’investigazione più complessa e avvincente.
L’introspezione del personaggio è magnifica. Non si può non amarlo e non volerne sapere di più.
La trama è superintricata, non scade mai nella banalità, costringendoti a leggere con estrema attenzione tutto il romanzo.
La struttura in lunghe parti (suddivise nei pochi giorni in cui si svolge la storia) ti spinge a leggere il più possibile e così il romanzo scorre via veloce, nonostante il numero consistente di pagine.
Personalmente poi l’ho trovato di grande ispirazione durante la scrittura di un mio libro caratterizzato da un mood simile e questa scoperta è stata per una la ciliegina sulla torta che ha reso la lettura ancora più soddisfacente.
Insomma, in generale posso dire che si tratta di un gran bel romanzo e senza dubbio leggerò anche i successivi.
     Mai lasciarsi ipnotizzare!
Questo breve thriller paranormale è un’altra piccola perla dell’estesa produzione letteraria di Matheson. Pur essendo un’opera abbastanza breve, riesce a essere un libro completo, grazie alla capacità dell’autore di usare un ritmo veloce, che non si perde in troppe chiacchiere, ma riesce a sintetizzare in uno spazio ristretto una trama complessa.
Come sempre nei suoi libri non hai idea di cosa possa succedere dopo, poiché è difficile etichettarli e quindi risalire dal genere al tipo di trama. Il suo muoversi con disinvoltura tra il fantascientifico e la fantasia pura fa sì che il lettore non sappia cosa attendersi quando prende in mano un suo libro.
Nonostante il romanzo sia datato, la prosa suona contemporanea (anche grazie anche alla traduzione).
Il personaggio principale, Tom, che dopo essersi lasciato ipnotizzare inizia a vedere e sentire cose strane, è caratterizzato da grande ironia e un pizzico di follia, che lo rendono affascinante. Forse i protagonisti di molti dei suoi libri tendono ad assomigliarsi, ma ciò non li rende meno interessanti.
L’unico aspetto negativo che riesco a individuare è la scelta del titolo italiano, che vuole evidentemente ricordare una sua opera più famosa, “Io sono leggenda”. È una scelta di marketing davvero pessima, poiché i due libri appartengono a generi abbastanza diversi e potrebbero attirare lettori con gusti differenti.
    Una realtà dura, struggente, imperdonabile
Questo romanzo mi ha catturato dalla prima pagina, grazie alla bella prosa, fantasiosa, evocativa e particolarmente ispirata dell’autrice, caratterizzata da un vocabolario ampio e un uso originale delle parole.
È facile immedesimarsi nei personaggi, anche quando nulla hanno in comune con chi legge, e nelle loro miserie, interiori ed esteriori. È impossibile non rimanerne colpiti e a volte a nauseati nel comprenderne le implicazioni.
Il colpo di scena finale non è del tutto inatteso, aleggiava lungo il libro, ma ti raggiunge quando ormai non ci pensi più, distratto da altro.
Il motivo per cui non riesco a dare più di quattro stelle a questo romanzo è che non ho apprezzato la scelta di mostrare gli eventi della storia prima dal punto di vista di un personaggio e poi da quello dell’altro (mi riferisco ai due protagonisti: Alice e Nico). Le porzioni delle scene completamente sovrapposte erano troppe. Ogni volta si tornava indietro, mentre io volevo sapere cosa sarebbe successo dopo. L’utilizzo di questa tecnica allunga il testo, ma non porta avanti l’azione. Mi ha indotto più volte a interrompere la lettura e sono stata tentata di abbandonare del tutto il libro.
Ho inoltre trovato molto difficile seguire i dialoghi in dialetto, che in alcuni casi erano per me totalmente incomprensibili.
Due nemici potranno mai fidarsi completamente l’uno dell’altro?

In un lontano futuro, il pianeta Thalas è teatro di una lunga guerra tra la colonia degli umani, arrivati dalla Terra per esplorarlo e forti dei propri mezzi e del proprio sviluppo tecnologico e sociale, e la specie autoctona delle sirene. Queste creature umanoidi, dall’intelligenza sopraffina e perfettamente adattate a un pianeta la cui quasi totale superficie è ricoperta da un unico immenso oceano, non hanno mai cercato di comunicare con i colonizzatori e, nonostante siano ormai ridotte in numero, continuano a combatterli tramite atti terroristici in maniera cieca e rifiutando ogni possibilità di pace.
Questo è il contesto che, in “Per caso”, fa da sfondo alla storia di una (im)possibile amicizia tra un umano e un alieno, due nemici che una sequenza di eventi casuali ha portato a confrontarsi.
Doc è un ufficiale del Corpo della Difesa della colonia umana di Thalas. Il suo lavoro è uccidere le sirene. Di ritorno alla stazione spaziale Poseidon, dopo una ricognizione nel dominio sirenico insieme alla sua partner, s’imbatte nel relitto di una nave stellare, adibita al trasporto di trecento passeggeri in animazione sospesa e di cui si erano perse le tracce diversi decenni prima. La Chance, così si chiama l’astronave, è ormai un cimitero, poiché da tempo non ha abbastanza energia per sostenere la criostasi del suo carico, ma, durante l’investigazione per scoprire cosa abbia provocato la sua scomparsa, Doc si ritrova a conoscere da vicino l’incomprensibile mentalità delle sirene, inaccettabile per il modo di ragionare degli esseri umani, ma che getta luce sulle azioni degli individui di questa specie, pronti a immolarsi pur di uccidere uno solo di coloro che definiscono invasori. Ma forse, al di là della guerra, al di là del terrore, può ancora esistere l’amicizia.
L’edizione acquistabile su Google Play è in ePub senza DRM e quindi leggibile su qualsiasi dispositivo (incluso Kobo e iPad).
È inoltre disponibile in edizione cartacea (a 7,99 euro) su Amazon e Giunti.
A partire dal 1° settembre il prezzo su Amazon, Giunti e Google Play salirà a 2,99 euro.
    Strano, ma divertente
La fantascienza classica è un universo variegato che riserva interessanti scoperte. Una di questa è senza dubbio “Memorie di una astronauta” (o “Memorie di un’astronauta donna”, secondo l’edizione) di Naomi Mitchison, uno strano e folle libro in cui una donna astronauta racconta le vicende di cui è protagonista in maniera discorsiva.
L’autrice mostra una fantasia esagerata nell’inventarsi i mondi e gli alieni più bizzarri e nell’intessere trame imprevedibili all’interno dei singoli episodi narrati. Il personaggio principale è Mary, un’esperta di comunicazioni che ha l’occasione di mettere in pratica le proprie conoscenze nei modi più disparati. Lo stile è colloquiale, dando l’impressione che Mary ti stia raccontando la sua vita, mentre vi fate quattro chiacchiere.
In linea generale il libro mi è piaciuto, altrimenti non gli avrei dato quattro stelle, ma ci sono alcuni aspetti che mi hanno impedito che aggiungessi la quinta.
Purtroppo si vede parecchio il passaggio del tempo (il romanzo è del 1962), soprattutto nel modo assurdo in cui viene immaginata vita sessuale del futuro. A quanto pare, viene ritenuto “moderno” o “futuristico” che le persone abbiano rapporti sessuali con l’unico scopro di procreare, ma non necessariamente per creare una relazione stabile (i figli li cresce qualcun altro), e che la parte di intrattenimento relativa al sesso sia passata di moda, poiché tutti sono impegnati a esplorare mondi e fare ricerca scientifica. Il sesso per le donne diventa un passatempo che serve a fare figli in grande numero (non si capisce come ciò possa essere accettabile, vista la sovrappopolazione) da vari padri. E basta. Al massimo dopo una certa età, quando vanno in pensione, decidono di prendere uno di questi padri come compagno definitivo.
Che cosa triste!
A questo aspetto che mi ha reso estremamente difficile la sospensione dell’incredulità, si aggiunge lo stile colloquiale, che non favorisce l’immedesimazione nella testa della protagonista.
È comunque una lettura interessante e gradevole, in particolare per chi ama immergersi nella fantascienza un po’ ingenua e “vintage”, e rendersi conto quanto questo genere letterario possa essere vario e come si sia evoluto in tutti questi anni.
     Un altro inganno del maestro
Spesso Crichton si è divertito a scrivere i propri libri in modo che sembrassero delle storie vere di cui stesse facendo un puro resoconto. L’attenzione che pone nelle finte introduzioni o prefazioni è tale che alla prima lettura non ci si accorge che esse stesse sono l’inizio del romanzo.
È quello che accade anche in “Mangiatori di morte”, in cui l’autore finge di tradurre il manoscritto del protagonista, Ibn Fadlan. Il suo intento è perfettamente riuscito. Il testo sembra davvero scritto dal personaggio storico, che in realtà non è mai esistito, sia per lo stile sia per le parti mancanti, che vengono spiegate come se davvero il libro fosse frutto di un lavoro di ricostruzione. Si tratta in realtà di un’opera di finzione in parte ispirata alla storia di Beowulf.
Nonostante lo stile reso volutamente datato, la trama è avvincente e apre uno squarcio di conoscenza sulla civiltà dei normanni, vista da quella allora più civilizzata di un arabo proveniente da Baghdad. Dopo il tempo necessario a adattarsi è questo tipo di narrazione, a un certo punto riuscivo addirittura a vedere le scene formarsi davanti agli occhi, tale era l’interesse che suscitavano in me.
All’interno della storia l’autore riesce anche a inserire qualcosa di scientifico che la rende ancora più affascinante: l’incontro con un ominide (forse) ancora esistente a quei tempi.
Il finale troncato è una genialata e aggiunge ulteriore credibilità all’inganno di Crichton, che con questo romanzo mostra ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, di essere un grande narratore.
L’unico aspetto negativo di questo libro è che, avendolo letto, si è ridotto ulteriormente il numero delle opere che mi sono rimaste da leggere di questo autore che ci ha lasciato troppo presto.
     Un’eredità maledetta
Sebbene si tratti dell’ennesima storia di un complotto nazista ambientato decenni dopo la fine del Nazismo, questo romanzo di Ludlum sa essere originale e intrigante. Il protagonista, Noel Holcroft, mi ha catturato da subito. È facile sentirsi legati a lui e preoccuparsi per lui nel rendersi conto di come si stia infilando nei guai. L’autore, infatti, mostra il dipanarsi della storia da vari punti di vista e il lettore è sempre un passo avanti rispetto ai personaggi, sia buoni che cattivi.
Anche in questo romanzo si ripropone lo schema vincente, già visto nella trilogia di Bourne, di un protagonista maschile fisicamente forte ma in difficoltà e di quello femminile che lo aiuta (e infine si innamorano).
Come unico aspetto negativo ho rilevato la presenza del solito cliché dei nazisti supermalvagi e folli, che compiono le peggiori nefandezze senza il minimo rimorso e che hanno dei seguaci disposti pure a uccidersi per la causa. Nello sviluppo di questo concetto sfugge quale sia la causa che perseguono, a parte la loro follia. Possibile che siano tutti folli? Ci potrà pure essere qualche folle, ma almeno qualcuno dovrebbe avere altre motivazioni, come la sopravvivenza (almeno) o un proprio tornaconto. Il lavaggio del cervello come unico motore delle azioni appiattisce irrimediabilmente i personaggi negativi, sminuendo di riflesso quelli positivi.
Per fortuna il romanzo termina con un finale aperto assolutamente imprevedibile che fa dimenticare tutti i cliché.
Altra nota positiva è la traduzione, sicuramente molto più curata e gradevole di quella dei libri su Bourne.
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    Il ritorno del violagiorno
Avevo apprezzato parecchio l’originalità de “ Il sistema Dayworld” e mi ero divertita a leggerlo. Questo suo seguito e secondo libro della trilogia non mi ha del tutto convinto, almeno non quanto il precedente.
Come sempre Farmer mostra di avere una fantasia galoppante e il suo world building è molto accurato. Pur essendo un seguito, a causa del cambio di ambientazione ha dovuto reinventare da capo i luoghi in cui si svolge la storia, proiettando il lettore in una Los Angeles distopica che va oltre ogni immaginazione.
Jeff Caird, infatti, lascia Manhattan e con una nuova identità, che si aggiunge alle sette precedenti, scappa sulla costa occidentale. Tutti lo cercano, poiché uno dei suoi alter ego custodisce un segreto che può ribaltare l’intero sistema.
La storia che riprende esattamente dal punto in cui è finito il primo libro necessita assolutamente della lettura di quest’ultimo per essere compresa a fondo. Devo dire che le serie in cui è obbligatoria la lettura in ordine dei romanzi sono le mie preferite, quindi si tratta senza dubbio di un aspetto positivo.
Il protagonista sa ancora una volta essere coinvolgente per la sua fallibilità e follia, e la trama è del tutto imprevedibile. Non hai la più pallida idea di cosa attenda i personaggi nella pagina successiva né riesci a immaginare un epilogo possibile all’intera storia.
Purtroppo, però, non posso dare il massimo dei voti a questo romanzo, perché ci sono alcuni aspetti che non mi sono piaciuti.
La trama è infarcita di intrighi negli intrighi, creando una complessità che definirei sterile. Inoltre, il distacco necessario dalla struttura del primo libro costringe l’autore a inventarne una nuova che non risulta altrettanto vincente.
Infine, si sente che si tratta del libro intermedio di una trilogia e quindi soffre il suo essere un racconto di transizione.
A questo punto devo procurarmi l’ultimo per sapere come va a finire!
     (Quasi) nessuno è come Bourne
Il secondo libro della trilogia originale di Jason Bourne si distacca parecchio da ciò che abbiamo visto nel primo. Una volta risolto il dilemma dell’identità del protagonista, Ludlum ci propone nuovi scenari, minacce e sfide per il nostro superagente segreto.
Per il lettore, il ritrovare con piacere i vecchi personaggi si mescola con la necessità di rimanere attento nella lettura per comprendere l’ingarbugliato intrigo che li vede protagonisti. Ludlum ci fa fare un tuffo nella Cina degli anni ’80 e nei meccanismi sociopolitici del tempo, di cui mostra una profonda conoscenza. Magari non li capiamo tutto, ma ne ricaviamo un quadro generale che appassiona e inquieta, e che senza dubbio fa la felicità di qualsiasi amante delle spy story (come me!).
A ciò si aggiunge il fascino intramontabile di Webb/Bourne, l’eroe danneggiato, sull’orlo della follia (parola che Ludlum usa molto spesso!), folle e fragile, non infallibile, che sa essere freddo, ma anche amare con profondità. Accanto a lui il personaggio di Marie (il mio preferito dopo lo stesso Bourne), come pure quello di Alex e Mo, sono ugualmente centrali nella storia e coinvolgenti. E sono soprattutto essenziali per richiamare il protagonista alla realtà, per saper mettere da parte il Bourne che c’è in lui e tornare a essere David Webb.
Unico aspetto per così dire negativo è la presenza di alcuni passaggi un po’ lenti e qualche inutile ripetizione di ciò che è accaduto nel primo libro.
L’edizione, purtroppo, non è affatto buona. La traduzione è talvolta letterale. Ho letto altri libri di Ludlum con una traduzione in grado di evidenziare la sua bella prosa. Questi di Bourne purtroppo avrebbero bisogno di una revisione, se non altro per eliminare i refusi. Dopo trent’anni sarebbe il caso di farne una, invece di limitarsi a modificare la copertina quando si pubblica una nuova edizione.
Una curiosità sulla scrittura di Ludlum: nei suoi libri non appare alcun tipo di linguaggio volgare, preferisce usare eufemismi e metafore, eppure, stranamente, non si risparmia con le bestemmie. Tutti i personaggi, dal primo all’ultimo, almeno una volta invocano Dio, Gesù o Cristo (o varianti), ma non dicono una sola parolaccia!
     Terrificante, angosciante, geniale
Questa recensione sarà breve. Mi vengono così, quando un libro mi piace tanto da non riuscire a trovargli difetti e allo stesso tempo quando a renderlo un buon libro sono pochi elementi orchestrati magistralmente. È il caso di questo romanzo abbastanza breve di Matheson. Esso racconta la vicenda singolare di un uomo che, a causa di una nube radioattiva, ha sviluppato una patologia che lo sto facendo rimpicciolire di tre millimetri al giorno.
La storia si svolge su due piani temporali che scorrono in parallelo. Uno narrato dal protagonista ormai piccolissimo e bloccato nel seminterrato di casa sua, dove deve lottare quotidianamente per procurarsi da mangiare e sopravvivere agli agguati di un ragno enorme (dal suo punto di vista). Nel secondo, invece, il personaggio ripercorre gli eventi che l’hanno portato da uomo normale a un essere tanto piccolo da non riuscire a uscire dal seminterrato.
Durante la lettura l’immedesimazione col protagonista è totale. La sua vergogna mentre diventa sempre più piccolo è anche del lettore, come pure il terrore che prova nel destreggiarsi nell’ambiente ostile del seminterrato che diventa ogni giorno più grande. Da una parte sei curioso di sapere come mai è finito là sotto e apparentemente a nessuno importi, dall’altra vuoi scoprire cosa accadrà quando arriverà il giorno in cui la sua altezza dovrebbe azzerarsi. E l’autore gioca bene le proprie carte, facendo accrescere la tensione al massimo per poi passare all’altro piano temporale, e quindi ripetere lo stesso crescendo.
E così, nell’andare avanti con la lettura, non hai mai idea di cosa potrà accadere nella pagina successiva e lo stesso finale, meraviglioso e geniale nella sua semplicità, ti lascia a bocca aperta.
Aggiungo inoltre che, nonostante si tratti di un libro con qualche decennio sulle spalle e di cui ho letto una traduzione non recentissima, sembra quasi contemporaneo. Non ho notato, né nel linguaggio né nel modo in cui si sviluppa la narrazione, alcuna ingenuità o altro aspetto che mi ricordasse la sua età. Ma ciò non mi stupisce più di tanto, poiché finora è stato quasi sempre così con i romanzi di Matheson.
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