Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 Oggi il mio blog ospita Viola Veloce, autrice indipendente del bestseller "Omicidi in pausa pranzo", che ci racconta un po' degli esperimenti fatti per pubblicizzare i suoi libri.
Nessuno può predire con certezza se un libro venderà poco o tantissimo. Persino le case editrici fanno errori a volte fatali, quando danno un anticipo molto corposo per pubblicare un autore che negli Stati Uniti ha venduto un milione di copie, mentre da noi ne piazza tremila.
Only God knows se un libro andrà bene o meno, anche se un fattore predittivo importante è quanto una casa editrice – o un self publisher – sono disposti a spendere in ADV, e cioè in pubblicità.
La pubblicità è quella cosa onesta per cui paghi qualcuno perché metta in vista il tuo prodotto – un libro, in questo caso – da qualche parte. Sulle pagine di un giornale, su un sito online, eccetera. Trovo onesta la pubblicità perché non c’è niente di male a dire: “Ehi, comprami! Sono qui, se mi vuoi!”.
Arrivo finalmente al punto: la differenza tra un editore “tradizionale” e un self publisher.
Un editore tradizionale dispone infatti di grosse somme da destinare alla pubblicità e quindi è in grado di far sapere al pubblico che è stato stampato un determinato libro.
Gli stessi punti vendita fisici sono di per se stessi canali pubblicitari molto efficaci. Se davanti all’ingresso di una libreria, c’è una pila di libri con una bella copertina colorata, è molto probabile che ti venga voglia di comprarne uno, solo perché l’hai VISTO.
I self publisher invece non hanno grandi somme a disposizione per l’ADV e partono quindi svantaggiati.
È difficile che riescano a far sapere che hanno autopubblicato un ebook o un libro cartaceo e l’hanno messo in vendita su una piattaforma online.
Sono infatti contraria ai puristi del self publishing che ritengono che un libro debba camminare solo sulle proprie gambe o gambette che siano.
Trovo anzi molto divertente cercare di utilizzare gli strumenti di ADV online che sono oggi accessibili sul web. Non li cito perché non voglio sembrare una marchettara, ma posso dire di aver imparato da utilizzare delle piattaforme di ADV online piuttosto complesse, con mio grande divertimento.
La differenza tra un self publisher e una casa editrice tradizionale sta quindi anche nel fatto che il self publisher probabilmente si costruirà da solo la sua mini-campagna online, mentre invece la casa editrice si rivolgerà a un'agenzia, che caricherà anche i propri costi su quelli degli acquisti di spazi pubblicitari.
Naturalmente spendere 100 euro di ADV è diverso che spenderne 200.000, visto che sono queste le grandezze di spesa che normalmente distinguono i self publisher dalle case editrici.
Per quanto mi riguarda, ho fatto molte sperimentazioni sull’ADV, costruendo anche un sito che era esclusivamente dedicato all’advertising di uno dei miei libretti.
Il sito però, VENDETTA ROSA, non ha avuto un grande successo, perché il libro a cui era collegato – MARITI IN SALSA WEB – non sembra averne tratto grossi benefici. Forse la copertina è sbagliata, e sto pensando di cambiarla.
Mentre invece il libro sul quale ho fatto meno investimenti (stiamo sempre parlando di pochissime centinaia di euro) è quello che funziona meglio: OMICIDI IN PAUSA PRANZO.
La conclusione è quindi abbastanza sconfortante (ma non solo per i self publisher, anche per gli editori): l’ADV è una condizione necessaria ma non sufficiente.
Esistono libri per i quali sono stati fatti enormi investimenti pubblicitari ma che hanno venduto poco, e libri che invece sono riusciti a scatenare reazioni di tipo “virale” – il passaparola – e che hanno venduto molto.
Neanche Hari Seldon sarebbe stato quindi in grado di fare previsioni ESATTE su quante copie venderà un libro.
Non solo per quanto riguarda quelli pubblicati da noi self publisher ma anche per quelli delle case editrici….
Chi è VIOLA VELOCE?
Detesto quelli che ti raccontano tutto: com’erano simpatici i nonni, come sono ancora stronzi la mamma e il papà, e gli orribili o meravigliosi - scegliete voi – ricordi delle vacanze di quando erano bambini. Ma le “due note bio” ci vogliono sempre. Ecco le mie: donna, impiegata, single di ritorno, figlio alle medie. Punto. Quando torno a casa la sera, dopo l’ufficio, metto un po’ a posto, cucino qualcosa, infilo i piatti sporchi in lavapiatti, e poi faccio i compiti con Tommaso. Studiamo l’impero carolingio, le figure retoriche, i settori produttivi della Calabria: quella specie di macedonia confusa che sono i nuovi programmi delle medie. Poi, quando abbiamo finito, mi attacco al PC. Dove vado alle undici di sera, a Milano? E il ragazzino, lo lascio da solo? Certo che no. Basta, non ho altro da dichiarare.
Tutti i libri di Viola Veloce sono disponibili su Amazon. Visitate il suo sito: Omicidi in pausa pranzo.
È con grande piacere che vi presento questo guest post di Richard J. Galloway, autore di "Amantarra", riguardo alle storie che possono nascondersi dietro dei semplici oggetti.
Stavo rovistando tra alcune vecchie scatole in garage l’altro giorno, quando mi sono imbattuto in una raccolta di oggetti della mia infanzia. C’era una conchiglia col guscio leopardato, che era stata comprata per me alla fine del 1960 mentre eravamo in vacanza. I miei ricordi della vacanza sono lacunosi; brevi istantanee di una settimana di sole all’età di nove anni. Mi ricordo che faceva molto caldo, così caldo che l’asfalto sui marciapiedi era abbastanza morbido da poterci scavare con un bastone. Ho guidato la mia prima barca a motore, e ho ricevuto il mio primo paio di occhiali da sole. Il guscio era un oggetto semplice e niente di speciale, ma per me era una chiave per alcuni ricordi molto personali. C’erano altre cose nella scatola. I resti di un set da dama che mi era stato dato quando avevo dieci anni. Solo la scacchiera e alcuni dei pezzi erano rimasti. Il set era molto vecchio quando mi era stato regalato. I quadrati rossi e gialli sulla scacchiera erano rovinati dal tempo e dall’uso. Le pedine erano fatte di una sorta di resina indurita, di colore nero o bruno-rossastro. Per qualche motivo ho sempre associato quelli neri al mal di testa. Trovare il set mi ha ricordato di come l’ho ricevuto, e chi me l’ha regalato.
Mio padre era un elettricista. Oltre a lavorare nelle acciaierie ha fatto gli impianti elettrici di molte case. Di tanto in tanto mi portava con lui come topo dei cavi ufficiale. Essendo piccolo, potevo stare sotto le assi del pavimento, il che significava che avrei potuto far andare i cavi negli angoli più remoti delle camere. Non era un lavoro da schiavi, era un’avventura sotterranea a pagamento. Una volta, mentre strisciavo in uno spazio angusto tra le pareti alveolari, il che significava che doveva zigzagare avanti e indietro per la stanza per raggiungere l’angolo più lontano, ho incontrato un idraulico proveniente dall’altra parte e sono dovuto tornare indietro. A volte era davvero affollato laggiù. Il vecchio cui stavamo facendo l’impianto aveva un’ottantina d’anni, e ci mostrò un pianoforte che era in una delle camere al piano superiore. “Ho chiesto a mio figlio di aiutarmi a portare quel pianoforte al piano di sopra dieci anni fa” il vecchio ci disse. “Ha detto che era troppo pesante per essere sollevato e che avrebbe dovuto chiedere l’aiuto di alcuni traslocatori. Gli ho detto: non ho intenzione di pagare delle persone. Lo farò io stesso.” “Davvero?” chiese a mio padre, non credendo veramente che un uomo, che all’epoca aveva settant’anni, avrebbe potuto portare il pianoforte al piano di sopra da solo. “Scommetto che non riuscite a immaginare come ho fatto.” Io ho suggerito che si trattasse di una magia, ma il vecchio aveva ragione, non ne avevamo proprio idea. Il vecchio era stato nella marina mercantile dal 1890, e aveva iniziato il suo apprendistato a quattordici anni su un alto veliero. Non era molto più grande di me in quel periodo. “Non avete vissuto fino a quando siete stati tra il cordame di un veliero mentre doppiavate il Capo di Buona Speranza durante una tempesta,” disse. Esperienze come questa avevano tolto all’uomo qualsiasi paura dell’altezza e senza dubbio avevano migliorato la sua presa, ma era quello che aveva imparato a bordo della nave che gli aveva permesso di spostare il piano di sopra. Per lui la soluzione era semplice: aveva usato un paranco per trasportare lo strumento al piano di sopra.
Trovo ancora questa storia impressionante e di ispirazione, ma non è il motivo per cui l’ho raccontata. Il punto è che non avevo pensato al vecchio e al suo pianoforte, fino a quando non ho trovato il set da dama che mi aveva dato. È la storia che sta dietro l’oggetto a essere importante per me. Mentre scrivo, mi guardo intorno e osservo le decorazioni della stanza. C’è una storia dietro ognuna di esse. Ognuna è una chiave che mi lega a eventi che riguardano il modo in cui l’ho ottenuta.
Il mio libro “Amantarra” è iniziato come una storia su come ho ricevuto un orologio d’argento per taschino. In una certa misura, la trama del libro è vera per quanto riguarda l’evento reale, ma io sono appassionato delle storie nascoste. Mi piace prendere ciò che appare e crearne delle spiegazioni fantastiche. Colpi di scena alternativi al posto dell’ovvio. La svolta nella storia dell’orologio è diventata il catalizzatore di una storia molto più grande, e l’attenzione passa dalla orologio al personaggio principale, Amantarra. Ciò ha portato alla nascita di Valheel, una città costruita all’interno di una sfera, la creazione di Elleria, la morte dell’immortalità, e un secondo libro. Non sento lo stesso attaccamento per gli oggetti in un negozio, o anche oggetti appena acquistati. Gli oggetti diventano personali solo quando conosco la storia che sta dietro di essi, o dopo che hanno generato un po’ di storia, sia che la storia sia reale o immaginata. Ho ancora l’orologio che il mio prozio mi ha dato quando avevo otto anni. È al piano di sopra in una scatola da scarpe, in attesa che Elleria arrivi per attivarlo.
 Cresciuto tra vicino alle industrie del nord-est dell'Inghilterra con Star Trek, Doctor Who e romanzi fantasy, RICHARD J. GALLOWAY si è ribellato contro il destino segnato dalle scuole frequentate, secondo cui il lavoro industriale sarebbe stata la sua vocazione. Dopo aver esaurito l'unica opzione apparente, il suo insegnante era disperato. "Se non vuoi lavorare nelle acciaierie, dove vuoi lavorare?" La sua risposta era sempre: "Non lo so." Il settore in cui sarebbe finito non si concretizzò che dieci anni dopo. Nessuna meraviglia che il suo insegnante si preoccupasse. Dalla scuola, tramite lo studio di disegno e di architettura, alla fine si è trovato a lavorare con i grandi sistemi informatici. Carriera a parte, il filo che ha legato tutto insieme è stata la fantasia. Non ha mai perso la sua fascinazione per le immagini che una buona storia possono evocare. Dopo tutto, gli aveva mostrato dei mondi al di là di questo, e le possibilità al di là delle acciaierie. E continua a farlo. Richard vive ancora nel nord-est dell'Inghilterra con la moglie, la famiglia, e un grosso gatto chiamato Beano. L'industria pesante si è ridotta, ma il mondo della fantasia di Richard è cresciuto. Spesso si chiede quale consiglio avrebbe ricevuto se il suo insegnante avesse letto un po' di fantascienza.
Amantarra è il primo romanzo di Richard.
Visitate il suo sito web italiano: www.richardjgalloway.eu
 Finalmente è qui! Dopo un lungo lavoro di traduzione, esce l'edizione italiana di "Amantarra", il romanzo dell'autore inglese Richard J. Galloway, tradotto appunto da me.
Questo libro, che inaugura una trilogia, narra la storia di una specie aliena, i Bruwnan, che da lungo tempo ha abbandonato la vita biologica e che esiste solo come pensiero all'interno di una città virtuale, chiamata Valheel, costruita dentro una sfera. Questa specie dalle enormi conoscenze scientifiche e capacità tecnologiche che da circa la metà dell'età dell'universo ha dato vita a nuove specie in tantissimi altri pianeti. La loro civiltà ha però raggiunto una fase di stallo e coloro che ne fanno parte stanno scomparendo, spazzati uno per uno da qualcosa che ha trovato una falla nell'immortalità. Amantarra è fra i pochi che si sono accorti di ciò che sta accadendo. Già sua sorella aveva tentato di porvi rimedio tanto tempo prima, ma adesso è arrivato il suo turno. Nel tentativo di salvare i Bruwnan, Amantarra decide di dar vita a una nuova specie intelligente in un pianeta chiamato Terra.
La storia di "Amantarra" inizia in un tempo lontano e ripercorre quella dell'umanità fino a giungere agli anni '70 in Inghilterra, dove un ragazzo di nome John riceve in regalo uno strano orologio. Sarà l'inizio di un'incredibile avventura, che lo porterà a scoprire la propria origine e a lottare per salvare il sistema solare. Un racconto delizioso e appassionante, adatto a lettori di tutte le età, una fantascienza soft, con tecnologie inimmaginabili, una storia di amicizia, amore, crescita, e giustizia. Tutto questo e tanto altro è "Amantarra", che dalla fantasia sfrenata di Richard J. Galloway arriva adesso anche in Italia. Il libro è solo il primo volume di una trilogia, "L'ascensione di Valheel", ma è di per sé autoconclusivo, per cui può essere letto anche da solo. Uscito da pochi giorni, rimarrà per un periodo limitato al prezzo promozionale di 99 centesimi. Lo trovate su Amazon, senza DRM, quindi potete anche convertirlo in altri formati o regalarlo a chi volete. 390 pagine di un'avventura, che da un passato lontano vi porta attraverso la storia dell'umanità, la fine dell'ottocento, le due guerre mondiali, fino agli anni '70 a Penshaw Grove, nella periferia inglese, dove il giovane John conosce Elleria e subito capisce che in lei c'è qualcosa di speciale, ma non può neppure immaginare fino a che punto.
Se siete anche solo un po' curiosi, leggete i primi cinque capitoli del libro sul sito italiano dell'autore: http://www.richardjgalloway.eu/amantarra/. E, se vi piace, acquistatelo su Amazon, dove sono già presenti alcune recensioni di chi l'ha letto in anteprima. Non ve ne pentirete. Potete anche contattare l'autore (in inglese) su Twitter.
Ecco la descrizione del libro.
Un tempo la città di Valheel era un luogo meraviglioso in cui vivere e lavorare. Avendo raggiunto i limiti di ciò che è tecnicamente possibile nell’universo, i Bruwnan avevano creato per se stessi una nuova realtà fuori delle dimensioni dello spazio-tempo euclideo, una realtà virtuale, ma comunque una realtà. La città era costruita all’interno di una sfera. Là dentro, liberi dalla forma fisica e la fragilità a essa associata, i Bruwnan si concentravano nell’esplorazione delle scienze e dell’arte. Ciò è accaduto in un tempo passato pari a più della metà dell’esistenza dell’universo. Tutte le nozioni scientifiche e le forme d’arte sono state esplorate, estratte, riesumate e riciclate molte volte. Non vi è rimasto nulla da esplorare e l’autocompiacimento ha pervaso i Bruwnan. Valheel ha perso la sua vitalità, è una città di immortali che si sentono morti. Amantarra non riesce a ricordare cosa sia comparso per primo, il senso di costrizione che la città adesso le provoca o la sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato. È stato quando suo padre per primo ha dato voce alle sue preoccupazioni, affermando che la gente stava scomparendo, che è giunta alla consapevolezza che lentamente qualcosa li stava spazzando via in segreto. Qualcosa ha trovato un difetto nell’immortalità. Trecentomila anni prima sua sorella è partita per cercare una soluzione e non hanno più avuto sue notizie. Ora, dopo molti anni di sperimentazione, è il turno di Amantarra di accogliere la sfida. Il suo primo atto di aggressione le fa guadagnare il tempo di cui ha bisogno per creare un’arma di inimmaginabile potenza. Ma nonostante i suoi sforzi per rimanere nascosta, la battaglia segue Amantarra sulla Terra, dove le cose iniziano ad andare storte.
Vi lascio con la recensione del libro che scrissi nell'aprile 2013, dopo averlo letto in lingua inglese.
Un’avventura al confine tra fantascienza e fantasy Sono molteplici e diversi gli elementi che caratterizzano questo romanzo. C’è l’elemento fantascientifico, con una specie così superevoluta da esistere solo a livello di coscienza in una realtà virtuale, dopo aver lasciato indietro i propri corpi mortali. C’è elemento fantasy, rappresentato dai particolari poteri di questa specie aliena, così oltre la comprensione umana da apparire magici. Ma c’è anche un pizzico del cosiddetto romanzo di formazione, nella storia del giovane John, che si ritrova tra le mani un potere impensabile con le responsabilità che ciò ne consegue. In mezzo c’è lo spazio, quello che separa la nostra Terra da Valheel, la città virtuale che ospita le coscienze immortali dei Bruwnan. Partendo da angoli diversi di questo eccezionale universo, Galloway tesse i fili di una storia di ampio respiro, misteriosa in principio, ma che diventa sempre più intrigante man mano che questi fili si uniscono nel formare l’intreccio. La ricca prosa dell’autore ci restituisce delle immagini vive persino delle ambientazioni innaturali di Valheel e con la stessa disinvoltura ci porta nella preistoria, nella Francia nel diciannovesimo e dell’inizio del ventesimo secolo, fino ad arrivare all’Inghilterra degli anni settanta, in mezzo agli studenti di una scuola superiore, afflitti dai loro quotidiani problemi da adolescenti. Di fronte a ciò il lettore si ritrova catturato tra le pagine, cercando di comprendere come tutti questi elementi possano incastrarsi e meravigliandosi per il modo in cui l’autore riesca infine a conciliarli con maestria verso l’emozionante finale, che lascia però col desiderio di sapere cosa succederà dopo.
"Amantarra" (edizione italiana) è disponibile su Amazon, Kobo, inMondadori, laFeltrinelli, iTunes e Smashwords. Trovate la scheda del libro nella pagina delle traduzioni del mio sito. Maggiori informazioni: www.richardjgalloway.eu (sito in italiano).
 Avete mai provato a immaginare di quali piccole tecnologie futuristiche potrete disporre, per esempio, fra cinquant'anni?
Io l'ho fatto con "Deserto rosso", che è ambientato in un futuro prossimo non specificato, ma che nella mia mente ho immaginato fra circa cinquant'anni. Ho avuto modo di approfondire questo argomento in un guest post nel blog ParoleVacanti, nell'ambito della serie di articoli intitolata "Benvenuto futuro".
Nel mio articolo "Tecnologie (quasi) marziane per un possibile futuro" parlo del folio, delle navette aeree, della realtà aumentata, degli iperphone e di tante altre piccole tecnologie che rappresentano la normalità per i personaggi della serie, ma che non esistono ancora o, se esistono, non raggiungono di certo i livelli di sviluppo che ho mostrato nei miei libri. Per esempio, vi siete mai chiesti a che velocità va una navetta aerea? Come funzionano esattamente i numeri telefonici e i nomi utente nei cellulari descritti nella serie?
Siete curiosi di saperne di più? Leggete l'articolo su ParoleVacanti e non dimenticate di condividerlo con i vostri amici o lasciare un commento.
Il blog ParoleVacanti inoltre ospita un concorso, Natale con ParoleVacanti, in cui si può vincere una copia della versione ebook di "Deserto rosso" (serie completa) in vendita su Amazon. Vi ricorda che il volume unico della serie è senza DRM, quindi può essere convertito in qualsiasi formato ebook e letto in qualsiasi dispositivo, non solo sul Kindle. Come si partecipa? Leggete le istruzioni qui.
Grazie mille a Giovanni Rispo per l'ospitalità e il supporto!
Marte: freddo, arido, rosso, deserto. Senza vita?
Adesso potete esplorarlo insieme ad Anna, e vivere questa avventura nel pianeta rosso dall'inizio alla fine senza più attese.

Scritta e pubblicata tra il 2012 e il settembre 2013, con oltre 3000 copie vendute (aggiornamento gennaio 2015: 6000 copie vendute), "Deserto rosso" ha portato su Marte tantissimi appassionati di fantascienza, che si sono lasciati coinvolgere anche nella fase creativa di questo esperimento letterario. Una serie di quattro libri, una novella e tre romanzi, scritti e pubblicati a una distanza di appena cinque mesi l'uno dall'altro, racchiusi ora in un unico volume di 656 pagine, disponibile sia in formato ebook che in cartaceo.
Il volume contiene la bella prefazione di Omar Serafini, co-fondatore del podcast FantaScientificast, e una lunga introduzione alla serie, che esplora sia la storia che la sua genesi e la sua evoluzione in questi due anni. È presente inoltre una piccola guida con le informazioni essenziali su Marte per poter affrontare al meglio la lettura, anche se non si sa nulla del pianeta rosso.
E poi c'è la serie vera e propria: "Punto di non ritorno", "Abitanti di Marte", "Nemico invisibile" e "Ritorno a casa".
Anna, Hassan, Melissa e Jan vi guidano in un viaggio lungo centinaia di milioni di chilometri, o magari anche di più, e circa diciotto anni, o forse decisamente molti di più. In esso non ci sono buoni né veri cattivi, non ci sono vinti né vincitori. Pur nell’ambito di un racconto fantascientifico (hard sci-fi) trovano prepotentemente posto i sentimenti dei personaggi, l’amore e l’odio i cui confini spesso si confondono, l’amicizia e la fratellanza, la fede e la speranza, l’intolleranza e il pregiudizio, il dubbio e la fiducia, fino al desiderio e la passione.
Tutto questo, e tanto altro, è "Deserto rosso".
In appendice trovate qualche cenno al ciclo dell'Aurora, di cui questo libro è la prima parte, e la bibliografia completa della serie.
Disponibile in formato cartaceo su Amazon (15,98 euro), Giunti e inMondadori. Disponibile in ebook su Amazon (3,99 euro) e Smashwords, Giunti, Kobo, inMondadori, laFeltrinelli, iTunes, Google Play, Nook (tramite l'app per Windows 8.1) e Tolino (tramite l'ereader) sempre senza DRM.
Non vi resta che indossare la vostra tuta, attivare l’unità del casco, controllare le riserve d’aria, e poi salire sul rover insieme ad Anna, per condividere con lei questa avventura. Buon viaggio!
Visita il sito di Deserto rosso e il ciclo dell'Aurora: www.desertorosso.net.
 Marte: freddo, arido, rosso, deserto. Senza vita?
Dopo aver pubblicato i quattro libri della serie di "Deserto rosso" in ebook (tuttora disponibili su Amazon, Kobo, iTunes e Google Play) arriva finalmente il volume unico in formato cartaceo. Intitolato semplicemente "Deserto rosso", il libro di ben 656 pagine include la novella "Punto di non ritorno" e i tre romanzi "Abitanti di Marte", "Nemico invisibile" e "Ritorno a casa". Nella parte introduttiva si trova la bella prefazione dell'amico Omar Serafini di FantaScientificast, seguita da una mia introduzione alla serie (con le sezioni: "La storia", "Nascita ed evoluzione della serie" e "Alcune informazioni su Marte"), mentre in appendice è riportata la bibliografia completa dei quattro libri.
La copertina, realizzata da me, ha come protagonista, ovviamente, Anna Persson insieme a Marte (foto originale da un'immagine della NASA). Il libro è disponibile su Amazon al prezzo di 15,82 euro (prezzo ulteriormente scontato da Amazon) e, se ordinato entro questa settimana, arriverà per Natale.
Nei prossimi giorni verrà pubblicata anche una versione ebook della raccolta, che verrà poi distribuita anche agli altri retailer. Per l'occasione scriverò un articolo un po' più lungo per presentarla.
La storia la conoscete, ma comunque ve la ripropongo.
Sono passati trent’anni dalla missione di esplorazione di Marte Hera, il cui equipaggio è morto in circostanze misteriose. Tale fallimento e tutte le problematiche politiche da esso generate hanno rallentato la NASA nella sua corsa alla conquista dello spazio, ma adesso i tempi sono maturi per una nuova missione chiamata Isis. Stavolta i cinque astronauti selezionati non viaggeranno per oltre quattrocento milioni di chilometri solo per una breve visita, ma saranno destinati a diventare i primi colonizzatori del pianeta rosso.
Tra di loro c’è l’esobiologa svedese Anna Persson, approdata a questa avventura nella speranza di iniziare una nuova vita lontana dalla Terra. Marte avrà però in serbo per lei un’incredibile scoperta, chiave di un mistero nascosto nelle profondità di Valles Marineris.
Non siete ancora stati su Marte? Questa è la vostra occasione! Tutta la storia, tutta insieme in un unico volume. Indossate la tuta e partite con Anna!

Anche quest’anno ce l’ho fatta. Alle due del mattino del 28 novembre 2013 ho messo la parola fine al romanzo “Affinità d’intenti”, che stavo scrivendo dell’ambito del NaNoWriMo 2013. In tutto ho scritto 50.038 parole, poco più del minimo per vincere, ma sono arrivata al traguardo con quasi tre giorni di anticipo e, inoltre, ho finito la prima stesura di quello che è il mio ottavo libro (cinque già pubblicati e tre da pubblicare).
Finire di scrivere un romanzo è una sensazione fantastica, a renderla ancora migliore è la consapevolezza di averlo fatto in poco più di 27 giorni, mantenendo fede alla promessa fatta con me stessa di vincere anche quest’anno il NaNoWriMo. Per un libro abbastanza corto come questo si tratta senza dubbio del ritmo giusto (un po’ meno di 2.000 parole al giorno) che mi conferma che ho raggiunto un notevole grado di disciplina nel portare avanti il mio lavoro di scrittrice.
Ma ciò che mi rende ancora più felice è l’aver portato a termine un nuovo esperimento, grazie al quale ho provato a superare qualche mio limite.
Fino a un mese fa, infatti, le uniche cose che avevo immaginato di questo romanzo erano il titolo, il nome della protagonista, la scena di apertura e la scena del climax. Non ero affatto certa di riuscire a tirarne fuori una storia abbastanza lunga da mettere insieme ben 50 mila parole.
Affrontare questa sfida mi ha insegnato a non avere fretta di concludere una scena, ma al contrario cercare di soffermarmi su alcuni dettagli proprio per portare a casa il target di parole che mi ero prefissata. Mi ha spinto a cercare di scrivere quasi sempre delle scene di circa 2000 parole o almeno delle parti logiche di una scena di questa lunghezza, che rappresenta proprio la media di lunghezza ideale di una scena. Il dover raggiungere un determinato target finale ha avuto il merito di costringermi ad ampliare una storia che altrimenti nella mia mente sarebbe stata molto più rapida, nonostante il poco tempo a disposizione non mi abbia permesso di fatto di esplorarne tutte le possibilità. A questo proposito per evitare di scrivere una storia troppo povera ho deciso di concentrarmi su un unico punto di vista e rimanere ancorata a esso per tutto il romanzo. Così mi sono ritrovata ad approfondire solo i personaggi principali (che sono due), lasciando tutto ciò che la protagonista non poteva conoscere in secondo piano. Ad aiutarmi è stata la scelta di scrivere un romanzo con molta azione che si svolge in un lasso di tempo di sole ventiquattro ore.
Chiaramente sospendo ogni giudizio a quando fra chissà quanti mesi ci rimetterò mano, ma nel corso della stesura, a parte in una o due sessioni poco ispirate, mi sono sentita davvero in sintonia con i personaggi e le parti che ho riletto mi sono piaciute parecchio. Insomma, posso ritenermi soddisfatta dell’esperimento. So di aver imparato qualcosa di nuovo e allo stesso tempo ho messo da parte un altro romanzo, assicurandomi una certa costanza nella pubblicazione, insieme agli altri due che sono in fase di editing, per il prossimo anno e mezzo.
Credo che nelle prossime settimane mi mancherà scrivere. Nel 2014 devo pubblicare due libri, sui quali devo fare ancora molto lavoro. Devo dedicarmi alla traduzione in inglese e la promozione di “Deserto rosso” nel mercato anglofono. Voglio ritentare il NaNo, senza dubbio. A parte questo non so quanto tempo avrò da dedicare alla stesura di un altro romanzo. Spero di riuscire a ritagliarmi il tempo di iniziare un altro grosso progetto, di quelli che coinvolgono un numero di parole superiore alle 100 mila. Lo spero anche perché è difficile per me passare tanto tempo senza scrivere.
Negli ultimi 12 mesi ho scritto 264 mila parole e so che soffrirò a tenere dei ritmi più bassi. D’altro canto dopo quasi due anni non avrò più delle scadenze strette e vedrò come giocarmi il tempo a mia disposizione.
Comunque sia, vincendo ancora il NaNoWriMo, ho raggiunto un altro dei miei propositi per il 2013, che mi ero prefissata lo scorso dicembre, ed era uno dei più impegnativi, per cui non posso che esserne felice.
    Quando le parole incantano
Ammetto di non essere un’amante della narrativa non di genere, ma sono affascinata e mi lascio coinvolgere da quelle storie che scavano nei sentimenti dei personaggi, mettendoli di fronte a situazioni fuori dall’ordinario e talvolta estreme, indipendentemente da quello che è il contesto in cui essi si muovono. Se poi queste storie sono costruite con maestria, tramite un abile incastro della narrazione degli eventi, ecco che mi ritrovo a viverle insieme ai personaggi, ed emozionarmi con loro, nel bene e nel male, al di là di tutte le etichette di genere.
“Le parole confondono” non è solo la storia di Andrea, sapientemente narrata su due piani temporali, con una perfetta gestione dell’azione e dei dialoghi, ma è soprattutto una storia che parla di varie forme d’amore: quello che lega un nipote e un nonno, due amici, un uomo e una donna, e qualsiasi persona che viva un legame speciale con qualcun altro, anche solo unilaterale. Ed è questo amore, la sua ricerca, il desiderio di esprimerlo e di esserne appagato, che muove Andrea Marini e lo accompagna durante i periodi più bui della sua vita, sia nel presente che nel passato.
Fatti terribili, violenti lo colpiscono, lo feriscono nel profondo, ma non lo spezzano, anche grazie alla presenza di figure importanti, alle quali si aggrappa per rialzarsi e andare avanti, seppure tra mille difficoltà e, diciamocelo, mille sfighe.
Giovanni Venturi mette a dura prova i suoi personaggi, cosa che gli consente di porne a nudo l’anima, trasformando la loro debolezza in forza, spingendoli a crescere nel corso della narrazione e costringendo il lettore quasi a vivere in prima persona il loro viaggio. Ci si ritrova così a ridere, penare, arrabbiarsi con loro, e a gioire quando infine afferrano quel desiderio anelato per tante pagine.
Non è solo la storia in sé a fare la magia. Ci sono sì degli elementi di originalità, che portano il lettore a chiedersi cosa accadrà dopo, senza riuscire in alcun modo a immaginarlo, che gli impediscono di fermarsi alla fine di un capitolo. E infatti, nonostante la lunghezza, il libro si legge in pochissimi giorni. Altri, invece, sono meno celati e più facili da intuire. Ma ciò che fa funzionare il tutto è il modo in cui questi elementi sono cuciti e la sensibilità con cui l’autore riesce a trasmetterli con la sua prosa diretta e allo stesso tempo mai banale. C’è un senso di universalità nei temi trattati tale che la storia che ci viene mostrata avrebbe avuto comunque la medesima forza e credibilità, anche se non fosse stata narrata tra Napoli e Milano o in un tempo diverso da quello odierno. Spesso si accusa la narrativa italiana non di genere di autoreferenzialità e provincialismo, e talvolta è vero, anzi, il più delle volte. Ma quando alla base di tutto ci sono degli elementi che, sebbene fortemente legati al dove e al quando, allo stesso tempo prescindono lo spazio e il tempo, ecco che ci troviamo di fronte a qualcosa di veramente speciale, che non può lasciarci indifferenti e che, una volta giunti alla parola fine, ci sorprende con un piacevole senso di completezza.
    La fantascienza che ti sorprende
Appena inizi a leggere questo primo romanzo della serie “Vivere o Morire”, rimani spiazzato. Ti trovi di fronte al diario allucinato del protagonista, che ti racconta cosa accade in tempo reale, trasmettendoti le sue angosce e soprattutto la sua incertezza. Tutto ciò che lui riporta è poco più di un’interpretazione, poiché Sirio (nome azzeccatissimo) non sa neppure dove si trova. È rinchiuso in un rifugio in un luogo sconosciuto della Terra e nelle sue mani, proprio nelle sue dita, c’è il destino dell’intero pianeta.
Seguiamo i suoi pensieri, i suoi contatti (o presunti tali) col mondo esterno e con i suoi lontani compagni di avventura, ma non sappiamo cosa stia succedendo realmente e ciò ci spinge a continuare a leggere.
La trama di “Vivere o morire” è geniale e ben giocata. La struttura narrativa iniziale ti cattura. A un certo punto tutto cambia, la storia muta la sua prospettiva, aggiungendo nuovi elementi. E poi cambia ancora, fino a giungere al finale con tanto di colpo di scena, che spazza via tutte le nostre certezze. Geniale.
Se devo trovare dei difetti, lo posso fare nel paragonare la prima parte in soggettiva con le altre. È molto più efficace. L’inserimento di un punto di vista onnisciente nella seconda parte della storia crea un’involontaria distanza, che può comunque essere colmata, ma di certo non intacca minimamente la curiosità e la voglia di sapere cosa accadrà dopo.
Sono curiosa di seguire l’evolversi degli eventi nel prossimo libro, perché non riesco proprio a immaginarli.
Di certo si tratta di una prova pregevole per un autore che per la prima volta si cimenta con un genere complesso come la fantascienza. Non può che migliorare e farci divertire ancora di più.
 E siamo giunti alla conclusione di "Domande in cerca d'autore", il tour nei blog degli autori indipendenti che uno alla volta hanno posto una domanda ai propri colleghi sul loro libro. Quest'ultimo turno si concentra sul messaggio trasmesso dal libro a conclusione del lungo discorso partito lo scorso luglio proprio sul mio blog.
Leggere è uno svago, certo, ma personalmente prediligo i libri che abbiano qualcosa da dire: nel tuo narrato, c'è un messaggio particolare che vorresti arrivasse al lettore?
Le risposte le trovate nel blog di Noemi Gastaldi che, manco a farlo apposta, si chiama "Blog in tour". E in esso trovate anche il messaggio che ho voluto trasmettere con "Deserto rosso" o, per meglio dire, il non-messaggio.
Di cosa parlo? Be' non vi resta che scoprirlo facendo clic qui. Leggete anche le risposte degli altri autori. Avrete modo di conoscere qualcosa sulle loro storie e magari scoprirete qualche nuovo libro da leggere.
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