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 Giant's Causeway, Irlanda del Nord... di Carla
 

“Mi chiedo cosa si provi a possedere un corpo.”
Ophir. Codice vivente

 

Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Carla (del 11/02/2012 @ 02:59:55, in Cinema, linkato 2601 volte)

Da fan incallita della saga non potevo non dedicare un post al ritorno al cinema di Guerre Stellari, che questa volta si ripresenta sul grande schermo addirittura in 3D.
Sono tornata dal cinema da poco più di due ore, estremamente soddisfatta di quello che ho visto. Essendo una fan di vecchia data, fino al 1999 per me esisteva essenzialmente una trilogia di Guerre Stellari (e non Star Wars) con uno dei migliori cattivi della storia del cinema, chiamato Dart Fener (e non Darth Vader). La stessa idea del prequel non mi attirava tantissimo, visto che sapevo già come sarebbe andata a finire la storia, ma come ogni fan ero incuriosita e aspettavo con ansia l'uscita de "La Minaccia Fantasma" prima che se ne sapesse il titolo (lo chiamavamo semplicemente Episodio 1) e quando ancora le informazioni che giravano sulla trama erano frammentarie e non sempre veritiere.
Quando infine lo vidi al cinema, lo trovai in gran parte noioso, ad eccezione degli ultimi 20 minuti. Il film parla di intrighi politici, qualche scena d'azione, si sofferma sui sentimenti dei personaggi, ma ciò che mi chiedevo ero: dove sono le guerre stellari??
Insomma, ne fui un po' delusa. Avevo ancora negli occhi il ricordo dell'edizione speciale dell'amata vecchia trilogia, vista al cinema solo due anni prima. Nel confronto Episodio 1, costituito per la maggior parte di scene interamente create al computer, prive di quel fascino artigianale degli effetti speciali "analogici", e soprattutto con un cattivo privo di mordente come Darth Maul, che dice sì e no dieci parole in tutto il film, non ne usciva tanto bene. Anche se devo ammettere che le immagini erano suggestive e l'interpretazione della Portman era ottima. Persino il piccolo Anakin Skywalker (interpretato da Jake Lloyd) rientrava tra le cose migliori del film. Ma ciò che maggiormente mancava rispetto alla trilogia originale era quella sorta di magia rappresentata dalla Forza, che perdeva il suo alone di mistero lasciando spazio ad una spiegazione scientifica.
Ricordo che sul momento fu una cosa davvero difficile da mandare giù.
Rivedendo adesso il film dopo 13 anni in un cinema degno di questo nome (senza poltroncine scomode o interruzioni fra il primo e il secondo tempo) per godermi lo spettacolo visivo, senza avere particolari aspettative sulla trama (visto che la conoscevo già), sono riuscita per la prima volta ad apprezzarlo nella sua unicità, senza, cioè, fare confronti.
Certo, la mia mente si rifiuta di accettare gli odiosi midichlorian e tutta una serie di aspetti che si discostano dalla mia personale visione della saga basata unicamente sulla vecchia trilogia, ma la mia stessa mente mi permette di tenere le due cose separate e godere dei dettagli.
Inoltre l'aggiunta del 3D aiuta non poco. Si tratta di un'aggiunta discreta, eseguita con maestria. Il fatto stesso che il film sia in gran parte stato creato con la computer grafica ha rappresentato probabilmente un vantaggio. Nelle scene con gli attori, infatti, l'effetto è meno evidente. D'altronde si parla di un film non concepito per il 3D, che per forza di cose non ha molti elementi visivi volutamente messi in primo piano o fatti muovere verso il pubblico. Qualcosa è stato forse aggiunto ad hoc (bisognerebbe fare un confronto con l'edizione precedente), ma più di tanto non si poteva fare. In ogni caso, a mio parere, la riuscita è stata molto buona.
Vedere il film con gli occhialini, inoltre, ti obbliga a concentrarti sullo schermo, eliminando tutti gli elementi visivi di disturbo e lasciandoti così completamente coinvolgere dalla storia. Forse anche per questo posso dire in tutta onestà che mi sono goduta Episodio 1 e che senza dubbio mi è piaciuto molto più che 13 anni fa.
Adesso resta la curiosità di vedere gli altri. Purtroppo dovrò attendere l'anno prossimo per il secondo episodio e così via per i successivi, ma sono bastate queste due ore al cinema per risvegliare in me l'entusiasmo di un tempo e sentirmi di nuovo un po' ragazzina.

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Foto & video: © 20th Century Fox

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Di Carla (del 02/02/2012 @ 08:44:40, in Scrittura & pubblicazione, linkato 3291 volte)

Photo: courtesy of © NASA/JPL-CaltechDopo aver passato più di tre anni a scrivere "L'isola di Gaia", sentivo il bisogno di cimentarmi in qualcosa di più immediato, che mi permettesse di sperimentare gli strumenti a disposizione degli autori indipendenti, mentre continuavo a lavorare al romanzo (editing e riscritture varie). Avevo bisogno di un progetto di dimensioni più ridotte, già definite in partenza e con una tempistica il più possibile gestibile, qualcosa che mi spingesse soprattutto a produrre senza farmi atterrire dal fatto di non sapere esattamente quando l'avrei terminato.
Scrivere delle storie corte (novelle o racconti), però, non è proprio nel mio DNA, questo perché la dimensione di uno scritto è strettamente legata alla complessità della trama.
E, diciamolo, io adoro le trame molto complesse.
Allora ho pensato di aggirare il problema ideando a grandi linee una storia, come mi era capitato, quando avevo per la prima volta immaginato la trama del mio romanzo, ma che venisse suddivisa in puntate fatte e compiute delle dimensioni di una novella, da realizzare una per una nel dettaglio, in modo da avere subito qualcosa che potessi scrivere e terminare nel più breve tempo possibile.
Ed è così che è nata l'idea di "Deserto rosso".
Se paragoniamo un romanzo a un film, questa mia storia a puntate potrebbe essere definita una sorta di piccola serie, con episodi proposti a una certa cadenza (nel mio caso sarà di circa 4 mesi), ognuno dei quali si concentrerà su un determinato aspetto della trama, esplorando strutture narrative diverse, e terminerà con un cosiddetto cliffhanger.
Sarà un vero e proprio esperimento.
Gli episodi in totale saranno 3 o forse 4. Inizialmente avevo pensato a tre, ma, come sempre accade, più si pensa ad una storia più questa lievita, inoltre la possibilità di darle una struttura seriale implica quella di continuarla, utilizzando tutte le idee a disposizione, finché si è certi che tutti i fili della trama siano stati riallacciati nel migliore dei modi.
Anche se sto già prendendo appunti per le puntate successive, ho dedicato l'intero mese di gennaio (o meglio tre settimane di tale mese) alla realizzazione della prima stesura della puntata numero uno. Mi sono data un target di 20.000 parole complessive e un altro per sessione di scrittura di 2000 parole, che ho quasi sempre rispettato (tempo permettendo).
Alla fine ci sono riuscita. Nella notte tra il 31 gennaio e il 1° febbraio ho completato la novella raggiungendo e superando (anche se di poco) il mio target, cosa che ovviamente mi ha dato un certa soddisfazione. Chiunque scrive, conosce l'ansia che si prova nel dover completare uno scritto e, ogni volta che se ne termina uno, come questa vada acquietandosi accrescendo nel contempo la propria autostima.
Ma parliamo un po' della trama.
"Deserto rosso" segue le vicende di una missione su Marte, con permanenza a tempo indeterminato. Si tratta di una sorta di primo tentativo di colonizzazione del pianeta rosso, fatto da un equipaggio in realtà molto piccolo (solo 5 persone). La storia è ambientata in un futuro prossimo (fra almeno 50 anni). La missione Isis è la prima dopo un lungo periodo di pausa nell'esplorazione dello spazio, dovuto al tragico fallimento della missione precedente (avvenuta 30 anni prima).
Questo è, però, solo il contesto in cui si muovono i personaggi e da cui parte l'intera storia.
La prima puntata, intitolata "Punto di non ritorno", è narrata in prima persona da un membro dell'equipaggio, Anna Persson (esobiologa svedese), che per qualche motivo, a noi sconosciuto, abbandona di nascosto alle prime luci dell'alba la Stazione Alfa (la struttura abitativa) e si addentra con un rover nel deserto marziano. Il suo ha tutte le caratteristiche di un gesto suicida.
Mentre Anna, da una parte, ci racconta passo passo i due giorni (tempo definito dalla sua riserva di ossigeno) del suo viaggio solitario, si sofferma a mostrarci eventi del passato precedenti alla stessa missione, muovendosi avanti e indietro nella sua memoria e svelandosi poco a poco a noi. Capiremo chi è, cosa l'ha portata a entrare nell'equipaggio dell'Isis, cosa (e chi) si è lasciata alle spalle e alcune fatti accaduti durante la stessa missione che potrebbero averla spinta a questo gesto estremo. Il tutto costruito in un crescendo che porta ad un finale inatteso.
Esso chiude la prima parte della storia, ma allo stesso tempo apre nuovi scenari, dai quali scaturiranno le puntate successive.
"Deserto rosso - Punto di non ritorno" raggiungerà la sua forma definitiva probabilmente a marzo e poi verrà pubblicato, in tempi brevi, come ebook Kindle sul Kindle Store di Amazon.it (gratis per i primi giorni e poi a 99 centesimi) e in altri formati compatibili con gli altri reader su vari negozi online.
Non so se ne farò anche una versione cartacea, in quanto si tratta di un testo veramente corto (70 pagine circa). La farò solo se potrò proporre un prezzo davvero ridotto (pochi euro) o magari per avere delle copie promozionali.
Per scrivere "Deserto rosso" mi sto documentando sui libri di Robert Zubrin, in modo da rendere la storia almeno in parte scientificamente plausibile, fin dove la narrazione me lo consente. Tra l'altro proprio oggi leggevo di un progetto chiamato COSMIC (Combustion Synthesis under microgravity conditions) dell'Università degli Studi di Cagliari, che servirà per mettere a punto sistemi per estrarre ossigeno, acqua, azoto dall'ambiente lunare o marziano e consentire così la vita degli astronauti che vi giungeranno nei prossimi decenni. Mi voglio informare sull'argomento e magari parlarvene più diffusamente in uno dei prossimi post.
Tornando a "Deserto rosso", si tratta senza dubbio nel complesso di un'opera di fantascienza, ma che racchiude aspetti di generi diversi, dal thriller all'avventura. C'è un forte conflitto interiore, una storia d'amore, un mistero da scoprire, una discreta quantità di azione, morti più o meno naturali (sì, gente morta ammazzata), elementi scientifici reali e altri del tutto inventati e non manca una certa malvagità.
Insomma, non è una semplice storia sull'esplorazione di Marte.
Vi ho incuriosito?
Allora continuate a seguire questo blog e, se non l'avete ancora fatto, aggiungetevi alla mia pagina su Facebook o seguitemi su Twitter.


Photo: courtesy of © NASA/JPL-Caltech

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More about Hooked

 Utile strumento per comprendere l'editoria odierna

Mi sono avvicinata alla lettura di questo libro per pura curiosità. Sono sempre abbastanza diffidente nei confronti di questo tipo di manuali su qualcosa di così soggettivo come la scrittura. Personalmente sono abbastanza contraria all'imprigionare la narrativa (di genere o non) in regole molto strette. Dando per scontata la conoscenza perfetta della propria lingua (come grammatica e sintassi), la capacità dell'autore di inventare una storia interessante (che dipende essenzialmente dalla fantasia individuale) e quella di avere un modo di mettere le parole l'una dopo l'altra così che il risultato sia almeno gradevole da leggere (che è anche molto legato al gusto individuale di chi legge), le uniche cose che possono essere in qualche modo "insegnate" riguardano ciò che il lettore medio odierno si aspetta, statisticamente parlando, e ciò che di conseguenza un editore cerca nei libri che ha intenzione di pubblicare.
In quest'ultimo campo l'aspetto artistico spesso non conta poi tanto, purtroppo.
Perciò, se lo scopo di chi scrive è primariamente quello di creare un prodotto commerciabile basandosi sull'editoria tradizionale, un libro come questo è quasi essenziale. Esso infatti, concentrandosi sull'inizio di un romanzo, spiega ciò che porta chi seleziona le opere all'interno di una casa editrice a continuare a leggere determinati manoscritti, tra le centinaia che ricevono, ed eventualmente selezionarli per la pubblicazione. È ovvio infatti che non tutti i manoscritti possono essere letti nella loro interezza. È umanamente impossibile. Allora chi li seleziona cerca di farsi un'idea sull'opera che ha davanti dalla lettura delle prime pagine e, se non le ritiene valide, li scarta. Da qui l'importanza del porre particolare attenzione all'inizio di un romanzo.
Al contrario, a mio parere, questo fattore ha minore importanza per il lettore medio in sé, il quale una volta acquistato il libro difficilmente lo metterà da parte dopo 5 o 10 pagine, per cui tenderà maggiormente a farsi un'opinione sull'opera generale, indipendentemente dalla qualità dell'incipit o del primo capitolo. Anzi, alla fine il suo giudizio dipenderà essenzialmente dalla fine della stessa. C'è anche da dire che il modo di iniziare i romanzi è molto cambiato nel tempo, soprattutto negli ultimi decenni, mentre i lettori continuano a leggere con piacere i libri di 50 anni fa o i classici, ponendosi pochi problemi sul modo in cui iniziano.
Per questo motivo credo che "Hooked" sia utile per chiunque si cimenti nella scrittura, se non altro perché aiuta a capire cosa si aspetta da essi l'editoria contemporanea, ma anche le differenze col passato. Particolarmente interessante è poi il parallelo che viene fatto con il cinema, che in passato ha copiato parecchio dalla letteratura, mentre adesso succede per lo più l'opposto.
Mi è piaciuto il tentativo di schematizzare gli elementi essenziali dell'inizio del romanzo non tanto per la sua utilità in sé (anzi la trovo in generale un'eccessiva semplificazione), ma soprattutto perché grazie agli esempi usati (alcuni molto famosi o comunque di romanzi che avevo letto) mi ha permesso di notare degli aspetti che inconsciamente nello scrivere anche io ho usato e di cercare di valutare se l'avessi fatto in maniera corretta.
Penso infatti che "Hooked" vada preferibilmente usato in fase di riscrittura piuttosto che nell'affrontare la prima stesura di un romanzo. Solo dopo aver completato tutta la storia, si può, a mente lucida, tornare indietro e modificare il suo inizio in modo da renderlo accattivante al lettore.
Al di là di ciò, credo che questo libro come altri non debba porre dei limiti alla creatività personale, ma sia solo una guida di massima, in quanto la narrativa è in continua evoluzione, i gusti cambiano e bisogna comunque trovare da soli una propria voce nel raccontare le storie. Inoltre anche l'editoria è attualmente sottoposta a profondi cambiamenti. Essere un buon autore non presuppone più necessariamente il passare attraverso la selezione di un editore, ma, come nel caso degli autori indipendenti, direttamente attraverso quella del pubblico. In questo scenario un libro scritto al di fuori di certe convenzioni non solo può trovare comunque un certo supporto da parte dei lettori, ma può addirittura generarne di nuove.

 

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Di Carla (del 19/01/2012 @ 03:34:41, in Cinema, linkato 6878 volte)

Sono passati cinque anni e mezzo da quando ricevetti una mail da Ed McPadden, direttore esecutivo di "Oltre I Binari", che mi chiedeva di poter inserire il brano "House Of Love" di Hinkel nella colonna sonora del film. Ovviamente sia io che l'artista fummo ben felici di accettare, nonostante avessimo a disposizioni poche informazioni sul film stesso.
Sapevamo che era un'opera prima indipendente di un regista del Connecticut, di origine argentina, che si trattava di una storia di mistero a metà strada tra la vita e la morte, e soprattutto che vantava un cast davvero interessante per un film con un budget presumibilmente molto piccolo: Brendan Fehr (già visto come regular nella serie Roswell e periodicamente ricorrente in CSI:Miami), Chad Lindberg (Fast & Furious e la serie Supernatural) e la giovane Tania Raymonde (divenuta famosa per la parte di Alex, la figlia di Ben, in una delle serie TV di maggior successo degli ultimi anni: Lost).
Bastò questo e l'entusiasmo di Ed e Alex (A.D. Calvo, il regista) nei confronti della musica di Hinkel a convincerci ad accettare. Era l'estate del 2007. Successivamente il film partecipò a numerosi festival negli Stati Uniti, vincendo il premio come miglior film al SENE Film Festival 2009, quello della scelta del pubblico al Kent Film Festival 2008, quello per la migliore colonna sonora e migliore fotografia al CT Film Festival 2008.

La vera svolta si ha però nel 2010 quando i diritti di distribuzione del film vengono acquisiti dalla Artist View Entertainment, grazie alla quale riesce ad approdare all'estero. E così, dopo essere trasmesso dal nota rete Showtime ed essere distribuito in DVD col titolo di "The Haunting of Amelia", "Oltre I Binari" (titolo originale: "The Other Side Of The Tracks") arriva in Europa nel 2011 e finalmente in Italia, su Sky Cinema Passion, lo scorso 15 gennaio (verrà ritrasmesso il 24 gennaio alle 13.25).

Il film racconta la storia di Josh, un ventinovenne che, a 10 anni della morte della sua ragazza, Emily, in un tragico incidente ferroviario, continua a vivere nel passato incapace di andare avanti con la sua vita, finché un giorno nel ristorante in cui lavora arriva Amelia, che risulta essere straordinariamente somigliante a Emily.
La storia scorre con un ritmo molto lento nell'ambito delle singole scene, ma fin troppo veloce nel spostarsi tra una scene e l'altra. Josh è contornato da personaggi, tra cui Amelia, il suo amico Rusty e sua madre, che passano il tempo a spronarlo ad uscire da questa sua condizione. Nel frattempo lui continua ad avere strani sogni di Emily, il ricordo della quale è per lui una vera ossessione. Il tutto è avvolto da un senso di inquietudine e immagini horror proprie delle classiche storie di fantasmi. Nel vedere il film ci si rende conto che la storia ha qualcosa di stonato, surreale a tratti onirico e ci si chiede dove esattamente voglia andare a parare, quale sia il senso di tutti quei dialoghi apparentemente vuoti separati da lunghi silenzi.
Erroneamente si potrebbe imputare questa sensazione al fatto che si tratta pur sempre di un film a basso costo, con un cast (sia artistico che tecnico) ridotto, location limitate, girato in poco tempo. Alla fine però si capisce che non è questo il motivo, anzi devo complimentarmi con lo stesso Alex Calvo (che è anche autore del soggetto e della sceneggiatura) per essere riuscito con i suoi pochi mezzi a creare un'opera davvero molto interessante e coinvolgente. Mi chiedo che cosa potrebbe fare se avesse a disposizione un grosso budget e, anzi, mi auguro che ben presto possa riuscirci.
Da allora A.D. Calvo ha girato un altro film "The Melancholy Fantastic", uscito lo scorso anno, e sta lavorando a "House Of Dust".

"Oltre I Binari" è attualmente in programmazione su Sky Cinema Passion. Il prossimo passaggio sarà martedì 24 gennaio alle 13.25 e successivamente mercoledì 25 gennaio alle 4.05.

Potete vedere il trailer in questo post e visitare il sito ufficiale del film cliccando qui.

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Di Carla (del 11/01/2012 @ 06:27:07, in Scrittura & pubblicazione, linkato 6792 volte)
Emilio SalgariChiunque si sia mai cimentato nella scrittura creativa sa che, almeno in teoria, prima di mettersi di fronte al foglio bianco, è necessario fare delle ricerche accurate sulle ambientazioni, il periodo descritto e gli argomenti trattati, in modo da creare una storia il più possibile realistica, ma anche avere ulteriori elementi per arricchirla e renderla interessante agli occhi del lettore.
Gli scrittori di professione svolgono le ricerche in maniere diverse. Alcuni si trasferiscono per qualche settimana nei luoghi dove si svolgerà la loro storia, altri leggono libri sugli argomenti trattati, altri ancora intervistano esperti. Esistono mille modi diversi di fare una ricerca. Tutti questi input, oltre ad assicurare una certa padronanza dell'argomento, stimolano la fantasia e permettono di sviluppare le storie ben oltre l'idea iniziale.
Certo fare delle ricerche in questo modo può essere a volte costoso. Lo scrittore che non navighi nell'oro, che sia professionista o no, spesso non può permettersi di girare il mondo, non ha la possibilità di incontrare esperti e così via, anche per il semplice fatto che non ne ha il tempo (e persino il tempo è denaro).
In passato, però, le cose andavano anche peggio. Gli scrittori il più delle volte erano costretti a raccontare delle storie attinenti a cose che conoscevano bene o in cui vivevano o basandosi su quello che riuscivano a reperire dopo ore e ore di letture in biblioteca, poiché la possibilità di accedere ad altre informazioni era a dir poco proibitiva. E chi decideva di fregarse di questi limiti era costretto a basarsi sulla propria immaginazione, ammesso che ne avesse una veramente fervida. Basti pensare a Emilio Salgari, che nei suoi libri descrisse in maniera vivida e coinvolgente luoghi lontani che non aveva mai visto. Il suo modo di procedere era simile a quello degli attuali scrittori di un certo tipo di fantasy e di fantascienza, che arrivano letteralmente a creare dei nuovi mondi, che padroneggiano completamente, cosa che evita loro di fare delle grandissime ricerche.
Ma, rispetto ai tempi di Salgari, gli scrittori di adesso, che siano super-dilettanti o autori di bestseller, possono contare su delle fonti immediatamente accessibili in qualsiasi istante, grazie alla più grande invenzione degli ultimi decenni: internet.
Adesso, se vogliamo ottenere delle informazioni su di un argomento, lo cerchiamo su Google o andiamo direttamente su Wikipedia, se vogliamo vedere un luogo, in cui non siamo stati, possiamo contare su Google Maps e Google Earth. In alcuni casi questi ultimi ci permettono addirittura di muoverci per le strade di una città e vederne i dettagli, come se fossimo lì. Oppure andiamo su YouTube dove troviamo tantissimi video di documentari che parlano di vari argomenti o ancora, se ci serve un certo libro, lo possiamo acquistare in formato ebook in pochi clic. E se non abbiamo tanti soldi da spendere, basta affidarci al caro eMule, per trovare quello che ci serve, infrangendo qualche legge sul copyright.
Insomma non abbiamo scuse.
Tutto o quasi è alla nostra portata. Questo, però, cambia completamente l'approccio che possiamo avere nei confronti di una ricerca. Possiamo sempre fare alla vecchia maniera: leggendo, visionando video, guardando foto e così via e creando degli appunti, magari usando programmini come OneNote (o altri gratuiti) che ci permetto di copiare testi, immagini, link e organizzarli comodamente, per ritrovarli quando ci servono.
Oppure abbiamo un'altra scelta. Possiamo iniziare a metterci a scrivere, magari dopo aver fatto qualche piccola ricerca preliminare (come la lettura di un libro, di un articolo o la visione di un documentario, giusto per entrare nel tema e catturare quella particolare emozione da cui nasce ogni storia) e poi, volta per volta, quando nasce la necessità, cercare quello che ci serve direttamente quando ci serve. Con una connessione permanente a internet ci basta tenere aperto un browser insieme al programma di scrittura e passare dall'uno all'altro con estrema facilità, mantenendo sempre viva quell'emozione e allo stesso tempo alimentandola con tutti quegli input immediati, il risultato dei quali possiamo metterlo subito nero su bianco senza temere che quella grande idea venga persa, perché non siamo stati in grado di fissarla nel momento stesso in cui ci è venuta in mente.
Questo approccio non è certo ordinato e a prima vista potrebbe sembrare confusionario, in realtà si basa in tutto e per tutto sul modo in cui la nostra memoria lavora, cioè in modo associativo, passando da una cosa all'altra, piuttosto che lineare.
Senza dubbio l'utilizzo di un metodo del genere richiede una certa disciplina e padronanza dei propri mezzi. È estremamente facile distrarsi e iniziare a navigare dimenticandosi di ciò che stavamo scrivendo. D'altra parte, però, se si riesce ad applicarlo correttamente, dà la possibilità di tuffarsi subito nella narrazione, evitando il rischio che quella particolare emozione (la cosiddetta ispirazione), una volta terminata ogni ricerca e organizzata la trama in ogni minimo dettaglio (di quest'ultimo aspetto ne parlerò più diffusamente in futuro), risulti svanita purtroppo nel nulla, prima di averla potuta sfruttare per quello che era il nostro unico scopo, cioè scrivere.
E se questa ricerca in tempo reale ci porta a fare qualche errore?
Be', che problema c'è? Le nostre parole non sono state di certo incise sulla pietra, ma neppure sulla carta. Una volta terminata la stesura, quando siamo certi di aver fissato tutto quello che ci frullava in testa, ci resta tutto il tempo del mondo per controllare, correggere e modificare quello che abbiamo scritto, tutte le volte che vogliamo.
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Di Carla (del 05/01/2012 @ 06:05:13, in Lettura, linkato 3878 volte)
More about First Landing


 Una possibile avventura marziana

Definire questo romanzo fantascienza non sarebbe del tutto corretto, poiché la storia raccontata è realistica in ogni suo aspetto scientifico. Zubrin non si è inventato alcuna tecnologia che già non esistesse al tempo della scrittura di quest'opera, cioè più di 10 anni fa. Ciò fa di "First Landing" un'opera a metà strada tra il romanzo e il saggio, dove una storia di pura invenzione viene usata per fornire al grande pubblico dei lettori una notevole quantità di informazioni sia su Marte che sullo stato dell'arte della tecnologia aerospaziale che sarebbe in grado di portarci fino a lì.
Ovviamente poi la storia è ambientata in un futuro che in parte è già passato per noi e resta comunque finzione scientifica, cioè fantascienza ma nella sua traduzione diretta dall'inglese science fiction, non perché si parli di viaggiare nello spazio, ma perché ne illustra la fattibilità reale tramite una storia inventata.
D'altronde stiamo parlando di Robert Zubrin, fondatore della Mars Society e da sempre impegnato nel permettere all'umanità di approdare sul pianeta rosso con l'intenzione di colonizzarlo. La sua posizione è sicuramente ottimista, ma questo romanzo è soprattutto uno strumento di propaganda per il suo movimento (l'appendice ne è una prova), affinché si sviluppi un certo interesse sul raggiungimento di un traguardo che sembra ancora lontano. Zubrin ci dimostra che di fatto non lo è. Manca soltanto la volontà di raggiungerlo per un innumerevole quantità di motivi, tra cui molti di natura politica. Anche questo aspetto viene infatti in parte trattato nel romanzo.
Personalmente, sono fra coloro che vorrebbero vedere l'uomo conquistare e magari colonizzare Marte, finché sono ancora in vita, mi rendo conto che il nostro mondo ha altre urgenze e che un progetto di questa portata deve per forza di cose essere portato avanti con i giusti tempi, ma sono anche persuasa che portarci su Marte potrebbe aiutarci a risolvere una parte di queste necessità. Apprezzo perciò il lavoro di Zubrin, perché senza persone come lui, questo sogno sarebbe ancora più lontano.
Parlando della storia narrata in sé, senza considerare le sue implicazioni, non è affatto male. Mi ha tenuto col fiato sospeso, tanto che l'ho letta davvero in poco tempo, per sapere come sarebbe andata a finire. Il ritmo è sostenuto. I personaggi si trovano già da subito e sin fino alla fine ad affrontare situazioni di altissima tensione. Sono ben delineati e coerenti. I dialoghi ti catturano.
Se proprio voglio trovare un elemento negativo è la mancanza di vera drammaticità, poiché alla fine tutto in un modo o nell'altro viene risolto, e questo è l'unico aspetto di poca realisticità della storia. Nella realtà non tutto può essere risolto, soprattutto quando la narrazione si estende per un così lungo periodo in un luogo così pericoloso. Esiste un analogo reale in cui tutto alla fine è andato bene, cioè la storia dell'Apollo 13 (definito il più grande fallimento di successo della NASA), ma la situazione in quel caso era decisamente più "semplice": in fin dei conti stavano andando sulla Luna e non erano su un pianeta a centinaia di milioni di chilometri dalla Terra.
Nonostante questo è senza dubbio uno dei libri più belli che abbia letto negli ultimi mesi e si merita il massimo dei voti.

First Landing (formato Kindle in inglese) su Amazon.it.
First Landing (formato Kindle in inglese) su Amazon.com (con link a versioni cartacee).

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Di Carla (del 31/12/2011 @ 03:21:26, in Propositi, linkato 3514 volte)
L'Antartide e l'aurora australe viste dallo spazio

Da un po' di tempo a questa parte, alla fine di ogni anno scrivo una lista di propositi per quello successivo e controllo quella scritta l'anno precedente. La maggior parte di questi propositi sono ancora dei work in progress e quindi non sono stati completati. Altri invece sono caduti direttamente nel dimenticatoio. Pochi (ma buoni) risultano invece essere stati portati a termine e sono proprio questi a darmi soddisfazione e a spingermi a fare sempre nuovi progetti, perché alla fine, anche se non si riesce a far tutto, da un anno all'altro qualcosa cambia sempre, qualche piccolo passo si fa. Può sembrare poco, ma, se proviamo a scrivere tutto quello che siamo riusciti a fare in un anno, ci renderemmo conto che non lo è affatto.
Più tardi aprirò il mio netbook, dove tengo queste liste, e farò un po' di bilanci. C'è però un proposito che so di aver portato a termine per quest'anno, forse il più importante di tutti: ho terminato la prima stesura del mio romanzo. Ci sono riuscita poche ore fa, dopo aver lottato a lungo per trovare il tempo per farlo.
Scrivere questo romanzo è stata una bella sfida. In passato ho scritto tanto, soprattutto articoli, sceneggiature e fanfiction, ma questo è il primo romanzo originale che inizio e porto a termine. C'è voluto molto tempo e un'enorme forza di volontà per riuscirci.
L'idea è nata da un sogno fatto nella primavera del lontano 2006. Il romanzo adesso, a dire il vero, ha ben poco a che vedere con quel sogno, ma l'ispirazione iniziale nacque da lì e il suo titolo, cioè "L'isola di Gaia", è ancora legato ad esso. C'è infatti nella storia una qualche componente ecologica (a me cara, visto che sono un'ecologa), sebbene parecchio contro tendenza rispetto all'ecologismo di cui si sente parlare al giorno d'oggi. Gaia è sia il personaggio intorno al quale ruota gran parte della storia sia una metafora del nostro pianeta, che alla fine continua a mostrarsi benevolo nei nostri confronti, anche se ogni tanto ci fa penare un po'.
Ma l'ecologia è solo uno dei vari componenti scientifici di questa storia, insieme all'astronomia, la genetica, internet ecc... tutti immaginati in un futuro non troppo lontano ma neppure ben definito. Sono elementi di contorno di una storia d'azione, di ricerca di uno scopo più grande a cui dedicare la propria vita, di azioni politicamente scorrette, di etiche flessibili, di ossessioni e sentimenti talvolta perversi. Non c'è traccia di buonismo né di un qualche tipo di insegnamento. È una storia in cui i personaggi fanno delle cose perché possono farle e, per questo motivo, non riescono a vedere in esse nulla di sbagliato.
Tutto ciò è mescolato a omicidi, colpi di scena, azione, rivelazioni, sogni, realtà virtuale e fede.
Ma, come ho detto, ho semplicemente terminato la prima stesura. Avevo iniziato a scriverla il 25 agosto del 2007, ma poi avevo interrotto la scrittura fino al 2009. Negli ultimi due anni ci ho lavorato con costanza, nei ritagli di tempo, rubando ore al sonno. Il risultato è una storia forse un po' lunga (oltre 123 mila parole non sono poche), ma solo perché complessa e, spero, divertente.
Ho scritto la parola fine, anche se la settimana prossima rivedrò con calma l'ultima parte, per fare ancora qualche piccola modifica. Poi rimarrà da parte per almeno un mese, affinché io possa quasi dimenticarmene, prima di affrontare il lavoro dell'editing.
Si tratta decisamente di un progetto a lungo termine, per il quale non ho fretta, poiché voglio portarlo avanti nel migliore dei modi.
Intanto però non ho intenzione di fermarmi. A gennaio inizierò a scrivere qualcosa di nuovo, di meno lungo, che avrete sicuramente modo di leggere ben prima della pubblicazione de "L'isola di Gaia".
Ma è presto per parlarne.
Per quest'anno mi fermo qui. Nuovi progetti e nuovi propositi mi aspettano per quello che sta per iniziare.
Auguro a tutti voi un nuovo anno ricco di propositi che verranno portati a compimento. Buon 2012!

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Di Carla (del 29/12/2011 @ 17:06:16, in Lettura, linkato 5027 volte)
More about I romanzi dell'antico Egitto

 La battaglia di Tebe

È strano leggere la storia della cacciata degli Hyskos da un'altra voce. Stessa storia, ma due autori diversi e 50 anni di distanza. Ovviamente finisce per sembrare una storia totalmente diversa. Ed è quello che accade in "La battaglia di Tebe", che narra della vittoria degli Hyskos da parte del Faraone Amosis, dopo 200 anni di dominazione.
Avevo già conosciuto in dettaglio l'intera vicenda grazie alla trilogia dedicata alla regina Ahhotep di Christian Jacq. In questo libro di Mahfuz, sebbene l'epilogo sia scontato, non lo è affatto tutto quello che c'è in mezzo. I personaggi principali sono gli stessi, ma non il modo in cui sono imparentati, gli eventi hanno qualche somiglianza, ma in altri casi divergono notevolmente, la stessa visione dell'antico Egitto si distacca da quella magica di Jacq. Solo l'orgoglio e il senso di civiltà degli antichi egizi rimane lo stesso.
La causa di tutte queste differenze è il fatto che i due autori hanno dovuto riempire gli spazi tra i fatti storici con le loro rispettive fantasie, ma mentre ai tempi di Jacq, ben più recenti, molte altre scoperte sono state fatte, talvolta modificando radicalmente le opinioni storiche di mezzo secolo prima, a quelli di Mahfuz le maglie della conoscenza erano molto più larghe. Questo gli ha permesso maggiore libertà di movimento. E così mentre con Jacq si ha la costante sensazione che venga limitato dai "paletti" storici e faccia i salti mortali, talvolta in maniera forzata, per far combaciare i fatti con la finzione, il racconto di Mahfuz appare più omogeneo e la lettura risulta avvincente anche se si conosce il finale. Inoltre, per assurdo, l'assenza di elementi magici che sforano del fantasy contribuisce a creare una storia nel complesso più credibile.
E forse lo stesso fatto che Mahfuz sia "soltanto" uno scrittore, per giunta premio Nobel, invece di essere primariamente un egittologo, come Jacq, è sufficiente a giustificare il perché ci troviamo di fronte ad un'opera letteraria veramente splendida.


 Akhenaton, il faraone eretico

Davvero curioso questo romanzo, in cui una persona cerca di scoprire la verità sulla storia di Akhenaton, faraone divenuto famoso per aver instaurato il culto di un dio unico (Aton) durante il suo regno, attraverso i racconti delle persone che lo avevano conosciuto. Il risultato è un insieme di versioni diverse e spesso talmente contrastanti da essere opposte, di fronte alle quali questo personaggio storico esce comunque parecchio svilito, almeno su alcuni aspetti. E ovviamente la conseguenza di questo contrasto di informazioni è l'impossibilità del narratore di scoprire quale sia la verità.
Più che un romanzo sembra un esperimento di scrittura sicuramente pregievolissimo, ma che risulta un po' noioso per il lettore, soprattutto tenendo conto che da quando è stato scritto sono passati 25 anni e molto di quanto viene detto su questo faraone è stato messo in dubbio da studi successivi da parte degli egittologi. Akhenaton è stato in parte rivalutato e la sua eventuale condizione di "eretico" non sembra più così certa, almeno non dal punto di vista degli antichi egizi.
Infine, il fatto che si utilizzi per lo più materiale inventato, come è ovvio che sia, mettendosi nei panni di personaggi così lontani nel tempo, dei quali non si può conoscere opinioni e sentimenti, fa venire meno ogni utilità della stessa lettura del romanzo. Il testo risulta abbastanza ripetitivo e, già alla terza volta che vengono citati gli stessi fatti, vorresti metterlo da parte.


 La maledizione di Cheope

Questo romanzo mi è piaciuto più del precedente, ma decisamente meno del primo. L'idea di base è in realtà molto carina, ma il modo in cui è stata sviluppata non mi sembra riuscito. La storia è scontata già dalle prime battute e tutti gli eventi vengono in qualche modo anticipati senza che ci siano dei colpi di scena. Se l'autore ci avesse nascosto in qualche modo l'identità di Dedefra (oggi noto in italiano col nome di Djedefra o Kepher), per esempio, la storia sarebbe stata decisamente più avvincente.
Altri eventi invece sono descritti in maniera affrettata e poco credibile. Il personaggio della principessa si comporta in maniera incostante e il suo repentino cambiamento di sentimenti pare del tutto ingiustificato.
Dalla semplicità nella strutturazione della storia e dalla sua lunghezza ridotta sembra più che altro un romanzo per ragazzi, in cui l'autore indugia un po' troppo nello stile dei dialoghi (molto poetici e irrealistici) piuttosto che nello sviluppo della trama.
A ciò si aggiunge qualche imprecisione storica, sicuramente da ascrivere al fatto che il romanzo è stato scritto nel 1939, che vuole, tra le varie cose, la Sfinge già presente prima della costruzione della Grande Piramide. Da studi più recenti si ritiene che la Sfinge sia opera di Chefren o successiva, in quanto ne raffigura il volto. Inoltre Djedefra pare che sia stato figlio (come pure Chefren) di Cheope, mentre nella storia non risulta imparentato. Questi fatti, però, non erano probabilmente noti a quel tempo e, laddove mancavano prove storiche, l'autore ha semplicemente lavorato di fantasia.

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Di Carla (del 29/12/2011 @ 01:51:57, in Cinema, linkato 4978 volte)

Sono passati più di quattro anni da quando ho avuto l'occasione di entrare in contatto con Ed McPadden e il regista A.D. Calvo, che mi chiesero l'inserimento del brano "House Of Love" di Hinkel nella colonna sonora del film "The Other Side Of The Tracks".
Dopo aver partecipato a numerosi festival negli Stati Uniti e vinto diversi premi, il film ha trovato un distributore circa un anno fa, approdando in DVD negli Stati Uniti e in TV nel resto del mondo.

E adesso arriva anche in Italia col titolo "Oltre I Binari".
Con gli attori Brendan Fehr (Roswell, CSI Miami), Tania Raymonde (Lost) e Chad Lindberg (Fast & Furious, Supernatural), questo film horror/drammatico racconta la storia di Josh, traumatizzato dal ricordo della fidanzata morta in un incidente ferroviario, che tenta di rifarsi una vita quando incontra una cameriera dall'incredibile somiglianza col suo grande amore.

Il film verrà trasmesso su Sky, nel canale Sky Cinema Passion in doppio audio, in prima TV il 15 gennaio alle 21 e successivamente il 24 gennaio alle 13.25.

Il film è anche disponibile in streaming su Amazon.com con il titolo "The Haunting of Amelia".

Non ho ancora avuto l'occasione di vedere il film per intero, quindi dopo la visione vi potrò fare una recensione, ma nel frattempo vi propongo il trailer e il brano "House Of Love".

House Of Love HINKEL

Foto: © 2008 Goodnight Film

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Di Carla (del 21/12/2011 @ 06:51:24, in Lettura, linkato 2722 volte)
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 Uno sguardo appassionato sul Giappone

Senza dubbio una bella penna quella di Chiara Gallese, capace di evocare immagini vivide del "suo" amato Giappone anche nella mente di chi non ha ancora avuto la fortuna di visitarlo. A leggere le sue descrizioni pare proprio di stare lì, vederne forme e colori, sentirne i suoni e gli odori, la voce della gente, assaggiarne i cibi. La suggestione è immediata e potente. La stessa idea di dedicare ogni capitolo ad una stazione della metropolitana di Tokyo, raccontando degli eventi che in qualche modo sono ricollegati a quel luogo, è un elemento di notevole originalità e sicuramente una scelta vincente nel far sentire il lettore un po' parte di questi luoghi lontani. Questa particolare struttura del romanzo, insieme all'inserimento del passaggio di una canzone all'inizio di ogni capitolo e le numerose note disseminate lungo il testo sono sicuramente il frutto da tanta ricerca e allo stesso tempo prova di un'opera accuratamente progettata, qualcosa che difficilmente si trova in un autore esordiente che allo stesso tempo sia indipendente.
Posso, quindi, perfettamente comprendere come gli amanti (o almeno curiosi) del Giappone possano reagire con entusiasmo alla sua lettura. D'altra parte chi invece vi si accosta principalmente per leggere una nuova storia potrebbe rimanerne perplesso, nonostante l'autrice si premuri di specificare lo spirito del suo romanzo nella sua descrizione e nella postfazione.
La storia in sé, infatti, passa completamente in secondo piano rispetto all'amore per il Giappone e questa mancanza di equilibrio purtroppo si nota. Non vi è infatti la stessa cura quasi maniacale per i particolari. Il personaggio di Keiko, per quanto parli in prima persona, risulta abbastanza semplice, privo nel modo in cui si comporta di quei contrasti che essa stessa afferma di possedere. È comunque ben caratterizzata nella sua semplicità, ma purtroppo risulta non sempre interessante agli occhi del lettore. Sappiamo cosa le è successo, che lavoro fa, i posti che ha visitato, ma è difficile riuscire ad individuare in essa quel qualcosa di "speciale", che ci aspettiamo di trovare nella protagonista di un romanzo.
I personaggi maschili, che le girano intorno, sarebbero potenzialmente ben più interessanti (a parte il suo primo fidanzato giapponese, che è una figura evanescente appena accennata), ma a tratti risultano stereotipati e semplificati: il giapponese dall'aspetto caucasico tormentato e diviso fra due mondi e l'italiano praticamente perfetto per mettere su famiglia. Basta soltanto questa definizione a far capire come andrà a finire la storia.
Keiko ci parla di loro, ma non riesco a vedere in lei il forte sentimento che prova per loro: non ce lo mostra. Le scene più drammatiche vengono anticipate, ma poi saltate a pie' pari, quasi non fossero importanti.
Tutto questo è un peccato, perché i potenziali per tirare fuori una storia avvincente c'erano tutti: sembra quasi che l'autrice abbia avuto paura di rischiare.
La scelta stilistica di mescolare gli avvenimenti seguendo questo ordine "geografico" invece che quello cronologico mi è piaciuta molto. Peccato che così facendo ogni capitolo tenda ad acquisire una denotazione molto episodica, senza un qualche evento sospeso alla fine di esso, che costringa il lettore ad andare avanti per vedere cosa succede dopo.
L'insieme di queste osservazioni mi fa pensare che nel dare estrema importanza alle ambientazioni si sia trascurato gran parte del resto. Ciò si vede anche da piccoli errori concettuali, come, per fare qualche esempio, le farfalle dei faggi, che in realtà sono quelle delle betulle (che hanno le cortecce bianche); i polipi invece dei polpi (a meno che non si riferisse a qualche specie di celenterato commestibile come le attinie, invece che ai famosi molluschi con otto braccia dotate di ventose); le cicale che friniscono anche di notte (lo fanno solo di giorno nelle ore più calde e di notte ci si sentono i grilli). Tutti piccoli dettagli che possono disturbare, in quanto ci voleva davvero poco per evitarli, se fosse stato dato ad essi metà dell'importanza dei mille dettagli giapponesi con tanto di nota esplicativa.
Poi ovviamente ci sono una serie errori legati alla mancanza di un correttore di bozze: refusi (anche se non tantissimi a dire la verità), qualche imprecisione minore di carattere ortografico e sintattico, una certa mancanza di coerenza nell'uso di diverse forme ortografiche (corrette) lungo l'intero scritto (es. obiettivo e obbiettivo), infine la tendenza ad un eccessivo uso degli accapi, che spezzano anche visivamente la lettura, sebbene questa venga man mano diminuendo con l'andare avanti del testo.
Infine una cosa che non mi è piaciuta tanto è la scelta di inserire una critica alla società italiana in confronto a quella giapponese. Mi è sembrato di per sé un argomento un po' troppo complesso perché potesse essere affrontato in un testo del genere (poiché non essenziale per la trama) e, infatti, risulta troppo semplicistico. Se Keiko fosse una persona reale o se a scrivere le sue storie fosse stata un'autrice giapponese, l'avrei considerata un po' troppo superficiale nelle sue critiche, perché ignorante su come esattamente stanno le cose nel mio paese. Il fatto che invece si tratti di una scrittrice italiana mi lascia a dir poco perplessa, se non altro perché, seppure ci trovassimo di fronte alla pura finzione e quindi le sue parole non dovessero rispecchiare il suo pensiero reale, si tratterebbe di una scelta da parte sua parecchio rischiosa, in quanto potrebbe far storcere il naso al lettore italiano amante del suo paese (e parliamo di tanta gente) e spingerlo ad un giudizio negativo sia nei suoi confronti (se l'autore non percepisce la finzione) che in quelli del modo di pensare giapponese, cosa del tutto controproducente in un testo che vuole invece essere una dichiarazione d'amore nei confronti del Giappone.
La scelta di dare tre stelle a questo romanzo è quindi frutto di tutte queste riflessioni. Resta comunque il fatto che ci troviamo di fronte a una buona scrittrice, che forse manca soltanto un po' di esperienza nel confronto diretto con il pubblico della narrativa, cosa più che normale trattandosi della prima opera pubblicata.

NOTA: Una nuova edizione di questo romanzo è stata pubblicata da Cerebro Editore il 16 dicembre 2013. Il ricavato della vendita del libro verrà devoluto a favore di End Polio Now.

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27/07/2024 @ 08:16:53
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