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Riflessioni dopo l’evento al Salone Internazionale del Libro di Torino: self-branding e classifiche di genere
Di Carla (del 27/05/2014 @ 06:36:09, in Eventi, linkato 5000 volte)



Lo scorso 9 maggio ho partecipato in qualità di relatrice all’evento “Self-publishing: i sogni si pubblicano, non si chiudono nel cassetto” nell’ambito del Salone Internazionale del Libro di Torino 2014.
È stata un’esperienza molto interessante ed è un peccato che avessimo solo 50 minuti per l’evento, perché ci sarebbe stato da parlare per ore.
Insieme a me c’erano, oltre Alberto Grandi di Wired, che coordinava l’evento, Camille Mofidi e Diego Marano di Kobo, e Antonio Tombolini di Narcissus.
È stato molto bello conoscere tutti loro. Abbiamo avuto l’opportunità di scambiare quattro chiacchiere sia prima che dopo l’evento. Ma è stato molto piacevole ascoltarli e discutere con loro davanti al numeroso pubblico che ha affollato l’area Book To The Future del Salone.
 
Ho apprezzato particolarmente il discorso fatto da Antonio Tombolini su cosa significa essere self-publisher oggi e su come il self-publishing digitale non sia vanity press, ma anche il contributo di entrambi gli inviati di Kobo. Diego Marano, che è italiano, è manager per il Regno Unito di Kobo Writing Life, mentre Camille Mofidi è la manager europea sempre della piattaforma di self-publishing di Kobo. Diego Marano ha integrato il discorso di Tombolini, concentrandosi sul contributo di Kobo Writing Life nell’ambito del self-publishing, e Camille Mofidi ha riferito riguardo alla situazione a livello europeo. A questo proposito vi rimando a un articolo sull’evento di Equilibri Digitali che ne parla più diffusamente.
 
Per quanto mi riguarda, sono stata introdotta per prima da Alberto Grandi per parlare della mia esperienza con la pubblicazione della serie di “Deserto rosso” tra il 2012 e il 2013 e, successivamente, sono intervenuta in altre tre occasioni (incluse due domande a me rivolte dal pubblico). Probabilmente sono quella che ha parlato di più.
In questo post vorrei però fare alcune riflessioni su due argomenti emersi durante l’evento e che ritengo particolarmente significativi.
 
Il primo è venuto fuori in seguito a una domanda che è stata posta proprio a me, dopo che ho riferito di come io interagisco con i miei lettori tramite i social network e come questo sia alla base dei meccanismi di promozione di un self-publisher (e non solo).
L’insieme di questi metodi di promozione costituisce il self- branding, cioè il fare di sé un marchio autorevole. In questo contesto l’autore interagisce nella rete con i lettori o i possibili lettori, sfruttando le tematiche dei propri libri e qualunque aspetto a essi legato, come nel mio caso l’esplorazione di Marte e la stessa serialità della pubblicazione, che mi ha permesso di coinvolgere in parte le persone anche nella fase creativa.
In poche parole, l’autore deve sapersi “vendere”, esporsi in prima persona, interagire con persone competenti del proprio genere, deve essere egli stesso un personaggio, un marchio.
Ed ecco che mi è stato chiesto se non ci potrebbe essere il “rischio” che la gente compri i libri per via dell’autore e non per il loro valore intrinseco o del loro contenuto.
 
Ammetto che per mezzo secondo ho fissato la mia interlocutrice come se fosse una marziana (lei!). Il pensiero successivo è stato: e allora?
Ho cercato di spiegarle che fa tutto parte del gioco dell’essere un autore, che insomma il mondo gira così.
 
Ditemi voi. Qual è la differenza tra il self-branding e i grandi editori che spendono fior fior di quattrini in pubblicità, creando nel lettore la necessità di leggere un libro che poi magari non vale quanto viene pubblicizzato?
 
Se non altro, un lettore che interagisce con l’autore è in grado di valutare prima dell’acquisto se ha davanti a sé una persona di un qualche valore. Ne può apprezzare la competenza, le capacità scrittorie (l’autore interagisce scrivendo, per esempio, nel proprio blog, ma anche nei social), la sua disponibilità, il suo valore umano.
Mi sembra una motivazione migliore per comprare un libro rispetto al vederlo sbattuto davanti agli occhi ovunque.
È chiaro che, se poi il potenziale lettore non è interessato al contenuto, con tutta probabilità non comprerà comunque il libro, anzi è poco probabile, in primo luogo, che arrivi a interagire con l’autore, visto che non hanno gli stessi interessi.
In ogni caso non l’autore si può prescindere dal self-branding, che non basta, ma è un punto di partenza fondamentale.

Nella foto sopra: Antonio Tombolini, Alberto Grandi, io (!), Camille Mofidi e Diego Marano durante l'evento. Potete vedere altre foto qui.
 
Il self-branding è la versione dell’author-branding applicata al self-publisher. L’autore pubblicato da un editore, uno grosso ovviamente, può contare su una squadra di persone che si occupa della sua promozione e quindi dell’author-branding. Il self-publisher fa da sé.
 
Ma in realtà il self-branding ormai esiste in tutta l’editoria. Tutti gli autori sono tenuti a essere presenti in rete, a interagire, a farsi conoscere, a mostrarsi disponibili, simpatici. Nei casi di autori si può trattare di qualcuno pagato per impersonarli, ma il meccanismo è lo stesso.
Autori di fama mondiale come Patricia Cornwell pubblicano foto e post su Facebook, rispondono ai tweet su Twitter, uno per uno. Magari non a tutti, ma ci provano.
L’autore britannico Peter F. Hamilton, che è forse il più grande autore contemporaneo di fantascienza del suo Paese, tra le altre cose su Facebook risponde alle domande su dove acquistare certi suoi libri. Lo dico perché ha risposto a me e io ho seguito il suo suggerimento. Addirittura si è preso la briga di leggere tre miei articoli dedicati a una sua serie di libri, che avevo linkato sulla sua pagina Facebook, e di commentarli. E so per certo che li ha letti, visto che l’ha dimostrato col suo commento ben argomentato.
È normale che, se un giorno dovessi scegliere tra l’acquistare un suo libro e quello di un altro autore di fantascienza, mi sentirei più portata a prendere il suo. Ma è altrettanto chiaro che, se non mi piacesse come scrive o la fantascienza, non mi sognerei di spendere i miei soldi, fosse solo un euro, né impegnare il mio tempo (scrive dei tomi di 800 pagine) con i suoi libri solo perché è simpatico.
 
Il secondo argomento è stato in parte affrontato nella domanda posta da uno del pubblico a Tombolini e Marano. Ho poi avuto modo di parlarne diffusamente con una persona di Meetale.com con cui mi sono intrattenuta qualche tempo dopo l’evento.
Il quesito è questo.
 
Ma se abbiamo già i nostri lettori perché non vendiamo i libri direttamente a loro invece di passare attraverso i retailer che si prendono una fetta del prezzo del libro?
Non arriverà un momento in cui i self-publisher non avranno più bisogno di un distributore o addirittura di un retailer, visto che avranno già i loro lettori?
 
La risposta è no, perché nei grandi retailer ci sono i lettori. Lì i libri vengono categorizzati per genere, finiscono quindi nelle classifiche, dove i lettori, tantissimi lettori, li possono trovare.
Ciò che segue forse non è stato ben chiarito dagli altri relatori, sia perché il loro non è il punto di vista di un autore, sia perché il discorso interessa soprattutto il retailer per eccellenza: Amazon.
 
Lo zoccolo duro di lettori di un self-publisher fa sì che al lancio del libro questo salga in cima alle classifiche di genere, rendendolo visibile ad altri lettori. Questi, comprandolo in massa, lo tengono in alto e permettono che venga inserito in breve tempo nei suggerimenti della pagina del prodotto di libri simili.
Si crea quindi un circolo virtuoso che, per esistere, richiede due elementi essenziali: 1) i lettori fidelizzati che lo innescano; 2) il retailer con altri potenziali lettori che lo alimentano.
Il risultato è il successo (eventuale) del libro, che non dipende solo da quante copie si vendono, ma soprattutto dal fatto che il mondo là fuori ne abbia la prova, determinando di conseguenza la vendita di molte altre copie.
 
Nel mio piccolo, io cerco come posso di sfruttare questi semplici meccanismi.
Sono riuscita tramite il self-branding a creare un certo numero di lettori affezionati, molti dei quali sono diventati quasi degli amici, tanto è costante la nostra interazione. Queste stesse persone sono state essenziali nel lancio del mio ultimo libro, Il mentore, avvenuto lo scorso mercoledì (21 maggio 2014).
 
Qui c’è da fare una piccola premessa. Questo libro è un thriller, mentre i miei libri precedenti erano di fantascienza. Il target di lettori non è lo stesso, anche se in parte si può sovrapporre. Nell’editoria tradizionale non avrei mai potuto fare questo cambio di genere, a meno che non fossi stata già un’autrice molto famosa. Come self-publisher, invece, potevo, ma sapevo che avrei potuto perdere una parte dei miei lettori appassionati di fantascienza, che magari non leggono thriller.
Comunque sia, ho deciso di “rischiare” (si fa per dire).
 
In occasione del lancio, ho messo il libro in promozione a 99 centesimi per soli tre giorni (su Amazon), spingendo i miei lettori ad acquistarlo in massa in un breve lasso di tempo. Da una parte coloro che mi seguono con costanza sono stati premiati perché hanno avuto il libro a poco, dall’altra hanno ricambiato diffondendo la notizia e generando altre vendite esterne.
Così il libro nello stesso giorno di pubblicazione è entrato nella top 100 del Kindle Store e nella top 20 del genere thriller e ci è rimasto per i tre giorni successivi, incluso il primo in cui non era più presente la promozione.
Ora il prezzo del libro è salito a 2,69 euro. Questo prezzo è stato scelto perché è poco sopra la soglia di raddoppiamento della percentuale di diritti sulle vendite applicata da Amazon. Questo lo dico per spiegare che non ho alzato il prezzo perché voglio lucrare sui miei lettori, ma sto cercando di evitare che Amazon lucri eccessivamente su di me. Stiamo comunque parlando di una cifra irrisoria se paragonata a 9,99 euro dei romanzi appena usciti dei grossi editori, ma ancora molto bassa nei confronti dei 4,99 euro di quelli di editori più piccoli.
Ovviamente le vendite sono scese in numero e pure la posizione in classifica, ma intanto il libro è comparso nei suggerimenti di molti altri libri simili (e il loro numero cresce di continuo) e continua a vendere in maniera costante.
 
Cosa succederà adesso non so dirlo, ma niente di questo sarebbe potuto succedere, se non avessi creato un seguito di lettori grazie al self-branding e se non avessi potuto contare su un retailer in grado di mettere in evidenza i risultati dei miei sforzi di promozione.
 
Dovendo tirare le somme di questa esperienza al Salone Internazionale del Libro di Torino, possono affermare che è stato senza dubbio un evento di successo grazie al quale ho creato anche qualche interessante contatto.
Al di là dell’aspetto personale, credo poi che sia stato un ulteriore passo in avanti nell’affermazione di come il self-publishing, anche in Italia, sia un fenomeno in crescita sia a livello di numeri che soprattutto di qualità.

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