Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Carla (del 02/09/2024 @ 09:30:00, in Cinema, linkato 899 volte)
Il film “Lola” (disponibile su RaiPlay) è un mockumentary, cioè un documentario finto, di fantascienza basato sul ritrovamento di un filmato misterioso relativo a un passato alternativo.
Le protagoniste sono due sorelle, Tomasina e Martha, che nel 1938 ereditano dal padre un’apparecchiatura (chiamata Lola, come la madre) in grado di captare le trasmissioni radio e televisive del futuro. Inizialmente la utilizzano per divertimento, ma poi pensano che possa tornare utile per fornire informazioni alla propria patria dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Il problema è che, così facendo, finiranno per modificare quello stesso futuro con conseguenze catastrofiche.
Non vi dico altro. Il film in sé dura molto poco, appena 75 minuti, ma vi assicuro che è una vera chicca, sia come idea che come è stato strutturato.
All’inizio può essere un po’ straniante seguire la storia con tutti questi filmati in bianco e nero, in parte danneggiati, ma poi ci sia abitua. E si rimane affascinati dal modo in cui viene mescolato il girato del film con filmati reali dell’epoca.
Non è semplicemente una storia ucronica, poiché a essa si aggiunge l’uso dei paradossi temporali, che di solito vediamo nelle storie in cui si viaggia nel tempo. Qui però a viaggiare non sono le persone, bensì le trasmissioni radiofoniche e televisive.
Buona visione!
Di Carla (del 04/09/2024 @ 09:30:00, in Cinema, linkato 793 volte)
Qualche giorno fa ho visto “Trap” al cinema, l’ultimo film di M. Night Shyamalan, con Josh Hartnett nel ruolo del protagonista.
Cooper porta la figlia adolescente al concerto di una popstar, Lady Raven (interpretata da Saleka, cantante americana figlia del regista), come tanti altri genitori, ma una volta lì si accorge che c’è qualcosa di strano. Nel luogo del concerto c’è uno spiegamento eccessivo di forze dell’ordine.
Il problema è che Cooper non è un genitore come gli altri: lui è “il macellaio”, un serial killer.
La prima ora del film è veramente eccezionale. Anche se il trailer aveva già spoilerato l’elemento alla base della storia (l’identità di Cooper), il modo in cui viene mostrato allo spettatore è magistrale.
Le cose diventano un po’ più difficili nella seconda parte del film, ma nel complesso è un ottimo thriller, che mi ha tenuto incollata allo schermo per tutta la sua durata (complice anche l’assenza di pausa tra il primo e il secondo tempo).
Non posso dirvi molto su come si sviluppa la storia, poiché il bello è proprio scoprirlo sul momento, ma posso dirvi cosa mi è piaciuto di più e di meno.
Sicuramente l’interpretazione di Josh Hartnett è fantastica. Il modo con cui passa da padre premuroso a mostro con uno sguardo mette i brividi. Il bello è che, nonostante venga svelata la sua identità di serial killer, agli occhi dello spettatore rimane lui il protagonista, l’eroe della storia (chiaramente un anti-eroe), mentre le forze dell’ordine insieme alla profiler che le guida assumono il ruolo di cattivi. Vogliamo che la scampi, anche perché le sue nefandezze vengono giusto accennate, senza mostrare nulla che ce lo faccia veramente odiare.
Nel complesso la storia è ben raccontata attraverso le immagini, nel modo di incastrare le scene e nelle scelte di inquadratura, il tutto contornato dalla musica di Lady Raven/Saleka.
Ci sono però alcune cose che funzionano meno.
Tanto per iniziare, la motivazione che spinge la polizia a tentare di individuare un uomo di cui non conoscono il volto a un concerto dove ci sono la bellezza di circa 3000 altri uomini è debole (un pezzo di scontrino). Per cercare di verificare che ognuno di essi potesse essere o meno la persona che cercavano, nella realtà ci sarebbe voluto davvero troppo tempo. Inoltre, c’era il rischio tutt’altro che improbabile che lui non fosse affatto lì (e se fosse stata la madre, o chiunque altro, ad accompagnare la figlia al concerto?).
Inoltre, durante lo svolgimento del film ci sono diverse forzature. Per esempio, Cooper riesce troppo facilmente a fare amicizia con persone che lavorano lì e che involontariamente lo aiutano. D’altra parte, però, chi gli dà del filo da torcere, creando un colpo di scena, potrebbe fare qualcosa di più semplice e meno rischioso, ma che non permetterebbe di mantenere altrettanto elevata la tensione del film.
Infine, sono rimasta un po’ delusa dal colpo di scena finale. Quando vado a vedere un film di Shyamalan mi aspetto un super colpo di scena nella parte finale che fa macerie di qualsiasi aspettativa precedente. Nel film ci sono diversi colpi di scena interessanti e alla fine c’è un colpo di scena che dovrebbe essere più potente degli altri, ma in realtà non funziona affatto. È troppo spiegato dal personaggio che ne è autore e, onestamente, la spiegazione e le sue conseguenze sono fin troppo tirate per i capelli. E poi ha un che di già visto.
A dirla tutta, nella mia mente avevo elaborato una teoria ancora più sconvolgente e ci sono rimasta un po’ male nel constatare che il regista non avesse voluto spingersi così in fondo nel caratterizzare il protagonista. Cooper è il classico serial killer con un’infanzia difficile di cui però non viene detto nulla di veramente specifico e l’assenza di un vero approfondimento del personaggio (il protagonista!), che avrebbe aumentato la quota drammatica della storia, è una mancanza che si fa sentire proprio nelle fasi finali del film.
L’unica nota positiva è il finale aperto anche se solo appena accennato, quasi che Shyamalan non abbia voluto prendersi totalmente la responsabilità di lasciare una porticina aperta sulla sorte di un serial killer.
Peccato.
Comunque mi sono divertita e mi sento di consigliarvi di andare a vederlo al cinema, proprio per godere del massimo coinvolgimento possibile.
Buona visione!
Di Carla (del 19/09/2024 @ 09:30:00, in Cinema, linkato 595 volte)
Ho visto “Beetlejuice Beetlejuice” ed era davvero tanto tempo che non mi divertivo così al cinema!
Parto dalla premessa che io sono una fan di Tim Burton e adoro “Beetlejuice”, che è senza dubbio il film che ho visto più volte in assoluto. C’è stato un periodo negli anni 90 in cui conoscevo praticamente tutte le battute della versione in italiano a memoria, ma, soltanto quando negli anni zero ho comprato il DVD e ho potuto guardarlo in lingua originale, ne ho potuto comprendere fino in fondo la genialità.
Ma, proprio perché amo questo film, da una parte ero felice per il sequel e dall’altra temevo che potesse deludermi, dopo oltre 30 anni di attesa (il film è del 1988, ma io lo vidi la prima volta nei primi 90).
Fortunatamente si trattava di un timore infondato.
Per prepararmi adeguatamente, qualche ora prima di andare al cinema mi sono rivista “Beetlejuice”, anche perché dall’ultima volta erano passati forse 15 anni, e si tratta di una cosa che consiglio a chiunque sia intenzionato a vedere il sequel. Se non avete mai visto il primo, dovete vederlo, perché i collegamenti sono troppi e viene dato per scontato che lo spettatore li conosca. Ma, anche se l’avete visto, non è una cattiva idea rinnovare un po’ quel ricordo.
Devo dire che, man mano che lo riguardavo, mi ricordavo tutto, ma fissare nella memoria l’aspetto visivo del film è risultato essenziale nel godimento della visione del sequel.
Infatti, meno di un’ora e mezza dopo aver terminato la visione mi trovavo nella mia poltrona reclinabile al cinema e partiva la proiezione. L’impressione che ho avuto è di totale continuità tra le due opere, a iniziare dalla schermata col logo della Geffen e dal font usato per i titoli iniziali che scorrevano sul paesaggio di Winter River, mentre veniva riprodotta l’inconfondibile colonna sonora di Danny Elfman.
Successivamente ad accogliere lo spettatore c’è Winona Ryder, che 36 anni dopo riprende il personaggio di Lydia Deetz. Ed è proprio lei, Lydia. È come se lo fosse sempre stata. Semplicemente è cresciuta, come lo sono io, d’altronde.
Un’altra cosa che temevo era di essere travolta da un senso dolceamaro di nostalgia nei confronti di un tempo cui apparteneva una me adolescente che adesso non esiste più, ma non è stato affatto così.
Mi sono sentita a casa, perché quella particolare parte di me esiste ancora, e sono stata felice di sapere cos’era accaduto a Lydia e agli altri personaggi in tutto questo tempo, come pure di seguirli in questa nuova avventura.
Che dire poi di Michael Keaton?
Grazie al pesantissimo trucco è quasi impossibile notare la differenza tra come era negli anni 80 e come è adesso, e ciò aggiunge un tocco di “realismo” al tutto (le virgolette sono d’obbligo!).
Non posso dirvi nulla della storia, ma proprio nulla, perché è bello vederla così. Tutto sommato, il trailer si limita a rivelare i personaggi coinvolti, ma non in che modo questi si muovono nella storia.
Posso solo dirvi che sono rimasta per tutto il tempo con gli occhi incollati allo schermo, dimenticandomi di chi fossi e di dove fossi, proprio come mi accadeva quando andavo al cinema negli anni 90, e che ho riso davvero tanto per gran parte dei 105 minuti del film.
E ancora di più nell’ultimo quarto d’ora, incluso lo spumeggiante epilogo (ma è davvero finita la storia?).
Sono perfettamente consapevole che in questa prima visione ho colto soltanto in minima parte tutti i dettagli di cui questo film è pregno. Con “Beetlejuice” ogni volta che lo rivedevo, anche dopo la quarantesima, mi capitava sempre di individuarne qualcuno che mi era sfuggito. Mi aspetto che accada lo stesso con “Beetlejuice Beetlejuice” e non vedo l’ora di poter mettere le mani sul Blu-ray.
Speriamo esca presto, come pure spero che pubblichino una versione CD della colonna sonora per aggiungerla alla mia collezione.
Concludo dicendo che sono davvero felice di constatare che il cinema, quello vero, esiste ancora grazie a menti esplosive e folli come quella di Tim Burton.
Viva il cinema, viva Tim Burton, viva Beetlejuice!
Ma non ditelo tre volte, okay?
O forse sì?
Di Carla (del 23/09/2024 @ 09:30:00, in Cinema, linkato 599 volte)
“Challengers” è un film di Luca Guadagnino (aprile 2024).
Ma che bello!
Finalmente un po’ di cinema con la C maiuscola, in cui gli strumenti della settima arte vengono sfruttati al meglio per raccontare una storia nata e sviluppata per il grande schermo.
Ciò che lo rende bello non è solo la storia in sé (che è comunque ben congegnata), ma il modo in cui viene mostrata al pubblico un pezzetto alla volta con una serie di flashback sapientemente inseriti lungo il corso di un incontro di tennis.
I protagonisti del triangolo amoroso rivelano scena dopo scena la propria natura e quella del rapporto che li lega, attraverso dialoghi efficaci, piccoli dettagli, una colonna sonora a dir poco perfetta e un montaggio da urlo.
E poi ci sono alcune chicche pazzesche, come in una delle ultime scene, quando il punto di vista della cinepresa diventa quello di uno dei giocatori e poi dell’altro, finisce sotto il campo, come se la sua superficie fosse di vetro, e a un certo punto passa a quello della pallina da tennis.
Insomma, che vi piaccia o meno il tennis, ve lo consiglio, ma, se amate e seguite il tennis, non potete perdervelo.
Anche se il film non è sul tennis, che è solo il contesto in cui è narrato il triangolo amoroso, se conoscete un po’ questo sport e i suoi protagonisti del presente e del passato, non potranno sfuggirvi quegli elementi della realtà (fatti e persone) che hanno ispirato alcuni aspetti della storia e soprattutto dei personaggi.
Buona visione!
Di Carla (del 16/12/2024 @ 09:30:00, in Cinema, linkato 605 volte)
Uno dei film che ho visto al cinema di recente è “Megalopolis” di Francis Ford Coppola.
Sono andata a vederlo dopo aver letto qua e là critiche feroci e lapidarie, e proprio per questo ne ero ancora di più incuriosita.
“Megalopolis” non è un film facile, lineare, convenzionale. Non è adatto a una visione passiva. Richiede attenzione, motivo per cui vederlo al cinema è senza dubbio la scelta migliore, in quanto annulla le distrazioni (si spera!).
È una favola onirica, ricca di allegorie e scene surreali, traboccante di citazioni.
La storia nei suoi punti salienti è abbastanza semplice, per questo credo sia inutile che io ne parli (potete leggerne la trama ovunque sul web), ma ciò che la rende interessante è il modo in cui Coppola ha deciso di mostrarla, giocando con la sceneggiatura, i suoni, le scenografie, gli effetti visivi, la musica e il montaggio.
“Megalopolis” è un’esperienza cinematografica a tutto tondo.
Può piacere a chi ama il cinema come strumento per creare arte e non semplicemente per raccontare una storia.
È comprensibile che Coppola abbia dovuto autoprodurserlo e che lo spettatore medio l’abbia trovato confusionario, perché pensava di andare semplicemente a vedere una storia, non di vivere dentro un’opera d’arte.
Molti dei suoi aspetti che sembrano folli o casuali, in realtà, hanno uno scopo. Ogni inquadratura, ogni parola pronunciata dai protagonisti, ogni suono. Probabilmente per coglierli tutti servono più visioni e un certo bagaglio culturale potrebbe essere di aiuto, ma non è essenziale, poiché credo che chiunque possa apprezzarli in maniera istintiva, se lascia da parte gli schemi e si limita a seguire il flusso del film.
Adam Driver è bravissimo, ma questa non è certo una novità.
Una scena che mi è piaciuta particolarmente è quella con le travi sospese in cima al grattacielo (da lì viene l’immagine a corredo di questo articolo). È molto suggestiva dal punto di vista visivo e allo stesso tempo, nella parte iniziale, rappresenta bene lo stato d’animo del protagonista in uno dei momenti chiave della storia.
Coppola specifica all’inizio del film che si tratta di una favola e lo spirito con cui va affrontata la visione è proprio questo: bisogna sospendere l’incredulità.
Questo film parte da una realtà alternativa distopica per tendere verso l’utopia. È carico di elementi fantastici, dal soprannaturale (la capacità di fermare il tempo) alla pseudo-scienza fantascientifica dal sapore alchemico (il materiale inventato dal protagonista: il megalon). Ed è una gioia per gli occhi degli amanti del cinema.
Qualcuno potrà anche cogliere e magari apprezzare la morale di questa favola, altri, come me, semplicemente godersi il film senza farsi troppi problemi.
Alla fine dipende da ognuno di noi, da cosa cerchiamo quando ci accomodiamo davanti al grande schermo.
Se siete dei sognatori e fin da bambini, come me, vedevate nella sala cinematografica un luogo dove annullare voi stessi e diventare parte di qualcos’altro, anche per fuggire dai piccoli e grandi problemi della realtà, dovreste andare a vederlo e giudicarlo per conto vostro.
Di Carla (del 10/02/2025 @ 09:30:00, in Cinema, linkato 538 volte)
Tra i film che ho visto al cinema nel 2024 c’è “Coincidenze d’amore”, diretto da Meg Ryan e interpretato da lei stessa insieme a David Duchovny.
Si tratta di una commedia romantica in cui i due protagonisti, 25 anni dopo la fine della loro storia, si incontrano in un aeroporto sperduto, dove, in attesa delle rispettive coincidenze, rimangono bloccati per molte ore a causa di una tempesta di neve.
Inizialmente riluttanti, si ritrovano quindi a passare del tempo insieme e finiscono per confrontarsi sul loro passato e su cosa è accaduto nella loro vita dopo che si sono lasciati.
Sono andata a vedere questo film per rivedere la Ryan sul grande schermo. Mi mancava tanto e mi dispiace che sia dovuto passare così tanto tempo prima di apprezzarla in un nuovo film.
Ho nostalgia di quel cinema degli anni 90 e dei primi anni zero, e ammetto di aver temuto di rimanere delusa da questa visione, soprattutto nel rendermi conto che ovviamente il tempo è passato e lei, a 62 anni, non è più la reginetta delle commedie romantiche di un tempo.
Eppure è sempre lei.
Le sue movenze, i suoi sguardi, le sue espressioni sono sempre quelle, e per 105 minuti mi sono lasciata trascinare dalle chiacchiere di Willa, il suo personaggio, e Bill, quello di Duchovny.
Tante, tante chiacchiere.
La sceneggiatura, co-scritta dalla stessa Ryan, è tratta da una pièce teatrale di Steven Dietz. Ciò appare subito evidente dal fatto che la storia si svolge tutta in un ambiente ristretto, in cui si muovono di fatto solo due personaggi: Willa e Bill. Le comparse che si vedono all’inizio tendono a diradarsi fino a scomparire e la scena viene occupata dalle loro conversazioni, che viaggiano tra lo scherzo, la malinconia e un pizzico di dramma.
Ma non sono totalmente soli. Il terzo personaggio di questa storia è la voce che è diffusa dagli altoparlanti del piccolo aeroporto e trasmette gli annunci ai passeggeri. Questa voce di tanto in tanto interviene nelle conversazioni dei protagonisti, creando in loro solo una momentanea perplessità.
Ha risposto davvero o se lo sono soltanto immaginati?
Il titolo originale del film è “What Happens Later”, che tradotto significa “cosa succede dopo”, vale a dire cosa accade a due persone dopo la fine della loro storia, quale vita finiscono per avere all’insaputa l’uno dell’altra. Willa e Bill hanno l’occasione di raccontarselo e spiegarsi dopo tanto tempo, e di perdonarsi.
Se vi sentite anche voi orfani di quel cinema, se volete passare un’ora e 45 minuti a sorridere, ridere e condividere con i protagonisti le difficoltà hanno dovuto affrontare nella vita che non hanno passato insieme, vi consiglio di guardare questo film.
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